di Luca Barbareschi
La settimana che si chiude potrà essere ricordata come tra le più negative per il nostro Paese, esemplificativa di un degrado che sembra oramai non conoscere più limiti. L’evento più eclatante sono state senza dubbio le dimissioni di Alessandro Profumo, avvenute con modalità inimmaginabili in qualsiasi paese europeo e civile, che hanno dimostrato quanto il nostro sistema bancario ancora non sia pronto a svolgere un ruolo tra i grandi gruppi bancari mondiali. Lo sbigottimento e le critiche che si registrano all’estero difficilmente raggiungono i nostri giornali, occupati da mesi oramai da sterili querelle su appartamenti a Montecarlo senza che alcuno si renda conto che abbiamo ampiamente oltrepassato il senso del ridicolo.
Questa è la settimana dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, degli interventi di Barack Obama e Wen Jiabao, delle follie di Ahmanidjebad di fronte alle quali gli ambasciatori americani ed europei non esitano ad abbandonare l’aula, sono i giorni in cui dietro alle quinte prosegue la trattativa tra Israele e Abu Mazen per cercare di raggiungere la difficile pace. Per noi italiani sembra però che tutto questo non esista, il premier continua a fare i conti dei deputati blindato a Palazzo Grazioli, incurante delle trattative tra America, paesi del G8 e Cina sulla rivalutazione dello yuan, quasi fosse per noi un problema che non ci riguarda. Il mondo si muove, va avanti, pensiamo solo all’importanza dell’intervento di Sarkozy sulla povertà e alla sua proposta di tassazione globale delle transazioni finanziarie, mentre nel nostro piccolo siamo i penultimi al mondo –sopravanziamo di appena un passo la Corea – come contributi alla soluzione della fame nel mondo. Gli impegni li sappiamo prendere, il problema è che non siamo capaci di mantenerli, e le statistiche misurano i risultati, non le intenzioni.
Proprio questo atteggiamento nei confronti del mondo è la causa della nostra marginalizzazione a livello internazionale, e il caso Profumo Unicredit ne è in qualche modo una manifestazione palese. Il nostro Pese avrebbe bisogno di banche capaci di fare sistema in Italia e allo stesso tempo dal profilo internazionale marcato, la governance delle stesse banche deve essere rivista perché il ruolo delle Fondazioni si è venuto modificando negli anni, e dai tempi della riforma Amato che ne ha disegnato il ruolo il mondo – e non solo quello finanziario – è cambiato completamente, non rendersene conto e prendere provvedimenti ci porta ai confini della grande finanza, relegati a ruoli marginali, satelliti di sistemi dei quali non riusciamo a essere protagonisti. Così rischiamo di divenire terra di conquista dei grandi player internazionali, l’Italia che era la culla della civiltà ridotta a una Disneyland dove lo straniero viene a passare qualche weekend.
L’uscita di Profumo da Unicredit è stata per me di stimolo per procedere a una proposta di legge sulla governance bancaria che definisce un impianto regolatorio che – oltre ai facili formalismi, dietro ai quali spesso si nascondono grandi nefandezze sull’altare del libero mercato – salvaguardi i diritti del Paese, evitando che chiunque, come alcuni fondi sovrani che sono fuori ogni controllo, possa scorazzare liberamente nei gangli della nostra economia. La Germania ha già proceduto in tal senso, così come i cugini d’Oltralpe.
Sergio Marchionne, nella definizione della futura politica industriale del Gruppo FIAT, era stato chiaro e determinato, aveva offerto al sistema Paese una strada che non era di sopravvivenza come quella troppo spesso richiesta, ma un percorso di sviluppo, che tiene conto dei nuovi protagonisti dello scacchiere mondiale, una via che consentirebbe all’Italia di esaltare le proprie capacità e caratteristiche e diminuire le proprie velleità. Tornare con i piedi per terra, rimboccarsi le maniche, essere consci dei propri limiti e fieri delle qualità che si posseggono. Il piano Marchionne inserisce l’Italia e l’italianità in un contesto mondiale, che tiene conto dei nuovi protagonisti dell’economia di oggi e di domani, non a casa la Fiat è primo produttore in Brasile. Chi lo contesta crede forse che siamo ancora ai tempi di Cesare e di Vercingetorige, di Asterix, e del loro microcosmo. L’accordo appena siglato tra Confindustria e il Gruppo Intesa – un accordo che a regime vale 10 miliardi – si inserisce in modo giustificato in un percorso di sviluppo, ma certo non è sufficiente, e soprattutto attende che la politica e il governo facciano la loro parte.
Ma qual è, allora, la direzione di sviluppo, ma potremmo dire anche di sopravvivenza, che il Paese dovrebbe intraprendere? La risposta compete alla politica, ma come scrive Alessandro Profumo “…al nostro Paese manca la capacità di guardare lontano…” e soprattutto la politica oggi sembra accartocciarsi su se stessa, incapace di riflettere e lavorare per il nostro futuro. Eppure il disegno strategico è disegnato dalla posizione stessa dell’Italia, che si allunga come una sorta di cuneo nel cuore del Mediterraneo. A ben vedere si potrebbe addirittura traslare la proposta strategia dal ruolo e dall’azione che svolge il nostro esercito, protagonista in forze in diversi fronti del mediterraneo, protagonista indiscusso e amato da genti e popoli di razze e lingue differenti. Il Mare Nostrum è lo spazio nel quale dobbiamo tornare protagonisti, dove le popolazioni che affacciano spesso conoscono la nostra lingua e cultura grazie ai padelloni satellitari, il luogo dello sviluppo possibile e sostenibile. Per un’incredibile perversione sembra che siamo solo noi italiani a non rendercene conto, mentre altri paesi volentieri ci prendono come modello e vorrebbero che fossimo leader per tutta l’area. Nel mediterraneo si gioca pure la riscossa – oltre la sopravvivenza – del Sud, la possibilità del suo rilancio, per la quale tutto il sistema Paese deve impegnarsi, anche per questo servono nuove regole per il sistema bancario. Non significa sottomettere le banche ai giochi della politica, ma far sì che facciano l’interesse del Paese, non quello di alcune persone o alcuni territori. Il progetto della Banca del Sud andava in questa direzione e non deve essere abbandonato, così come dobbiamo sviluppare una strategia operativa che si apra ai paesi del mediterraneo, e questo significa innanzi tutto infrastrutture – fisiche e informatiche – che abbattano le distanze.
I nostri mari devono essere solcati non tanto e non solo da vedette, ma da idee, merci, prodotti culturali, brevetti e persone.