Oggi sui giornali campeggiano lunghi articoli colmi di indignazione sulle dichiarazioni del senatore a vita Giulio Andreotti.
Giulio Andreotti è un pentito al contrario. Mentre quelli veri tradiscono la Mafia per collaborare con lo Stato, lui ha tradito lo Stato per collaborare con la Mafia. Lo dicono i fatti e le sentenze.
La sua ultima uscita sul compianto Giorgio Ambrosoli («se l'andava cercando») chiarisce, ancora una volta, la netta spaccatura che contraddistingue il Paese: l'Italia buona da quella marcia.
Le sue parole non mi hanno stupito per niente. Andreotti è stato solo coerente con se stesso e con la sua storia. Ambrosoli, giova ricordarlo, venne assassinato nel 1979 da un sicario ingaggiato dal banchiere Michele Sindona. Fra Sindona e Andreotti c'era un rapporto che andava ben al di là dell'amicizia e che intrecciava affari e interessi complessi da descrivere in questa sede, ma che fanno parte della storia di questo Paese.
Il senatore a vita, nominato tale da Cossiga, non ha fatto altro che essere se stesso: un colpevole di “partecipazione a Cosa Nostra”.
La prescrizione (Andreotti è un prescritto) è solo un cavillo giuridico che impedisce alla legge di portare a termine il suo corso. Dunque, ci troviamo di fronte ad un soggetto dal curriculum giudiziario molto variegato. Che offenda, post mortem, Giorgio Ambrosoli è nella normalità degli accadimenti. Le carceri sono piene, ad esempio, di gente che offende la memoria di Borsellino, di Falcone, di Impastato e così via.
La vera ipocrisia, in tutta questa faccenda, è solo quella del sistema politico attuale che si tiene in casa un senatore a vita come Andreotti. Un uomo del quale si conosce tutto da almeno vent'anni e che continua a sedere fra i banchi del Parlamento. I veri ipocriti sono quei politici che arraffano il suo voto da senatore a vita finché gli fa comodo, e poi inveiscono contro di lui quando esprime ciò che è: un prescritto per reati di mafia.