di G. Menardi e G. Valditara
Con l’apertura della nuova stagione politica domenica a Mirabello, Futuro e Libertà attraverso l’intervento all’annuale festa della Destra del suo leader Gianfranco Fini darà un segnale importante al Paese. Una delle questioni che dovremo affrontare sarà senza dubbio anche la questione del Nord nell’ambito di un più ampio progetto politico che ha l’ambizione di guardare all’intera Italia. Sarà un passaggio non facile perché è sulla divisione della nazione che si sono infranti partiti che hanno voluto viceversa rappresentare l’unità nazionale.
Tuttavia abbiamo il dovere di provarci perché è dalla porta della unità nazionale che passa la sopravvivenza della Destra italiana, coniugata nelle versioni che più ci piacciono, per noi quella cattolico-liberale.
Il primo nodo è quello della rappresentanza territoriale. Occorre trovare le soluzioni perchè gli interessi del Nord trovino adeguata rappresentanza nella classe politica nazionale.
Noi finiani, e prima di noi Fini ha posto la questione dell’agenda di governo chiedendo che essa non venga dettata dalla Lega. Dobbiamo saper rappresentare gli interessi delle regioni settentrionali attraverso una politica nazionale sensibile alle tematiche strategiche per lo sviluppo del Nord.
La secessione è stata posta da Bossi ma, come osservato da E.Galli Della Loggia, sarebbe emersa comunque anche senza la Lega, in sostanza ciò che oggi rappresenta la Lega esiste perché è sentito dalla gente del nord. Ci scriveva un cittadino imprenditore di cultura laico liberale profonda ” credo proprio che alla lunga sarà necessaria la secessione, abbiamo già troppe croste al nord, ormai è chiaro che non ce la facciamo a trascinare il sud ” Al nord i problemi sono reali e vissuti con frustrazione da chi a torto o a ragione sente di essere la motrice dell’Italia, a cui è impedito di camminare dalla inefficienza della pubblica amministrazione, dalla inadeguatezza delle infrastrutture, dai costi enormi dell’energia e della mobilità, dalla pressione fiscale eccessiva e dagli adempimenti fiscali e burocratici altissimi ed asfissianti, dagli scarsi investimenti in ricerca.
Tutto ciò si consuma nella globalizzazione che ci coinvolge e nella difficoltà per l’Italia di trovare uno spazio di crescita in un mondo iperindustriale nel quale la nostra nazione ha sempre più difficoltà a conservare ed inventare nuove produzioni con buon valore aggiunto.
L’industria non è in grado perciò di creare nuovi posti di lavoro, ma noi non possiamo più perderne pena la desertificazione industriale. Ci vuole una politica che riunisca le classi dirigenti e popolari sotto lo slogan ” non perdere neppure un posto di lavoro nell’industria”, anzi crearne di nuovi. Il futuro della industria non può essere affidato solo al confronto più o meno aspro tra industriali e sindacati, tra Marchionne e la Fiom. Ci vuole la presenza del governo altrimenti si rischia di assistere al pietoso dibattito sui licenziamenti di Melfi, dove la storia di tre poveracci, licenziati e poi reitegrati diventa il principale dibattito sul futuro della Fiat, dimenticando le vere sfide che il Lingotto deve affrontare. Non è la Fiom che farà vendere più auto alla Fiat e meno che mai la metterà in grado di competere con i tedeschi nei segmenti del mercato dove si guadagna.
Per questo come gruppo dovremmo chiedere che Berlusconi nomini subito il Ministro dello sviluppo economico che sia una persona qualificata in grado di raccogliere la sfida e di guidare o almeno accompagnare la ripresa industriale dell’Italia.
Futuro e Libertà dovrà saper raccogliere la richiesta che sale sempre più forte dai territori del Nord del Paese di una politica capace di realizzare quella grande rivoluzione di libertà e di progresso civile e morale che ormai da quasi 20 anni non ha ancora trovato una realizzazione compiuta.