COSTI STANDARD: UN TRUCCO LEGHISTA AI DANNI DEL MEZZOGIORNO

di Giulia Rodano

Nonostante la forte resistenza di molte regioni, in particolare meridionali, il governo sta tentando di accelerare l’iter del decreto legislativo relativo alla “determinazione dei costi e dei fabbisogni standard nel settore sanitario”.
Cosa si dovrebbe aspettare un normale cittadino da un decreto con un simile titolo? Che il governo e le regioni definiscano quali obiettivi di salute e quali bisogni sanitari soddisfare, i costi più appropriati per soddisfarli e quindi le risorse necessarie. Oppure, se le risorse fossero, come sono sempre, limitate, quali bisogni e quali obiettivi vengano ritenuti prioritari.
Peccato che di tutto questo nel decreto non vi sia traccia. Il fabbisogno sanitario, infatti, viene semplicemente identificato tout court con lo stanziamento complessivo del fondo nazionale stabilito dalla legge finanziaria.
Si fa il contrario di quello che sarebbe necessario: anziché far derivare la determinazione delle risorse dalla decisione sui bisogni prioritari di salute, si fanno derivare i bisogni dalle risorse.
Siamo tutti consapevoli che nell’impiego delle risorse e nella gestione della sanità, sia pubblica, sia soprattutto privata accreditata, vi sono state modalità inappropriate, ma in questi anni invece di combattere gli sprechi e ristrutturare il sistema sanitario, si è cercato soltanto di ridurre la spesa: tagliando le risorse e aggravando – è storia di questi anni – gli sprechi, le ruberie, le ingiustizie.
Questa politica ha prodotto soltanto aumento della spesa, riduzione dei servizi, crescita dell’inefficienza della sanità pubblica.
Il blocco totale delle assunzioni, ad esempio, ha provocato tagli dei servizi e inefficienza delle strutture pubbliche. Cosa che non è accaduta in quelle accreditate, che sono diventate più competitive. Questo ha allargato il parassitismo e aumentato le rendite private.
Rispetto a questa situazione il governo propone di prendere, a parametro della redistribuzione tra le regioni, le risorse già fissate dalla finanziaria; non quanto è ragionevole che costi alla fiscalità generale un determinato obiettivo di salute, ma semplicemente quanto hanno speso le regioni che non hanno avuto disavanzi.
Le conseguenze di questa scelta possono essere tre: o non cambia nulla, o si avrà uno spostamento delle risorse dalle regioni meridionali a quelle del centro nord o peggio ancora si ridurranno le risorse complessive destinate al fondo sanitario nazionale. Niente di nuovo, l’ennesimo taglio.
Nel sud, quindi, non si potranno fare nuovi investimenti e i privati accresceranno la loro presenza. Una ulteriore accelerazione alla privatizzazione strisciante della sanità.
I costi standard, così come vengono definiti nella bozza di decreto di Calderoli e Tremonti, si rivelano essere l’ennesima foglia di fico di una politica che punta solo a fare cassa e, nei fatti, a favorire gli interessi territoriali ed economici più forti.
Non è un caso che né Calderoli, né Tremonti vogliano cambiare le politiche per le regioni che sono in disavanzo: per queste continueranno i commissariamenti, i tagli indiscriminati, l’impossibilità di assumere e investire. Una posizione comoda: con queste politiche i poteri pubblici si sono liberati dall’obbligo dei controlli di merito, dal dovere di distinguere chi lavora male e chi lavora bene, chi imbroglia e chi no. Il controllo è solo formale e ragionieristico. E, come sempre in questi casi, i più penalizzati sono quelli che rispettano le regole.
I costi standard non modificano la politica che sta uccidendo il servizio sanitario nazionale. La Regione Toscana è oggi (ma per quanto ancora?) in equilibrio di bilancio dopo quindici anni di politiche di ristrutturazione del sistema, milioni di euro di investimenti per migliorare l’offerta ospedaliera, una tradizione e un lavoro costante di crescita dell’assistenza sul territorio.
Questa politica non è stata consentita nelle regioni socialmente più povere e difficili, e con sistemi sanitari più fragili, più condizionati da forti presenze della sanità privata e anche più inquinati, persino da poteri mafiosi. Insistere con questa politica significa alimentare la crescita del precariato e della privatizzazione, e accentuare la spaccatura tra il Nord e quella parte d’Italia che ha minori garanzie di tutela della salute.
Se si vogliono combattere davvero sprechi, ruberie, illegalità, disavanzi immotivati, occorre abbandonare la fissazione dei costi standard presunti e riprendere le politiche fondate sulle regole e sui doveri da parte degli operatori pubblici e privati e occorre ripristinare il sistema dei controlli e delle sanzioni, che in questi anni, in nome dell’efficienza e della semplificazione sono stati letteralmente smantellati.

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