La Penisola del “tesoro”: Brusca indagato per riciclaggio

17 set 2010 | Categoria: news Riciclaggio, intestazione fittizia di beni e tentata estorsione aggravata. Questi i capi di imputazione per i quali il boss di Cosa Nostra Giovanni Brusca, dal 1999 iscritto nel programma di protezione per i collaboratori di giustizia, è indagato dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo. Le indagini stanno toccando le province di Palermo, Roma, Chieti e Rovigo, sviluppandosi negli ambienti frequentati da familiari e amici vicini al boss e hanno già portato alla scoperta di 188 mila euro, rinvenuti nella casa della moglie di Giovanni Brusca.

A coordinare le indagini il procuratore aggiunto Antonio Ingroia e i sostituti Francesco Del Bene, Lia Sava e Roberta Buzzolani. I pm contestano a Giovanni Brusca di aver continuato a gestire il proprio patrimonio durante la sua permanenza in carcere, frammentata dai permessi premio che gli erano stati concessi per buona condotta e dei quali beneficiava ogni 45 giorni. L’inchiesta è scaturita dalle indagini a carico di Domenico Raccuglia, boss di Altofonte arrestato il 15 novembre 2009 a Calatafimi: dalle intercettazioni effettuate nell’ambito della sua cattura è emerso che i Brusca sarebbero in possesso di ingenti beni che non sono ancora stati individuati.

Figlio del boss Bernardo, Giovanni Brusca entrò giovanissimo a far parte della cosca paterna fino ad assumere il comando del mandamento di San Giuseppe Jato a seguito dell’arresto del padre, avvenuto nel 1984. Cinquantatré anni, è soprannominato lo “scannacristiani” per la ferocia con cui ha ucciso oltre 150 persone: fu lui che strangolò e sciolse nell’acido il quattordicenne Giuseppe Di Matteo, figlio del pentito Santino e fu lui che schiacciò il tasto del radiocomando per far saltare in aria il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e i tre agenti della scorta Antonio Montinaro, Rocco Dicillo e Vito Schifani nella strage di Capaci del 23 maggio 1992. Fu arrestato il 20 maggio 1996, mentre la Procura di Palermo era guidata da Gian Carlo Caselli, in una villa dell’Agrigentino, sorpreso in compagnia del fratello Vincenzo e delle rispettive famiglie mentre erano intenti a guardare il film sulla strage di Capaci.

La collaborazione di Brusca è stata sempre in chiaroscuro: se da una parte le sue rivelazioni furono determinanti per arrestare i latitanti Carlo Greco e Pietro Aglieri e per venire a conoscenza dell’esistenza del papello, dall’altra lo “scannacristiani” ha mostrato un atteggiamento reticente nell’ambito delle sentenze che hanno affrontato la questione della trattativa Stato-mafia verificatisi negli anni delle stragi di mafia.

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