di Giuseppe Menardi*
Caro Direttore,
Ritengo abbia tutte le ragioni Gianfranco Fini nel sostenere la necessità di un’azione pedagogica e culturale che riaffermi il senso dell’unità nazionale. Per il presidente della Camera non è sufficiente contrastare le sortita propagandistiche della Lega, ma occorre anche “essere capaci di far capire che essere italiani significa riconoscersi in alcuni valori non trattabili che sono alla base di un’identità di un popolo”.
Partendo da questo concetto, coloro che si riconoscono a vario titolo nel Pdl dovrebbero porsi il problema di incalzare la Lega sul terreno della politica e della responsabilità di governo, sia a livello nazionale che nelle amministrazioni regionali e locali.
Da oltre vent’anni la Lega partecipa alla politica italiana, è rappresentata in Parlamento e oggi ha una squadra di senatori e deputati di tutto rispetto. E’ il pilastro dell’alleanza del centrodestra, consentendo a Berlusconi di superare abbondantemente la maggioranza parlamentare, grazie anche alla legge elettorale costruita da Calderoli e da lui stesso definita “porcellum”.
Bossi è stato contro il sistema della prima repubblica cavalcando l’onda di Mani pulite; ha aderito al patto di maggioranza del primo governo Berlusconi, poi l’ha fatto cadere favorendo la formazione del governo Dini; fino al 2001 ha giocato sul secessionismo con il governo e il parlamento della Padania; quindi è entrato nel secondo governo Berlusconi ed è rimasto nella maggioranza berlusconiana.
Eppure ancora alla recente adunata di Pontida i militanti del Carroccio giravano in magliette con la scritta “Lega di lotta e di governo”, parafrasando un vecchio slogan dalla sinistra. Quell’ossimoro politico incarna la linea che nell’ultimo decennio ha caratterizzato il partito di Bossi.
Sovente la Lega è stata indicata come uno dei grandi partiti regionali presenti nella esperienza europea, spagnola e tedesca in particolare, ed è sicuramente questa una delle cifre che connotano il movimento. Tuttavia la Lega a differenza degli altri partiti regionali europei non è mai riuscita ad andare oltre la rappresentazione elettorale rimanendo chiusa nel recinto del partito carismatico. Vedremo ora se i governatori leghisti Cota in Piemonte e Zaia in Veneto sapranno articolare un’azione propulsiva di sviluppo realizzando nei territori di competenza quanto hanno fatto i Ghigo e i Galan nei loro mandati. L’augurio è che riescano a fare anche meglio, augurio che va esteso ai presidenti di provincia e agli amministratori leghisti con ruoli di primo piano.
Anche per la politica, infatti, prima o poi arriva il momento in cui si tira una riga e si sommano i risultati. E in quel momento le chiacchiere stanno a zero.
* Vicepresidente Commissione Lavori pubblici e Comunicazioni del Senato