Ustica Guglielmo Sinigaglia e le Cose Schifose


Non è che siano poi così belli i barboni, i clochard…a meno che il libero camminatore lo voglia, di dormire dove capita e chiedere qualcosa per mangiare. Di solito si tratta di miseria, indigenza acuta, accompagnata da una profonda solitudine: si sente un randagio e di questi tempi, il rischio di essere fatto fuori è confermato dalle Direttiva Europea in fatto di vivisezione. E’ così che apprendo dalla solita Rete Segnalazioni, che ” Da sei mesi Guglielmo Sinigaglia, ex ufficiale del Sismi indagato per la strage, ha scelto di vivere a Milano chiedendo l’ elemosina Da colonnello a barbone per paura”. Non ho capito a quando risale l’articolo, dove si parla di lire e strage. Quale strage? Ne abbiamo parecchie e insolute, vado avanti e incontro Ustica, con le sue 81 vittime. Devo essere sincera, leggendo al volo , provo un moto di diffidenza e disgusto: Sismi Stay Behind prescrizione avvocati notai borsa Accademia Militare Sid Servizi segreti Legione Straniera Andreotti Folgore Gheddafi Libia missile Standard esplosivo Dynagel Sbs Mig Strage morti testimoni…Chi sa parli…

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Questo signore era per me un perfetto sconosciuto fino ad oggi, e non abito a Milano ma continuando a leggere un’ intervista di Gianluca Neri a Guglielmo Sinigaglia, Ustica: Colpito Affondato, ho pensato che la Cosa ci riguardi, come le stragi. Insolute. Sembra facile dire Ustica: qui sait, doit parler, chi sa parli: quì non si trovano Eurodeputati disposti a vivisezionare il Caso. Motivo per cui tirare fuori uno come Guglielmo Sinigaglia potrebbe essere semplice, dallo stato di povertà, che spero abbia risolto: altrimenti cosa ci rimane ? Sperare che miagoli Gatta Mammona? Sarà Pi curpa da ‘gnuranza che non sappiamo? Quanta paura, vero, Icaro? Ma si Le cose schifose, meglio tenerle lontane, come le stragi e i barboni.

Doriana Goracci

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MILANO Da colonnello a barbone per paura

Era in servizio come colonnello del Sismi la sera del 27 giugno 1980, quando il Dc-9 Itavia precipitò nel mare di Ustica, con le sue 81 vittime. Oggi Guglielmo Sinigaglia, 46 anni, ex membro di Stay Behind, fa il barbone a Milano, pur risultando tra gli indagati eccellenti nell’inchiesta del giudice Priore. Il suo nome è finito nell’elenco degli inquisiti per reticenza, ma certo oggi lui sembra temere più qualcosa di oscuro e indecifrabile che la semplice violazione del segreto istruttorio. «Voglio stare ancora con mia moglie , sussurra , vedere mio figlio
nascere e crescere. Ma quella sera fu guerra, sì, guerra vera. Priore ha ragione, tutto però finirà nel nulla tra meno di un anno, il 29 giugno del 2000. I reati militari cadono in prescrizione dopo 20 anni, un giorno e dodici ore». Corsa contro il tempo, dunque? Nella borsa Guglielmo porta con sè fotocopie di documenti e tracciati radar, i cui originali sono in mani sicure, «avvocati e notai che li tirerebbero fuori nel caso mi succedesse qualcosa. Nomi da far tremare i palazzi romani, e non solo». La carriera che porta Guglielmo dal Sismi alla vita da clochard, comincia trent’anni fa, quando a soli 16 anni entra all’Accademia Militare di Modena, fiore all’occhiello nella formazione di giovani 007. Tra i primi per punteggio, viene messo in incubatrice da quello che allora si chiamava il Sid e addestrato per divenire membro attivo dei servizi segreti. A 21 anni, entra a tutti gli effetti in Stay Behind, organizzazione grazie alla quale potrà addestrarsi all’estero con i Seals americani, i giovani Sbs inglesi (gli stessi che poi un giorno avrebbe indicato come i veri autori materiali dell’affondamento del DC-9) e la Legione Straniera. In 24 anni di servizio, da giovane sottotenente otterrà cinque passaggi di carriera, fino al grado di colonnello. Ma i suoi guai cominciano nel ’93, quando Andreotti, in seguito ai fatti di via Monte Nevoso, per decreto scioglie sostanzialmente la struttura, collocando al di fuori dell’apparato militare tutti i suoi componenti. Da lì Guglielmo continuerà a rivendicare con testardaggine la propria posizione, con clamorose, ma vane proteste. Fino all’esaurirsi degli ultimi risparmi e alla scelta obbligata, vivere di elemosina. Proprio poco dopo aver messo incinta sua moglie, Diana. Ha una spalla rotta e dolorante, Guglielmo, pantaloni corti, scarpe da tennis, calzini, canottiera e bendaggio rigido. Vestito come l’ultimo dei disperati, da quasi sei mesi ha scelto di vivere per strada, di prendere botte e coltellate, di farsi una doccia a diecimila lire una volta ogni quindici giorni, di stare lontano dalla donna che gli darà un figlio, raccogliendo l’elemosina in corso Vittorio Emanuele, sotto le insegne del cinema Astra. Al suo fianco, fin dall’inizio c’è sempre un collega clochard, Silvio Diligenti, coetaneo, compagno di sventure ed ex maresciallo della Folgore. A Guglielmo la spalla l’ha rotta un altro disperato, la notte di un mese fa. Uno che gli aveva visto tirar fuori un telefonino, quando la moglie l’aveva chiamato, e che doveva aver pensato: se un barbone ha il cellulare, che cavolo di barbone sarà mai? E chissà cos’altro nasconde nel portafogli. E invece no, quel
telefonino con scheda ricaricabile era un regalo di sua moglie, Diana Moffa, che vive a La Spezia. La donna che lo chiama, per sapere come sta, se lui la ama ancora, se quel figlio lo vedranno insieme, se davvero è ancora deciso a fare quella vita e fino a quando. Eh sì, perché Guglielmo il barbone, l’ex colonnello del Sismi che sa molto di quello che avvenne quella notte, ha deciso di fare il clochard per amore. La strada, per Guglielmo, non è solo dormire sotto la luna, sul marmo dei gradini di una chiesa con la spalla rotta e cercare di fermare i passanti con una fase di Esiodo, il primo poeta greco, su un pezzo di cartone («La vostra indifferenza uccide la nostra speranza»). La strada è soprattutto violenza. Pochi giorni fa, l’ultima aggressione: uno gnomo vestito di nero cerca di portargli via la scatola delle scarpe piena di monete, trentacinquemila lire in tutto. Lui, più alto di mezzo metro e largo il doppio, prova a reagire, brandendo l’unico braccio a disposizione. In tutta risposta l’altro gli punta un coltello alla gola. Intanto arriva Silvio, afferra il nano per le spalle e lo mette faccia a terra, ma nel frattempo una coltellata alla spalla e una al ginocchio di Guglielmo fanno in tempo ad arrivare lo stesso. «Ci si può fare una tal guerra tra poveri per l’elemosina?», sbraita ora Guglielmo.
E se parlassimo della guerra, quella vera, che avvenne la sera del 27 giugno sui cieli di Ustica? Guglielmo Sinigaglia vorrebbe farlo il meno possibile. «Mi hanno preso troppo a lungo per mitomane». Già interrogato più volte, Guglielmo ha fornito la sua versione dei fatti: si trattò di un complotto occidentale per uccidere Gheddafi, che quella stessa sera era partito in aereo da Tripoli, e insediare in Libia un governo filo-occidentale. Le dichiarazioni, molte delle quali già agli atti, scendono poi nel dettaglio. «Qualche politico italiano avvisò il leader libico, che così atterrò a Malta. Nel frattempo il Dc-9 Itavia si infilò nell’aerovia denominata «zombie» (che in codice sta per «capo di stato ostile»), una sorta di corridoio tre chilometri
per cinque. Un sottomarino francese lanciò un missile Standard, con carica di prossimità, che costrinse l’aereo ad ammarare bruscamente. Sulla superficie fu affondato con esplosivo Dynagel dagli Sbs inglesi». Ma c’è dell’altro. «La strage di Bologna fu architettata per distogliere l’attenzione da Ustica». Da chi? «Fate voi». Cosa prova quando pensa alle 81 vittime? «Penso che le vittime siano 117». In che senso? «Aggiungerei i 36 testimoni morti in circostanze misteriose. Uno scivola sulla buccia di banana sulla scala del metro a Termini, uno legge il giornale e non si avvede del paraurti di una macchina, un altro investito da un bambino di 4 anni col triciclo… Lasciando perdere quelli che si sono impiccati in casa».Enrico Fovanna

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