Con la caduta del muro di Berlino sono crollati ruoli ed equilibri che hanno garantito all’Europa ed al mondo intero di vivere di in uno stato di pace apparente o, se si preferisce, in una guerra non guerreggiata, per alcuni decenni. Il crollo del muro ha anche imposto ad alcune potenze europee una presa di coscienza, tanto triste quanto inaspettata, del reale significato di appartenenza in termini di partecipazione economica ed intervento in difesa degli interessi strategici dell’alleanza atlantica. Per quelle nazioni, come l’Italia, che per lunghi anni si sono cullate nelle potenti braccia americane, ciò ha significato un repentino adeguamento dello strumento militare e dei processi di analisi strategica.
Lo strumento militare si è trasformato, nel volgere di pochissimi anni, da elemento sostanzialmente “statico” volto alla protezione delle patrie frontiere dall’attacco di un nemico noto e ben definito, in un elemento altamente “dinamico e proiettabile” in sintonia con i partner occidentali. Questa trasformazione è stata il frutto di una “riforma congiunturale” dettata dagli stravolgimenti internazionali, e non il risultato di una “riforma strutturale” successiva ad un’attenta analisi di politica di difesa inserita in un più ampio quadro di politica internazionale (possibilmente condivisa – ammesso che ne abbiano una) ed analisi strategica degli interessi nazionali ed internazionali.
No, ancora una volta non è successo. Non è successo perché l’Italia è un paese che dedica poca, se non scarsa attenzione, alla Difesa ed ancor di più alle Forze Armate. I maggiori quotidiani raramente si occupano di difesa, e se lo fanno è per raccontare dell’ennesimo attentato che ha visto coinvolti i nostri Uomini; i telegiornali dedicano un servizio di poco più di un minuto alle vite spezzate dei nostri coraggiosi e silenziosi Eroi ed invece lunghissimi servizi alle vicende di Belen che si droga o all’ennesima multa/arresto di Corona. Ai politici men che meno la Difesa non interessa. In nessun programma elettorale è stato mai dedicato un congruo spazio alla Difesa, il parlamento non se ne occupa, non si producono documenti di indirizzo strategico, non lo si fa perché semplicemente non interessa! Eppure le decisioni “strategiche”, in un paese normale, sono proprie del decisore politico, che non può sgravarsene scaricando la responsabilità agli “addetti ai lavori” (quando ciò si verifica si da vita ad una casta autoregolamentata su cui poco o nulla si può).
Nessun paese normale può aspirare a ricoprire un ruolo di una certa rilevanza nello scacchiere internazionale se non supportato da un valido, efficiente e moderno strumento militare. È ovvio che ciò ha un costo, sicuramente tanto alto quanto vitale per la vita democratica del paese, di cui non si può fare a meno. Per capire quanta attenzione è dedicata alla politica di difesa basta dare uno sguardo ai bilanci dei nostri partner (fare il paragone con quello americano sarebbe cosa troppa facile e non equilibrata, gli USA spendono il 4,2% del PIL, non paragonabile a nessun paese europeo).
I sudditi di Sua Maestà la Regina (con PIL e popolazione paragonabili ai nostri) spendono oltre 35 miliardi di sterline ovvero circa il 2,9% del PIL. La Francia a fronte di una popolazione di circa 62 milioni spende l’1,9% del PIL, la Germania 1,3% e noi, che in termini di partecipazione alle Operazioni internazionali siamo secondi dopo il Regno Unito, solo lo 0,9% del PIL. C’è qualcosa che non va. Facendo riferimento alla saggezza popolare si potrebbe dire che questa ricorda la politica “della botte piena e della moglie ubriaca”. L’Esercito Italiano che in termini di personale è tra le Forze Armate la più impegnata in operazioni internazionali ha visto ridurre sensibilmente il budget (come tutto il comparto difesa) ma non gli impegni. Infatti, le spese per la voce “esercizio” necessarie a garantire la funzionalità e l’efficienza dello strumento, ovvero: formazione, addestramento e manutenzione sono passate dai 1028,4 milioni di € del 2004 ai 337,4 milioni di € della legge di bilancio 2009, che costituisce appena il 6% del bilancio dell’EI mentre il 16% in “investimento” ed il 78% in spese per il “personale”.
Questi dati impongono una riflessione seria che tenendo ben presente le esigenze di bilancio, la congiuntura economica e soprattutto gli interessi nazionali e dell’Alleanza suggeriscono una riforma che miri a modellare uno strumento ancora più snello, efficiente ed interforze. Il taglio alla spesa pubblica impone decisioni difficili ma, talvolta, salutari, che possono incentivare l’ottimizzazione delle strutture in chiave interforze, soprattutto in quegli ambiti non propriamente operativi, ovvero: logistica, formazione ed amministrazione. L’ottimizzazione di questo tipo di enti oltre a ridurre ed accentrare le strutture di comando con relativa diminuzione di spesa permetterebbe di poter disporre di un numero maggiore di forze operative.
Non dovrà essere una riforma imposta dalla politica, assolutamente no, ma non deve essere considerato un sacrilegio parlare di riforme strutturali ragionate e condivise. Alcuni nostri partner atlantici, primo fra tutti il Regno Unito (anch’esso alle prese con una profonda crisi di bilancio), stanno considerando riforme che possono sembrare radicali come, la soppressione/smembramento della tanto famosa quanto gloriosa RAF (Royal Air Force) o l’accorpamento dei Royal Marines al Royal Army, obiettivo? Riduzione delle spese ed ammodernamento dello strumento militare.
L’Italia è una Nazione giovane ma dalla memoria corta, con un rapporto particolare se non difficile con le proprie Forze Armate e troppo spesso non ricordiamo quanto e quale è stato il tributo dei nostri Uomini in divisa in ogni dove ed in ogni come. Oggi come ieri la comunità internazionale ha sempre parole di lode e di stima per i nostri militari, che impegnati in tutto il mondo portano, silenziosamente alto e con onore il nostro amato Tricololore. I nostri militari usano obbedir tacendo ed è grazie a questo loro modus operandi che la situazione non è ancora irrimediabilmente persa, e per questo la Nazione ha un debito nei loro confronti, non possono essere ripagati con non curanza.