di Benny Calasanzio
Se L'Agenda Rossa di Paolo Borsellino era la narrazione di quei 57 giorni che trascorsero dalla strage di Capaci a quella di Via D'Amelio visti dagli occhi di Paolo Borsellino, scanditi dagli appunti trovati su un'altra agenda del giudice, L'Agenda Nera della Seconda Repubblica (ed. Chiarelettere) è invece il racconto di quei giorni visti dall'altra sponda del fiume. E' fondamentalmente il racconto di come si sia riusciti ad insabbiare le indagini sul terzo livello di cosa nostra e si sia consegnata ai familiari del magistrato morto in via D'Amelio una falsa verità. Per dirla in maniera commestibile anche ai palati più a secco di storie di mafia, ben sei processi e due sentenze della Suprema Corte sull'eccidio Borsellino, Loi, Traina, Li Muli, Cosina e Catalano sono state fondate su solenni “balle”. Sulle dichiarazioni di un collaborante, Vincenzo Scarantino, che le ha rese, poi trattate, poi confermate, poi ritrattate, poi riconfermate ed infine ritrattate nuovamente a seconda dell'umore e delle pressioni della sua famiglia, da sempre convinta della sua estraneità e che alla luce dei nuovi fatti sembra aver visto giusto sin dal primo momento. Un pentito che era persino stato riformato dalla leva militare perchè “psicolabile”. Psicolabile dunque ottimo da manovrare, da incastrare con pressioni fisiche e psicologiche, con violenze e torture oltre ogni limite cosituzionale; ottimo dunque da costruirci sopra svariati processi. Ma mai nessuno si è chiesto come potesse cosa nostra aver affidato ad un tale elemento la preparazione fisica della strage? Evidentemente nessuno doveva fare e farsi domande. Ma chi c'è dietro il più grande depistaggio della storia italiana che ora, venuto alla luce, sta gettando nel panico politici, magistrati ed investigatori? C'era, secondo i magistrati, innanzi tutto il gruppo investigativo Falcone Borsellino, guidato da Arnaldo La Barbera, che prima era stato estromesso dalle indagini e poi richiamato assieme al suo gruppo dopo le pressioni dei magistrati. Un gruppo in cui c'era anche Gioacchino Genchi, oggi consulente dell'autorità giudiziaria, che quando intuisce che a gestire le indagini non è più La Barbera, ma c'è qualcuno che lo sta manovrando e sta deviando le investigazioni lontano dalla più ovvia logica, dopo una sfuriata lunga una notte sbatte la porta e se ne va, mentre La Barbera gli confida in lacrime che chiudendo in fretta quell'indagine lo avrebbero promosso. E oggi Vincenzo Ricciardi, oggi questore di Novara, Salvatore La Barbera, della Criminalpol e Mario Bo, dirigente della polizia in Friuli, vecchi pezzi di quel gruppo, sono formalmente indagati per quei depistaggi e per quelle manovre oscure; La Barbera, indagato invece non lo è, ma solo perchè è morto nel 2002. Depistaggio per ragion di Stato, per rassicurare l'opinione pubblica e gli organi di uno Stato che è stato sull'orlo di un golpe, o per disegno eversivo spinto dai servizi segreti, di cui, e qui il vero scoop dei segugi de L'Ora, La Barbera era a libro paga, per portare a termine la trattativa con cosa nostra, di cui ha ampiamente parlato Massimo Ciancimino? Questo si chiedono gli autori Peppino Lo Bianco e Sandra Rizza, oggi al Fatto Quotidiano; un interrogativo che i magistrati della procura nissena stanno cercando di risolvere. Quello che rimane oggi sono alcuni ricordi, alcuni ritagli di quotidiani ormai sbiaditi, i classici profeti in patria mai ascoltati, come il magistrato Alfonso Sabella e Gioacchino Genchi, che per primi diffidano di quel balordo della Guadagna che al massimo era buono per spacciare droga di pessima qualità, e per prima compromettono le loro carriere mettendosi di traverso ad una manovra enorme e raffinatissima, che portava nel ventre infetto patti scellerati, leggi salvamafiosi e abbracci mortali tra politica e cosa nostra. Un depistaggio a cui purtroppo hanno abboccato senza esitare i pm dei vari processi, quei dibattimenti che oggi, di fronte alla collaborazione di Gaspare Spatuzza che ha definitivamente affossato le balle di Scarantino, sono a rischio revisione. In parallelo al depistaggio, sulle pagine dell'Agenda Nera, sono scandite le tappe che hanno portato alla nascita di Forza Italia, vecchio partito del premier Silvio Berlusconi; i boss che guardano con speranza al magnate dei media, le mediazioni di Dell'Utri, la promessa che in dieci anni il Governo avrebbe fatto tutto il possibile per alleviare i problemi dei boss. E una certezza, ormai ribadita in più decreti di archiviazione, che quell'ipotesi dei mandanti a volto coperto delle stragi, Silvio Berlusconi e Marcello Dell'Utri, non è mai stata cancellata, ma anzi alcuni elementi hanno accresciuto il quadro iniziale, insufficiente però ad istruire un processo. E nel frattempo Totò Riina, ampiamente scaduti quei dieci anni di mora, torna sibillino a farsi sentire: Borsellino l'avete ammazzato voi, lo Stato. Mai come in questo caso il nero è stato il colore del male. |
Vent'anni di menzogne
di Salvatore Borsellino Ho cominciato a sfogliare con particolare emozione le pagine di questo nuovo libro di Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza perché fu proprio sul precedente libro degli stessi autori L'Agenda Rossa di Paolo Borsellino che, dopo sette anni di silenzio, seguiti ai primi cinque anni dopo la morte di Paolo, cominciai a cercare gli elementi che potessero darmi le prove del mio convincimento. Il convincimento cioè che la sentenza di morte di Paolo Borsellino fosse stata emessa da quei pezzi deviati dello Stato e del sistema di potere che, dopo la strage di Capaci, avevano deciso di portare avanti quella scellerata trattativa che doveva servire a stabilire per il nostro paese un nuovo piano di equilibrio al prezzo, ancora una volta, di una “strage di Stato”. Ancora una volta, e con i nuovi elementi emersi in questo ultimo scorcio dei quasi diciotto anni che ci separano dalla strage Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza analizzano lucidamente i 57 giorni che separano la strage di Via D'Amelio dalla strage di Capaci. Analizzano tutte le menzogne che ci sono state propinate in questi anni, analizzano i depistaggi che ci hanno propinato un falso e assolutamente improbabile pentito come Scarantino perché non si arrivasse alla famiglia dei Graviano. Mentre scrivo questa breve nota mi arriva la notizia che al collaboratore di giustizia Gaspare Spatuzza, una delle fonti principali tramite le quali si è finalmente potuto arrivare a queste inconfessabili verità, è stato escluso dal programma di protezione. |