I “pre-giudizi”, i falsi testimoni e l’eterogenesi dei… Fini

di Antonio Buonfiglio

Da alcuni giorni sembra non vi sia altro tema da sottoporre all’opinione pubblica se non quello del cosiddetto affare monegasco.
Eppure non serve una acutissima analisi per rendersi conto della colossale montatura orchestrata ai danni di Gianfranco Fini.
Proviamo a ricostruire la storia con delle postille che possano almeno far riflettere su quelle suggestioni estive che vengono “spacciate” – è il caso di dirlo trattandosi di robaccia – per assiomi.
In apparenza non è difficile individuare i mandanti dell’operazione che, a parte i giornali , neppure hanno avuto premura di celarsi: si pensi al collega Stracquadanio che, nel rivendicare l’uccisione mediatica di Boffo, ha apertamente ammonito il Presidente della Camera sul trattamento che gli sarebbe stato riservato durante la pausa estiva.
Semplice nota cronologica: tanto è avvenuto appena conclusa la votazione sulla mozione Caliendo e, soprattutto, quasi contestualmente alla costituzione dei gruppi parlamentari di futuro e libertà. Esempio di straordinario tempismo e singolare solerzia.
Né possono essere sfuggiti anche agli osservatori meno attenti gli esecutori della bastonatura mediatica e finto-giudiziaria.
Pensate che – e il Giornale lo aveva pure presagito (potenza della pronoia di pericliana memoria) – la magistratura si è interessata alla questione, come atto dovuto, a seguito di una querela presentata il 28 luglio da due esponenti de La Destra di Storace, in quel di Monterotondo ; querela che, in maniera miracolosa – poi c’è chi dice che non esiste più il giornalismo d’inchiesta!- è stata riprodotta integralmente dallo stesso quotidiano.
Dall’esame del testo si evince chiaramente la consapevolezza dei querelanti delle scarse possibilità di successo nelle sedi appropriate e, dunque, della volontà di ottenere – alla faccia della coerenza contro la giustizia mediatica – una condanna a mezzo stampa, almeno quella di provata fede (minuscolo o maiuscolo?) ed un risultato pratico e tangibile.
I querelanti, infatti, consapevoli di essere usciti dal partito,presunto erede, ben prima della cessione dell’immobile, per auto-legittimarsi come parte lesa e, comunque, giocare un ruolo attivo nel procedimento, ricorrono ad un doppio espediente: da un lato, si autodefiniscono portatori di un interesse che accomunerebbe loro e tutti gli aderenti al vecchio Msi, ad An e a tutti i partiti da essa derivati, dall’altro, ipotizzano una fattispecie aggravata perché, disconosciuta la qualità di persona offesa -e non potrebbe essere altrimenti- il presunto reato sia perseguibile d’ufficio.
Dimenticando, i postulanti, di essere usciti da An ancor prima della cessione dell’immobile.
Del resto, neppure l’eventuale appartenenza al Msi, già sciolto addirittura al momento della disposizione testamentaria, viene loro in soccorso.
Perciò, fuori da una malposta fattispecie aggravata, sarebbe interessante comprendere quale sia l’interesse che li spinge.
Ma qui viene fuori, come in tutti i gialli che si rispettino, il movente convergente di vecchi missini, ex aennini e nuovi pidiellini che concorre, e, in alcuni casi supera, quello della bastonatura mediatica.
Tutta la macchinazione, infatti, ha come ulteriore obiettivo quello di coinvolgere delle oneste persone che, in anni di storia difficile, travagliata e quasi mai di Governo, hanno consegnato ad una comunità politica, quella di An – e solo ad essa! – oltre ad un patrimonio morale da conservare in una costituenda fondazione, un patrimonio economico.
L’intento di delegittimazione, presupposto della revoca dagli incarichi degli organi di garanzia della fondazione posti a tutela del patrimonio di An, è chiaro: annullare la volontà assembleare dell’ultimo Congresso.
Finalità anch’essa poco celata se si considera che, almeno secondo quanto riportato dalla stampa amica, il Senatore Gamba, in questi giorni, ha rilasciato un’intervista nella quale, tronfio, ha affermato di aver modificato la delibera assembleare per imporre una sorta di commissariamento al comitato di gestione che, ad oggi, regge le sorti della costituenda fondazione.
Parafrasando Del Noce, e scherzando sull’assonanza, stiamo assistendo ad una doppia eterogenesi dei fini: persone di indubbia onestà e capacità, da un lato vengono condotte sul banco degli imputati, ree di aver conservato, sciolto il partito, l’ingente patrimonio economico di An per destinarlo alla conservazione di quello morale; dall’altro, divengono strumento dell’attacco istituzionale, politico e personale, in carenza di motivazioni giuridiche, alla terza carica dello Stato che, nel tempo, ha alimentato quel patrimonio, morale e materiale, con concrete disposizioni e manifestazioni di volontà.
Dimenticano, infatti, quelli che oggi parlano tanto, mentre prima solo assentivano, che per le leggi italiane e per la natura dei partiti, quel patrimonio avrebbe potuto avere, legittimamente, altra sorte e consistenza.
E che importa se la questione non ha o non avrà alcuna rilevanza penale! Che importa se, a differenza di altri casi, evocati a sproposito, qui si parla di soldi privati lasciati a dei soggetti privati (sarebbe carino – e sorprendente – scoprire tutti insieme a chi) comunque rigorosamente conferiti in bilanci approvati all’unanimità.
Ma si sa, in certi casi, si preferisce dire non c’ero o se c’ero dormivo.
Tutto questo non importa, quel che conta è testimoniare dinanzi ad un “tribunale speciale” che ha sollecitato l’inchiesta, pubblicato la querela, letto il capo d’imputazione, con il documento della direzione del 22 aprile che indagava i dissenzienti, individuato la parte lesa, con la denuncia del 28 luglio, pronunciato la sentenza con il documento della direzione del 29 luglio ed affidato, dopo la sua pubblicazione, l’esecuzione al tribunale del popolo: decapitazione attraverso petizione, i tagliandini sono distribuiti gratuitamente con il quotidiano. Ad ascoltare Cicchitto l’esecuzione avverrà a fine agosto, quando il Giornale – non il Magistrato – avrà esaurito la sua inchiesta.
E per completare il quadro di forza liberaldemocratica il regolamento di disciplina del partito deve essere emanato dopo il compimento dei fatti oggetto della contestazione e un attimo prima del deferimento dei dissenzienti e della sentenza di espulsione del co-fondatore.
L’obiettivo annunciato deve essere raggiunto, costi quel che costi: l’aggravarsi della crisi economica o il divampare di quella istituzionale. Al di là degli appelli, i personalismi abbondano, il reato commesso è grave, la lesa maestà e la libertà di pensiero non si perdonano e, per questo, vengono rispolverati anche i vecchi proverbi: chi è causa del suo mal pianga se stesso.
Non sarebbe più utile, invece, approfittare di questa fase per riparlare in profondità del bene dell’Italia, degli obiettivi concreti del Governo, del programma, entrando nel merito dei provvedimenti da attuare alla ripresa, cercando di rispettare il mandato ricevuto dagli elettori per portarlo a compimento nella sua interezza o definendone insieme le priorità, piuttosto che brandirlo come una clava?
La precisazione non è peregrina giacché si parla molto di quanto contenuto nel programma ma mai di tutto il programma.
Si invoca il federalismo ma mai la riforma del sistema fiscale; s’innalza il vessillo delle intercettazioni – dove peraltro con la discussione un accordo è stato trovato – e si dimentica il quoziente familiare; si esalta la lotta agli sprechi ma si dimentica l’abolizione delle province.
Ripartire dal programma per attuarlo e definirne le priorità è la vera scelta politica che una maggioranza, nel suo insieme, deve fare. Il prendere o lasciare, più che una cartina di tornasole per valutare la lealtà è solo un espediente per andare alla rottura, ma chi vorrà questo se ne prenderà le responsabilità e ne subirà le conseguenze, la metafora delnociana, infatti, è come la livella: democratica.
L’alternativa, altrimenti, sarà di continuare a parlare di case e di affini, di petizioni popolari e di rapporti con le televisioni.
Si può fare, sono materie nelle quali siamo preparati e molti hanno qualcosa da dire, ma tutto questo condurrà, inevitabilmente all’ingovernabilità, immediata o alla prossima legislatura quale che sia la data delle elezioni.
Spetta a chi ha le maggiori responsabilità istituzionali, ai gruppi parlamentari maggioritari, alle dirigenze di partito porre fine alle campagne mediatiche, ai dossieraggi ed alle epurazioni.
Non si può porre fine ai dibattiti spegnendo le opinioni; gli uomini come i pesci si prendono dalla testa.
Diversamente, nessuno potrà sapere, sempre per la famosa teoria dell’eterogenesi dei fini, quali scenari si apriranno.
Di fronte ad una crisi istituzionale che, a quel punto, non avrebbe precedenti, sarà solo la Costituzione e la sua fedele applicazione a restare in piedi, a meno che non si organizzi una petizione per abolirla.
L’apertura di una crisi, al di là di quello che si desidera, ha una sola conseguenza certa: il passaggio delle responsabilità dal Governo e dalla maggioranza all’intero Parlamento, che avrà il dovere di assumerle e di tentare qualsiasi strada per la normalizzazione e per una via di uscita ragionevole e ragionata.
Non si può escludere che un’area vasta di responsabilità si formi e, per sgombrare il campo da ogni pregiudizio e dall’anti-politica, esperita negativamente la prima strada, tenti, prima di andare alle elezioni, di affrontare e risolvere alcune anomalie italiane.
A proposito stavolta non imbarazza nessuno la convergenza parallela con la richiesta di elezioni immediate di Di Pietro?
Per uscire dall’instabilità, infatti, sarebbe necessaria almeno una riforma elettorale.
Tutti l’hanno criticata, nessuno la ama, lo stesso autore ne ha disconosciuto la paternità; sarebbe assurdo riproporla qualora, per due volte consecutive, avesse portato all’ingovernabilità, non per difetto ma per eccesso di semplificazione. L’obiettivo dell’altissimo premio di maggioranza è troppo ambito per permettere sintesi ragionate prima delle elezioni, ma l’assenza di sintesi è la morte della politica.
Neppure si può escludere che, se l’area di responsabilità diventa anche l’area della volontà, nello stesso periodo siano affrontate anche altre distorsioni dell’Italia: dalla qualificazione effettiva della cittadinanza alla disciplina dei partiti politici, dalla regolamentazione del mondo dell’informazione al rapporto tra politica ed affari.
Insomma, proprio per opporsi alla volontà degli incendiari di bruciare tutto in una guerra-lampo contro i dissenzienti, molti, animati dal disappunto delle tifoserie, potrebbero dar vita ad un vero patto repubblicano che riporti l’Italia alla normalità. Potrebbe essere un buon modo per festeggiare i 150 anni dell’Unità e realizzare il sogno del 1994: la creazione di uno Stato forte, formato da cittadini liberi.
Vorrà dire che chi ama l’Italia ripartirà da lì, gli altri se la vedranno con l’eterogenesi dei…

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