Il Cile, come altri paesi del Sud America, celebra quest’anno il bicentenario dell’indipendenza dalla Spagna in un quadro regionale che da qualche anno ha visto molti singoli paesi consolidarsi nella democrazia e nella consapevolezza della propria identità le cui radici più profonde si trovano nella rimossa storia che ha preceduto i secoli di oppressione e di sfruttamento della dominazione spagnola .
I nativi del Cile, i Mapuche, fin dall'inizio del golpe dell'11 settembre 1973 furono vittime della repressione. Il governo Allende con la riforma agraria, aveva restituito loro circa 700.000 ettari di terre. Altri Mapuche prima del colpo di stato avevano partecipato all'occupazione di circa 75.000 ettari di terreni appartenenti a latifondisti. Nel settembre 1972 il governo Allende emanò una legge (Ley No. 17.729) che garantiva ai Mapuche nella costituzione di diritti fondamentali: la restituzione dei diritti sulla proprietà della terra perduta, l'allargamento dei diritti territoriali, il sostegno ad interessi sociali e culturali, il miglioramento del sistema sanitario e l'insegnamento nella lingua madre Mapudungun.
Per la coalizione democratica che dopo la lunga notte della dittatura, per circa 20 anni, era stata riconfermata dal voto alla guida del paese, il bicentenario, comunque lo si voglia leggere, è stato una scadenza di verifica degli obiettivi programmati di crescita e di rinnovamento, di lotta alle diseguaglianze presenti nella società cilena e per la salvaguardia dei diritti umani.
A marzo 2010 con una coalizione di destra Pinera presidente di Renovation National, partito costituito nel periodo della dittatura, subentra alla presidenza del Cile alla socialista Bachelet . Il giudizio severo dell’elettorato sulla coalizione di centrosinistra si accompagna all’esplicito riconoscimento, anche dell’opposizione, della qualità dell’azione di governo della presidente Bachelet nella lotta alle diseguaglianze sociali.
Con la destra revisionista al governo del Cile in questo cambio epocale annunciato, cade il 37° anniversario del golpe militare del 1973 promosso, organizzato e diretto dagli Stati Uniti, come ormai convalidato da documenti USA desecretati alcuni anni or sono.
Motivazioni e responsabilità di protagonisti e comprimari della fine violenta di un inedito processo di trasformazione socialista nella democrazia, dentro istituzioni democratiche, sono state messe in luce e storicamente ricostruite.
Le tragiche giornate nelle quali sotto il bombardamento della Moneda il presidente Allende, non cedendo alla ragione della forza, armi in pugno, moriva al suo posto di lavoro per confermare la legittimità delle istituzioni democratiche ed il patto con il popolo cileno, rappresentano per ogni democratico un grande insegnamento su come si difende lo stato di diritto ed il bene comune .
Errori e limiti della Unidad Popular criticamente e autocriticamente presi in esame a partire dai primi anni successivi al golpe, sono agli atti .
Atteso che “la via democratica non è rettilinea né indolore” come si legge nell’incipit di un notissimo saggio pubblicato il 12 ottobre del 1973 su Rinascita, possiamo avanzare l’ipotesi che lo sviluppo positivo della esperienza cilena avrebbe potuto divenire, all’epoca dei blocchi contrapposti, in altri paesi, un esempio esportabile di una grande forza trasformatrice delle diseguaglianze sociali in giustizia sociale ? La fine violenta del Cile democratico davvero ci ha insegnato che sarebbe stato impossibile governare con il 51% dei consensi all’epoca del muro di Berlino? Cosa si dovrebbe dire in Italia oggi su rappresentanza e governabilità in presenza di una legge elettorale che, con molto meno, consente premi di maggioranza a liste elettorali decise dalle segreterie dei partiti ?
In Cile, come in altri paesi , gli obiettivi non raggiunti della piena sovranità nazionale sulle risorse naturali, su beni che al’epoca del golpe si chiamavano rame e dopo anche risorse del mare saccheggiate per decenni da altri paesi, devono essere alla base di una integrazione fra i paesi del cono sud raggiungibile anche con una moneta unica e con forme di politica estera e di difesa comuni (un poco come si chiede che avvenga per l’Europa).
I lunghi anni dell’esilio sono stati occasione di forte interscambio di esperienza fra democratici cileni e democratici dei paesi d’accoglienza. In Italia sono vissuti i moltissimi cileni che poi hanno avviato in patria la ricostruzione democratica del Cile.
Oggi guardando alle vicende cilene l’idea è che un ciclo si sia concluso e che la scelta dell’elettorato cileno a favore di una destra che conquista consenso al centro debba costituire l’occasione per riflettere sulle cause dell’invecchiamento dei partiti della Concertation nella lunga gestione del potere.
La Bachelet ha affrontato con successo le scadenze importanti della economia cilena ma con una coalizione litigiosa che si è confermata tale e perdente con la scelta del candidato Eduardo Frei e la compresenza di altri candidati d’area .
Il tasso di crescita economica sostenuto e sostenibile che ha permesso di creare maggiori e migliori posti di lavoro nei primi anni della Concertation non si è ripetuto, alla nuova data del 2010 nella misura auspicata per quel balzo in avanti che, doveva rendere, nel reddito, il Cile più simile alla Spagna. Nel 2010, anno del bicentenario la previsione non si è avverata.
Nel marzo, con due punti percentuali di differenza Pinera che ha saputo parlare alla pancia dell’elettorato, sconfigge Frei di fatto favorito anche dal giovane candidato Ominami che con il suo “fuoco amico” ha tolto voti a Frei favorendo la vittoria di misura della destra,
Nel suo programma di governo il nuovo presidente fissa ad un’altra data storica un obiettivo di lungo periodo:” Nos proponemos que para el año 2018, bicentenario de la batalla de Maipú, con la cual se inicia la real y definitiva independencia nacional, Chile tenga un ingreso por habitante superior a los 22.000 dólares al año y de esta forma iguale las condiciones de vida de los países del sur de Europa. Step by step i passaggi intermedi di questa promessa crescita di reddito individuale saranno una circostanza obbligata per le verifiche della opposizione e del sindacato.
Come è naturale solo una opposizione riorganizzata nelle idee, coerente con i principi ispiratori di una politica sociale fondata sulla solidarietà e la giustizia sociale potrà misurarsi sui temi dello sviluppo senza rincorrere il governo attuale ma incalzandolo con proposte in grado di ritrovare consenso ampio nel paese a partire da quello dei lavoratori. Non sarà facile.
Il governo cileno, leggendone il programma, mostra di voler parlare agli imprenditori ma sembra ignorare i lavoratori: la formalistica affermazione di continuità del “modello di economia sociale di mercato” già adottato dal precedente governo e la dichiarata volontà di non ridurre il ruolo dello stato (“No somos partidarios de reducir el tamaño del Estado”) si accompagna ad una affermata idea di “autentica eguaglianza delle opportunità per i cileni” . Il Cile, recita il programma di governo , è sempre stato un paese di imprenditori; i migliori risultati in economia si sono avuti quando si è potuta esplicare la massima libertà d’impresa che, grande e piccola, ha un ruolo fondamentale nel generare ricchezza per i cileni e posti di lavoro.
Formidabile la sintonia ideale con il ministro italiano delle finanze Tremonti che in questi giorni ha dichiarato “pensiamo di avere qualche chance in più agendo sugli articoli 41 e 118 della Costituzione, per migliorare la libertà di impresa e «ridare centralità alle grandi infrastrutture nazionali”
Il welfare, i diritti delle persone restano un dato inespresso. Lo stato si dovrebbe limitare ad essere “factor de protección para aquellos compatriotas que se encuentran en una situación más desmejorada”. Il presidenza Pineira dice di voler lo stato regolatore ma si capisce che per lui lo è quello che opera a sostegno della cosi detta libertà del mercato. Pineira precisa: ” Sí, noi siamo per uno «stato migliore», che sia in condizione di utilizzare “en forma mas eficiente” l’oltre 1/3 del PIL “que los chilenos le delegamos para su manejo” .
Sotto i toni rassicuranti che gli hanno consentito di acquisire i consensi di parte dell’elettorato di centrosinistra si intravede una trama non ignota a chi ha seguito le vicende politiche e istituzionali italiane degli ultimi anni. Dai fatti si vedranno comunque l’azione del governo e le risposte delle forze politiche e delle organizzazioni sindacali cilene.
Le differenziazioni sulle scelte politiche anche nel passato non hanno tuttavia mai pesato sul giudizio unanime di condanna di tutte le forze politiche democratiche cilene per quel che riguarda le violazioni dei diritti umani avvenute nel lunghi anni della dittatura. Tutta la società cilena, in tutte le sue componenti prima ancora dei tribunali ha condannato la feroce catena di comando al cui capo c’era il generale fellone Pinochet.
Chi scrive ha avuto modo anni, or sono, di parlare in Santiago all’epoca della presidenza di Patricio Aylwin , primo presidente nel marzo del 1990 dopo Pinochet, con familiari di scomparsi o assassinati che erano costretti a fare lo sciopero della fame per avere dallo stato “giustizia e verità”.
Anche allora, come sempre dopo ogni dittatura, riemergeva, sottotraccia, il lavorio di coloro che volevano chiudere con il passato in nome di una riconciliazione nazionale che pur comprensibile non dovrebbe mai essere contro ma anzi fondata sui valori di giustizia e verità.
Alla fine degli anni ’90 l’Istituto Fernando Santi aveva avviato presso le istituzioni cilene alcuni positive verifiche per promuovere una iniziativa che avrebbe interessato giovani cileni che insieme ad altri giovani italiani avrebbero percorso i luoghi dove maggiori erano state le violazioni dei diritti umani, suscitando incontri e dibattito. Una mobilitazione “Corri per i diritti umani” che avrebbe percorso a tappe, per diversi giorni, buona parte del territorio cileno. Dopo mesi di preparazione e di dichiarate disponibilità prevalse negli interlocutori istituzionali la preoccupazione di non intralciare una sensibilizzazione alla riconciliazione e con essa arrivò il suggerimento in alternativa, di una grande iniziativa al chiuso nella capitale.
In quegli anni della presidenza di Lagos si stavano avviando una serie di provvedimenti “risarcitori” anche di carattere economico per le vittime e per i familiari delle vittime della dittatura che temporalmente coincidevano con un orientamento diffuso perché si andasse verso una sorta di oblio circa le responsabilità dei componenti della lunga ed articolata catena di comando dei reati contro l’umanità della quale era stato capofila Pinochet. Vi era già stata nel passato, nel primo periodo dopo la parziale uscita di scena di Pinochet, una grande “tavola di riconciliazione”, una sede di discussione con la presenza di diversi settori della società cilena (chiesa cattolica , militari, massoneria, partiti ecc) dove già erano emersi i possibilisti dell’oblio.
Recentemente dalla stampa si è appresa la notizia che la Chiesa cattolica ed evangelica cilena si sono fatte promotrici presso il presidente Pineira di una proposta di indulto segnalando che la pace in Cile si deve costruire ricorrendo ” a la clemencia y al perdón…con un indulto que nuestra sociedad puede conceder como expresión de la actitud humana y enaltecedora que construye la paz ciudadana y ayuda a la reconciliación”. Le Chiese aggiungono che per quel che riguarda delitti messi in relazione con la violazione dei diritti umani “no sería completa la ‘mesa para todos’ si no considerásemos en esta petición a quienes cumplen penas por esos delitos cometidos durante el régimen militar”.
Il presidente Pineira ha già annunciato la decisione di non concedere un indulto generale, così come proposto dalla Chiesa. Gli sviluppi della situazione mostrano dure prese di posizione contro l’indulto.
Si dovrebbe peraltro riaprire, ad opera del giudice, anche per condannati in via definitiva, un esame, caso per caso, sulla base di una sorta di griglia di valutazione del possibile pentimento, del grado di libertà o di vincolo gerarchico al momento del compimento dei delitti. ecc.
Le Chiese cattolica ed evangelica in buona sostanza anche in Cile sembrano voler entrare nella sfera autonoma dello stato e lo farebbero a sostegno anche di persone in larga maggioranza condannati per esecuzioni sommarie, sparizioni forzose di persone e applicazione di torture.
Sono molti in Cile a chiedersi se la violazione dei diritti umani possa essere oggetto di indulto o se, anzi, in uno stato democratico debba avere cittadinanza l’istituto dell’indulto.
Appare lontano il tempo in cui nel 1976 sotto la dittatura, in Cile, solo la Vicaria de solidaridad voluta come strumento di lavoro pastorale dal cardinale Raúl Silva Henríquez faceva sentire la sua, al’epoca, fondamentale ed unica voce a sostegno dei diritti umani. La sua azione termino di fatto nel dicembre 1992 con il ritorno alla democrazia.
Sembra lontano quel 1977 l in cui fu costituita la Vicaría Pastoral Obrera, della quale si occupava Monsignor Alfonso Baeza, che consentì l’avvio del ritorno alla visibilità del mondo del lavoro e del sindacato che era stato dichiarato illegale con il Bando n. 36 della Giunta Militare. La Cut di Figueroa e di Calderon che aveva un milione di iscritto nel 1972 riparte anche da quella prima importante iniziativa a tutela dei diritto al lavoro.
Il 2010, anniversario del bicentenario, è anche il 57° anniversario della nascita della Centrale Unica dei Lavoratori (CUT) del Cile E’ la storia di un protagonista sociale di prima grandezza. Il suo presidente attuale Arturo Martinez ricorda come in Cile il dialogo sociale è oggi un dato acquisito ed irrinunciabile ma non può essere limitato ai soli temi del mondo del lavoro.
Sul tipo di paese e di società che si intende costruire e sul ruolo dei distinti attori sociali – dice Martinez- il governo non parla né se ne discute quando sarebbe un imperativo etico dialogare sopra la gravissima diseguaglianza nella distribuzione della ricchezza. Alle promesse di lungo periodo del governo la CUT contrappone la sua “agenda corta” fatta di rivendicazioni precise dei lavoratori. Vanno bene i pur necessari incontri al ministero del lavoro replica Martinez aggiungendo: siamo noi, i lavoratori che trasformeremo la società.
Il progetto di paese che abbiamo in mente è diverso da quello attuale.
Rino Giuliani
Vice Presidente Istituto Fernando Santi