Le elezioni svedesi avrebbero potuto segnare un’inversione di tendenza nelle sconfitte elettorali delle socialdemocrazie e della sinistra, due fatti tra loro indissolubili. Così non è stato. Ma malgrado ciò, la sinistra in Svezia sta meglio di quella italiana.
La sconfitta della socialdemocrazia svedese, e con essa della coalizione rosso-verde con Miljöpartiet de Gröna (Partito dell’ambiente-I Verdi) e Vänsterpartiet (Partito della Sinistra) era stata preannunciata dai sondaggi dal giugno di quest’anno (48,1% vs 45,4).
A partire dal febbraio 2007 l’opposizione rosso-verde era sempre rimasta sopra il 50% , fino a toccare l’apice nel febbraio 2008 con il 56% contro il 38,8% dell’alleanza borghese: la maggioranza assoluta delle intenzioni di voto è stata persa soltanto con le rilevazioni del maggio 2009 (48%). Tuttavia il vantaggio è stato mantenuto fino al maggio 2010 con il 47,6% contro il 46,8%.
La perdita di competitività della coalizione rosso-verde è da attribuire quasi esclusivamente a perdite di consenso dei socialdemocratici che dal novembre 2008 sono scesi sotto il 43% fino al 28,2% dei sondaggi del settembre 2010 alla vigilia delle elezioni. Una correlazione vi è indubbiamente con l’aumento di popolarità dei Democratici Svedesi, il partito della destra radicale, che a partire dall’agosto 2009 ha stabilmente superato la soglia del 4%.
Pur in assenza di dati sui flussi elettorali si può arguire che i Democratici Svedesi abbiano sottratto voti anche, forse soprattutto, ai socialdemocratici, pur incidendo in termini di seggi anche sull’alleanza borghese. Se non avessero superato la soglia, l’alleanza borghese avrebbe tranquillamente ottenuto con il 49,3% la maggioranza assoluta dei seggi, come nel 2006 con il 48,26%.
Gli elementi di novità dei risultati svedesi sono almeno due: per la prima volta i socialdemocratici perdono il primato di più grande partito a favore dei Moderati e i borghesi vincono due elezioni politiche generali a fila.
Vi è una terza novità, che non è la formazione di un governo di minoranza, circostanza più volte verificatesi con governi socialdemocratici, ma la comparsa di un terzo polo non assimilabile a maggioranze parlamentari. Il sistema politico svedese è sempre stato pluripartitico, ma rigorosamente bipolare con un partito socialdemocratico egemone, cui di contrapponeva un’alleanza borghese, composta da quattro partiti, non sempre sulla stessa lunghezza d’onda, il che spiega il fatto, che, quando vincevano non ottenevano la riconferma alle elezioni successive.
La crisi della socialdemocrazia appare strutturale, cioè la perdita progressiva di elettorato giovanile. Un fatto che si era già rivelao nelle elezioni europee del 2009 con l’exploit del Partito Pirata, successo non ripetuto in queste elezioni nazionali. Negli anni di governo dei borghesi si sono ben guardati dallo smantellare lo stato sociale nei suoi assetti fondamentali, secondo il loro programma per le elezioni del 2002 quando furono sonoramente sconfitti da un 52,9% della coalizione rosso-verde, ma hanno introdotto liberalizzazioni del mercato del lavoro, che hanno colpito i giovani. Questo fatto ha comportato che non era più incentivata la iscrizione ai sindacati, con le quote non più deducibili dal reddito e quindi una perdita di affiliati al sindacato LO, tradizionale bacino di raccolta dell’elettorato socialdemocratico. Si deve ritenere questo fatto più rilevante dello scarso sex-political appeal della leader socialdemocratica Mona Sahlin, definita fredda come un agente del KGB.
Il partito socialdemocratico ha un problema di leadership a partire dall’assassinio di Olaf Palme nel !986 e soprattutto di quello della popolarissima Anna Lindh nel 2003, ma non siamo ancora in quel paese ad una personalizzazione della politica, cui ci ha abituato Berlusconi e alla quale ci si è colpevolmente adattati, se non a sinistra, nel più grande partito di opposizione, il PD.
Un altro tema che ha favorito l’ascesa dei Democratici Svedesi è la questione dell’immigrazione, proposta come tema principale soltanto dal nuovo partito. Nei paesi nordici i partiti conservatori hanno un approccio non ideologico e in Svezia, come in Finlandia, hanno fatto leggi che facilitano l’immigrazione per motivi economici, mentre i socialdemocratici erano aperti quasi esclusivamente alla concessione di asilo politico. La ragione è semplice i lavoratori stranieri non integrati nella società svedese costituiscono un efficace pressione per il contenimento delle rivendicazioni salariali e quindi del ruolo del sindacato.
La Svezia dimostra come la stabilità del sistema politico non dipenda da leggi elettorali maggioritarie, come si è cercato di far credere e di imporre con artifizi elettorali in Italia, ma dalla cultura politica: per esempio, in Svezia è inconcepibile che in un voto di sfiducia si sommino voti di partiti con programmi opposti, come invece accadde con il primo governo Prodi. L’alleanza borghese ha quindi la concreta possibilità di costituire un governo di minoranza con i suoi 172 seggi su 349 del Riksdag senza alcun bisogno di cercare consensi in parlamento a differenza dei governi di minoranza socialdemocratici.
Un altro insegnamento è l’incapacità di partiti all’opposizione di capitalizzare le difficoltà dei governi in carica, in questo l’Italia può essere maestra, tuttavia un partito di sinistra non può inseguire pulsioni razziste e xenofobe, perché perderebbe ancora più voti. La società svedese è fondamentalmente democratica e, come ricorda il leader dei Moderati Gustav Blix( Il Riformista, 21 settembre 2010), la percentuale di cittadini favorevoli ad una stretta sull’immigrazione” salita per dieci- quindici anni” è in calo. Tuttavia sono significative le aperture verso i Verdi, che garantirebbero una solida maggioranza assoluta. La prima risposta è stata negativa, non siamo nell’Italia dei parlamentari responsabili e perciò acquistabili, ma non si deve dimenticare che i Verdi, in Europa, non sono stabilmente collocati a sinistra. In Finlandia sono decisivi per il governo conservatore e in Germania governano con la CDU in alcuni Laender.
Le elezioni svedesi potevano segnare un’inversione di tendenza nelle sconfitte elettorali delle socialdemocrazie e della sinistra, due fatti tra loro indissolubili, ma come mi ha fatto notare un compagno finlandese, Hannu Vesa, malgrado la sconfitta la sinistra in Svezia sta meglio di quella italiana e del suo Paese.
ADL