La protesta della scuola

MESSINA, 12 SETTEMBRE 2010 – La manifestazione “Invadiamo lo Stretto” è stata, al di là delle intenzioni dei promotori, dei numeri (comunque cospicui) e delle forme, una giornata storica. Storica perché, fra le altre cose, rompeva lo stereotipo di un mondo della scuola nel Meridione passivo, rinunciatario e fatalista, frammentato e diviso. Perché metteva insieme territori diversi, con delegazioni dalle altre regioni meridionali. Perché coglieva il valore simbolico di un luogo (lo Stretto) simbolo della concezione/prassi del Sud da parte del potere: devastazioni ambientali e speculazioni economiche; privatizzazione degli utili e pubblicizzazione delle spese (la retorica del financing project ne è l’occultamento ideologico). Perché faceva emergere il nesso fra due aspetti, due traiettorie che riguardano questo nostro Sud: da un lato, la grande opera del Ponte di cemento a carico della collettività e pietra tombale di ogni possibile sviluppo legale ed autogeno dei territori sotto scacco; dall’altro, il licenziamento di massa e l’impoverimento della scuola di quegli stessi territori. Il mega-ponte e la scuola senza bidelli dovrebbe convivere. La mobilitazione sullo Stretto, pertanto, segna un’occasione storica di un possibile, auspicabile rilancio di una questione meridionale. A partire dalle lotte per una scuola pubblica di qualità, per l’occupazione, contro l’obbligo di migrazione (verso il Nord) per lavoro e contro le nuove odiose forme di colonizzazione (di cui il Ponte sarebbe l’emblema). È una non piccola soddisfazione personale l’aver invitato a declinare lo slogan diffuso in questi due anni di mobilitazione nel seguente modo: Noi il ponte non lo paghiamo!

BILANCIO CRITICO – C’è una riflessione più profonda da fare insieme. Occorre con urgenza rompere con un altro clichè (che, ahinoi, ha un fondo di verità) antimeridionale, ossia quello di movimenti incapaci di andare oltre locali, occasionali scoppi di malcontento. Occorre una riflessione collettiva, senza leader, per elaborare prospettive. Siamo tutti e tutte d’accordo con le parole-chiave della nostra mobilitazione: NO ai tagli, una migliore scuola pubblica, ripristino del turn-over (ossia dei precedenti livelli occupazionali).

Occorre rilanciare un’altra iniziativa meridionale, in un altro luogo simbolo della difesa del Sud da punto di vista ambientale e sociale. Le possibilità, a mio avviso, sono queste: a Teano a fine ottobre quando si incontreranno i movimenti meridionali; a Pomigliano per incontrare i lavoratori metalmeccanici in lotta per il lavoro e per i diritti di lavoratori; a Scanzano Jonico, luogo di una grande vittoria meridionale contro il deposito unico delle scorie nucleari.

Occorre ragionare politicamente se vogliamo portare avanti le nostre lotte politiche: una più forte iniziativa articolata sul territorio può contribuire alla caduta di questo governo responsabile della nostra amara, drammatica situazione. O almeno al ridimensionamento delle prospettate nuove “riforme”, a cominciare da quella sul reclutamento, che creerebbe un ulteriore, devastante round di “guerra fra poveri” (vecchi vincitori di concorso, abilitati della famigerata siss, futuri vincitori di concorsi). Proprio il sud, infatti, è l’ago della bilancia della politica politicante vigente: attualmente la maggioranza si regge col voto decisivo di due partitini con base meridionale (Noi Sud nel Salento e MPA in Sicilia) che hanno fatto uso di una retorica para-meridionalistica: bisogna inchiodarli alla loro responsabilità. Visto che i tagli sono soprattutto sul e contro il Meridione e i docenti meridionali (eventualmente in graduatorie di province settentrionali), quale è/sarà il loro atteggiamento concreto nelle varie sedi parlamentari (a partire dalla specifica Commissione)?

Alle opposizioni poi potremmo chiedere una semplice cosa: quando si andrà a votare e se si andrà a farlo con il sistema delle preferenze, ci date la disponibilità di poter candidare precari/precarie della scuola contro il ministro (anch’esso precario…) e dell’Istruzione e contro la famigerata Aprea che tante ne ha dette e fatte in Commissione? Le regole del gioco vogliono che gli elettori potranno scegliere.

RASSEGNA STAMPA (lunedì 13 settembre 2010) – È l’Unità il giornale più attento alla manifestazione. Le dedica la copertina (L’altro ponte è un titolo azzeccato), un coinvolgente editoriale e le pp. 4-8 con vari argomenti.

La Gazzetta del Mezzogiorno dedica il taglio basso e poi due pagine interne. Un articolo non firmato (probabilmente ripreso dall’Ansa o simili) menziona dati infondati (le delegazioni delle altre regioni a Villa San Giovanni, quando invece erano a Messina) o non chiare (25 denunciati, più altri imprecisati identificati). Non viene specificata la fonte, presumibilmente una tipica velina di polizia.

Sul Foglio, rien. Metà del volantino scambiato per quotidiano è dedicato al gossip su “Le disgrazie di Carlà [sic!!!] e Sarkozy”. È del poeta il fin la meraviglia – disse un autore barocco. Ci permettiamo di parafrasare: è del disinformatore il fin il divertissement.

La Stampa mette la notizia in fondo alla prima pagina. Fornisce i due dati: 4 mila per gli organizzatori, 2500 per la questura (c’è da credere un numero intermedio). Poi afferma che gli identificati siano stati “alcune decine” (qui è ancora più scoperta la dipendenza da veline). Sarebbe stato interessante dire come e perché sono avvenute queste schedature, ma l’autore non si pone il problema. È possibile che siano impiegate per illegittimi scopi (pressioni, creazione di dossier artificiosi stile “caso Boffo”)? Fidarsi è bene, non fidarsi (anche degli agenti) è meglio. La democrazia temo sia diventata pura effusione onirica: basterebbe un bel processo ad orologeria contro lavoratori precari per rovinarli sul piano psicologico ed economico.

Il Corriere della Sera prosegue nella sua linea terzista o neutra (per chi ci crede). Un articolo in terza pagina ha carattere descrittivo. Ovviamente è dato spazio anche alle repliche del ministro. Riportiamole per conoscenza: il rimedio alla precarietà sarà non il ripristino dei posti di lavoro bensì il “numero programmato” [peccato già ci fosse col concorso prima e con l’accesso alla siss poi] e una promessa di assorbimento entro il 2018 [peccato che i pagamenti e le spese non abbiano quella stessa scadenza; peccato che non si faccia menzione di ciò che avverrà nel frattempo]. Diceva lord Keynes che a lungo tempo saremo tutti morti. Chissà se al 2018 ci arriveremo.

Noi spero che ce la caviamo

Gaetano Colantuono, Napoli

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