“Rotolando verso sud” non è solo la strofa di una canzone, ma anche il quadro della classifica sulle pari opportunità, elaborata dal World Economic Forum (WEF) in 134 Paesi, che vede l’Italia scivolare dal 72° al 74° posto. La nostra posizione non potrà che peggiorare sino a quando non si porranno in essere delle politiche efficaci di conciliazione che rendano i compiti di cura e la maternità, compatibili con la presenza delle donne nel mondo del lavoro. L’Italia è preceduta da Repubblica Domenicana, Vietnam, Ghana, Malawi, Romania e Tanzania, solo per citarne alcuni.
Le differenze tra i sessi sono direttamente correlate con l’alta competitività economica: le donne vengono trattate in modo equo se un Paese è in crescita e prospero ma anche se è capace di creare una forte cultura per una reale parità di opportunità.
L’Italia si trova nelle parti basse della classifica a causa dello scarso indice di “partecipazione e opportunità nell’economia” (97mo posto), che emerge dalle differenze salariali (posto numero 121) e dalla partecipazione alla forza lavoro (posto numero 87) tra uomini e donne. Anche rispetto alla “salute e all’aspettative di vita” l’Italia perde terreno: in un anno è scesa dall’88mo al 95mo posto a causa dell’aumento della disuguaglianza a danno delle donne.
Questa nota di demerito dà la misura della politica propagandistica dell'attuale Governo nei confronti del ruolo della donna nella società. Sino a quando la valutazione delle donne non sarà parametrata alle loro capacità e competenze, ma si continuerà a considerarle come figurine da applicare in un contesto piuttosto che in un altro, a seconda del messaggio che si intende far passare in quel momento, non ci sarà da stupirsi dell'esito di questa classifica.
Grazie all'approvazione delle direttive comunitarie e alle sentenze della Corte di giustizia, da tempo ormai si è saputo portare al centro dell'agenda europea le tematiche legate alla condizione femminile nella sfera economica, sociale e politica e si è andata sempre più allargando la dimensione e la percezione del problema dell'uguaglianza tra i sessi, per diverso tempo circoscritta alla sola questione della parità retributiva tra lavoratori e lavoratrici.
Nell'ultimo decennio, l'Unione europea si è senza dubbio impegnata nell'implementazione del gender mainstreaming, ovvero nel porre al centro dei programmi e delle strategie della politica, dell'amministrazione e dell'economia la promozione delle pari opportunità tra i generi. Tuttavia in questi anni, se da un lato si assiste a conquiste importanti dall'altro viene completamente ignorato il problema del gap esistente tra riconoscimento giuridico di un principio e la sua reale applicazione. Le direttive comunitarie sulla parità di trattamento infatti non sono, da sole, sufficienti a garantire i principi in esse sanciti e necessitano di politiche attive da parte dei singoli Stati membri, in grado di sviluppare una continua cultura di parità nelle istituzioni e nella società.
Le realtà di molti paesi, primo l’Italia, testimoniano quanto ancora occorra lavorare per ridurre questo gap, certo non nella direzione imboccata da questo Governo.