di Italo Bocchino
Da qualche giorno i vertici del Pdl con toni più o meno eleganti stanno ponendo all’opinione pubblica e al Quirinale problemi seri sul rischio di crisi del governo e conseguenti scenari, dalle elezioni anticipate a un esecutivo alternativo a quello attuale.
Cominciamo dalla crisi. Non si comprende per quale ragione si voglia ricorrere al voto quando è evidente che non c’è nessuna crisi di governo in atto. I gruppi parlamentari di “Futuro e Libertà per l’Italia” hanno detto con chiarezza che garantiranno la fiducia al governo per l’intera legislatura e che voteranno tutti i provvedimenti facenti parte del programma elettorale. È su quello, infatti, che si deve rispettare il mandato degli elettori e non su altri argomenti.
Detto questo la crisi di governo può aprirla soltanto Berlusconi con le sue dimissioni o il Pdl negando la fiducia al governo, così come accadde con il precedente Fanfani. E se ad aprire la crisi è Berlusconi per insofferenza verso Fini è lui a tradire il mandato popolare e a venir meno agli impegni presi con gli italiani.
Al momento c’è soltanto una crisi politica voluta dal presidente del Consiglio che ha espulso senza contraddittorio e in maniera illiberale Gianfranco Fini dal Pdl, provocando la reattiva nascita di due gruppi parlamentari che si dichiarano di centrodestra e appartenenti alla maggioranza. Con questa scelta Il Cavaliere ha violato il patto con gli italiani che in tutte le circoscrizioni elettorali sotto il simbolo del Pdl avevano trovato i nomi dei capilista Berlusconi e Fini. Quando si parla di Costituzione materiale che spinge verso la democrazia diretta si aggrava la posizione politica e istituzionale di Berlusconi, che cacciando Fini per lesa maestà ha violato la volontà degli elettori che in tutta Italia avevano scelto un’accoppiata e non un uomo solo al comando.
La crisi non c’è quindi, la fiducia da parte dei gruppi di Fli ci sarà per tutta la legislatura ed è del tutto inutile parlare di elezioni anticipate. A meno che Berlusconi non desideri rompere il patto con gli elettori e puntare allo scioglimento delle Camere solo per non vivere la concorrenza politica di Fini. In tal caso sarebbe lui a ribaltare il voto e a gettare la spugna, dando la parola al Parlamento che avrà il diritto-dovere di esprimersi dopo che il presidente del Consiglio ha rotto intenzionalmente e unilateralmente la maggioranza scelta dagli italiani.