di Benedetto Della Vedova
Onorevole Presidente, signori del Governo, colleghi,
il nuovo gruppo parlamentare “Futuro e Libertà per l’Italia” è formato da deputati che avrebbero voluto restare nel Popolo della Libertà e lì partecipare ad un vitale confronto di idee e di personalità che, guardando all’Europa, costruisse il futuro di un grande partito liberale e moderato nell’interesse del paese.
Ci è stato detto in modo categorico che ciò non era ammissibile; che le nostre proposte e le nostre ragioni, i nostri contenuti e le forme che sceglievamo per esprimerli erano incompatibili con il partito e con la sua leadership. Il “nuovo” partito del centro-destra, a quanto pare, non avrebbe potuto tollerare quella dialettica politica, aspra e competitiva, che caratterizza in tutto l’Occidente avanzato la vita politica interna dei grandi partiti di centrodestra.
Non abbiamo capito, ma ci siamo adeguati. Ne abbiamo preso atto, ma non ci siamo rassegnati. Ora la maggioranza parlamentare, alla Camera come al Senato, è composta da tre gruppi, compresi quelli di Futuro e Libertà per l’Italia.
Siamo in maggioranza e sosterremo lealmente l’esecutivo, lavorando per migliorare e accelerare l’attuazione del programma di governo. Per il resto, fuori dal perimetro del programma, andremo ad un confronto aperto, senza pregiudizi ed ostilità. Nulla di meno, nulla di più.
Veniamo al voto di oggi.
Noi siamo garantisti senza se e senza ma. Lo siamo per le migliaia di persone che stanno in carcere, in condizioni incivili, ancora in attesa di un processo. Lo siamo per quegli immigrati che vengono respinti come irregolari prima che si verifichi se abbiano o meno i requisiti per ottenere l’asilo politico; lo siamo per quelle decine di migliaia di imputati e vittime dei reati, che sono condannati dalle inefficienze del sistema giudiziario ad attendere per anni, spesso inutilmente, che la giustizia faccia il suo corso. Lo siamo per tutti, lo siamo anche per i politici, che di fronte ad un’indagine o ad un’imputazione, non sono né più, né meno innocenti dei comuni cittadini.
Il perimetro della responsabilità penale non coincide però con quello della responsabilità politica. Nessun politico ha il dovere di dimettersi per il solo fatto di essere indagato. Ma nessun politico può essere difeso, a prescindere da qualunque altra considerazione, solo perché è indagato. L’avviso di garanzia non è una condanna preventiva, ma la presunzione di innocenza non assicura l’immunità politica. Siamo contro gli opposti estremismi di chi ritiene che un avviso di garanzia debba fare scattare la tagliola delle dimissioni e magari della decadenza dalle cariche pubbliche e di chi, al contrario, ritiene che per valutare le responsabilità di un politico indagato occorra attendere la pronuncia definitiva dell’autorità giudiziaria. Si tratta di due errori uguali e contrari, in cui la politica italiana è già caduta in passato e da cui deve guardarsi per il futuro.
Se oggi la cosiddetta “questione morale” torna in primo piano, non dobbiamo confondere la causa con l’effetto. Sono i fatti a creare allarme, non l’allarme a creare i fatti. La crisi economica sta mettendo alla prova la società italiana: la storia ci insegna che è in questi momenti – quando la disoccupazione cresce, tante imprese sono in difficoltà e le famiglie sono costrette a ripensare i propri progetti di vita – che si diffonde la sfiducia per la politica e per le istituzioni e che novelli agitatori di piazza hanno gioco facile. Ed è in queste situazioni che la politica ha maggiormente il dovere di dare un’immagine di trasparenza, di correttezza, di legalità nell’esercizio del potere pubblico, di meritocrazia nella selezione della classe dirigente e nella valutazione delle sue responsabilità. E’ questo un importante capitale sociale, fondamentale perché una nazione possa ritrovare la strada della crescita e del benessere.
Senza moralismi, dobbiamo dire forte e chiaro che la questione dell’etica pubblica e dell’etica politica ci riguarda tutti, perché su questo tutti insieme verremo giudicati.
Negli ultimi mesi le inchieste giudiziarie, e non solo queste, hanno fatto emergere condotte, di cui è interamente da accertare il rilievo penale, ma di cui sarebbe da incoscienti sottovalutare la portata politica. E’ inutile, oltre che dannoso, addebitare la responsabilità ad un complotto politico-mediatico. Altra cosa, che invece va fatta a voce alta, è chiedere che i media raccontino le indagini senza emettere sentenze sommarie in assenza di contraddittorio.
In questo clima, tornano a soffiare i venti di un giustizialismo aggressivo e di uno pseudo-garantismo peloso. Non tutto è uguale, non tutto è ugualmente censurabile, non tutto è ugualmente difendibile. Ogni caso fa storia a sé. Per stare alle vicende che hanno coinvolto membri dell’esecutivo, bisogna dire chiaramente che il caso Caliendo è diverso dal caso Brancher, che è diverso dal caso Cosentino, che è diverso dal caso Scajola.
Il collega Claudio Scajola si è dimesso da Ministro senza aver neppure ricevuto un avviso di garanzia. Ha sbagliato? No, ha fatto bene. Era opportuno che lo facesse e questo gli va riconosciuto.
Oggi si chiedono le dimissioni del sottosegretario Caliendo. Non voteremo a favore della mozione dell’opposizione. Come dicevamo, non tutte le vicende sono uguali e questa è molto diversa da quelle che l’hanno preceduta. Quanto emerge ed è dato conoscere – al di là, lo ripeto, del rilievo penale che non spetterebbe a noi giudicare – consente di contestare al senatore Caliendo una grave imprudenza e un’eccessiva confidenza con personaggi che non meritavano mè ascolto né credito, non la responsabilità di essere venuto gravemente meno ai suoi doveri.
Non sussistono i presupposti per chiedere le sue dimissioni. In questo concordo con il Ministro Alfano.
Ma, d’altra parte, e lo diciamo sinceramente, non può essere giudicato irrilevante che proprio il sottosegretario al Ministero della Giustizia sia sotto inchiesta per avere tentato di influire su procedimenti che interessavano importanti uffici giudiziari. Tocca al presidente del Consiglio, al Ministro della Giustizia ma innanzitutto al sottosegretario Caliendo valutare serenamente se una sospensione delle sue deleghe, fino al chiarimento definitivo della sua posizione, non sarebbe la cosa migliore da fare.
Per queste ragioni, il gruppo di Futuro e Libertà si asterrà.
Da ultimo, signor Presidente, ma non per ultimo: è molto positivo che su questa posizione equilibrata, su di un terreno dove abitualmente prevale un feroce scontro pregiudiziale, vi sia una convergenza tra gruppi di maggioranza e di opposizione, uniti dalla consapevolezza che serva un sussulto di responsabilità istituzionale in una fase tormentata della Repubblica.
Non è un nuovo partito. Non è il terzo polo. Noi restiamo senza esitazioni nella maggioranza i cui numeri oggi non cambiano, altri restano all’opposizione. Ma è una novità importante che al di là della azione del Governo, su temi che riguardano le istituzioni e il senso di comune appartenenza ad esse, non vi siano più steccati invalicabili. Questo è nell’interesse della Repubblica italiana.
Concludo, signor Presidente, ribadendo il voto di astensione del gruppo “Futuro e libertà per l’Italia”.