La protesta continua

Scendono ancora in piazza gli abitanti de L’Aquila, trasferiti in paesi irraggiungibili ed esclusi da ogni tipo di ricostruzione. Intanto nel centro della città tutto è fermo e il governo non ha i soldi per proseguire

Il suo volto peggiore, L’Aquila lo rivela di notte. Quando le case, che di giorno sembrano “normalmente” abitate, rimangono buie. E in silenzio. Quando cala il buio, poi, il centro vive un’anomala agitazione. Proprio nella zona rossa, quella interdetta agli abitanti e dove in molti nella fretta di fuggire al sisma hanno lasciato tutto, uno strano via vai di furgoni attira l’attenzione. «è il secondo turno degli operai – affermano gli aquilani – Di giorno sono impegnati nella ricostruzione. Di notte, arricchiscono il proprio portafogli entrando nelle case ormai abbandonate ». Un meccanismo perverso, spiegano e stesse persone che ne sono rimaste vittime. «Chi ha ottenuto un’abitazione con il pano C.a.s.e., infatti, è costretto a lasciare tutto nelle strutture pericolanti. Questo perché nei nuovi alloggi «non si può attaccare nemmeno un quadro». L’Aquila è un caso che andrebbe attentamente studiato. è forse il primo caso in cui chi deve essere aiutato si ribella a chi porta aiuto. «Qui tutti gli schemi sono saltati. Se pensiamo che sono proprio le forze dell’ordine quelle che nelle prime ore hanno portato avanti la protesta contro la progressiva militarizzazione del territorio attuata dalla Protezione Civile ». Ieri erano in quindicimila alla manifestazione partita dalla Villa Comunale. «Non è importante il numero dei partecipanti, potevamo essere di più come meno – dice Roberta –. Il dato più importante è la disintegrazione del contesto sociale». L’annuncio della proroga di sei mesi da parte del governo per il pagamento delle tasse arretrate era ampiamente previsto.«Anzi – ribattono i comitati – ce lo aspettavamo ieri mattina anziché martedì sera», affermano ironici. Per questo, infatti, l’organizzazione non ha subìto o previsto modifiche. Corteo doveva essere e corteo è stato. Con le questioni di sempre, rimaste irrisolte. Quelle di tanti abitanti de L’Aquila tornati proprio ieri nel capoluogo do-po essere stati trasferiti in «paesini irraggiungibili, dove solo tre settimane fa eravamo bloccati dalla neve ». Dove si chiede il motivo per il quale gli abruzzesi sono stati sistematicamente esclusi da ogni tipo di ricostruzione. Dove si accusano i politici locali «impegnati solo in inutili parate») e la politica («dove erano i partiti in questo periodo?»). Dove, soprattutto, si chiede un ritorno alla normalità.
«Non vogliamo altro assistenzialismo – recitava ieri un volantino del Comitato 3e32 distribuito durante la manifestazione – Sappiamo che sarà dura e vogliamo essere messi in grado di rialzarci in maniera autonoma senza dover aspettare sempre l’intervento dello Stato. Siamo stufi di essere trattati da terremotati sfortunati ». «Il nostro dramma deve tornare ad essere italiano, perché non è un problema solo dell’ Aquila ma delPaese», fa sapere il sindaco, Massimo Cialente, nel corso della sua partecipazione al corteo di protesta. «C’è stato un progressivo asciugarsi del rivolo – ha aggiunto il sindaco – la stessa Protezione Civile ha lasciato debiti, uno su tutti quello degli alberghi per i mesi da settembre a dicembre 2009». Oltre la protesta, poi, c’è la quotidianità. Quella che può portare inpiazza migliaia di persone. Ma anche quella contro la quale sbattere il muso. Quello che colpisce camminando per le vie del centro – anche all’interno della zona rossa – è il silenzio. Surreale per un luogo colpito da un terremoto oltre un anno fa e che invece ovrebbe essere animato dai lavori di ristrutturazione. L’immagine che la città offre a chi la visita è sì quella di un centro devastato dal terremoto. Ma sembra che il sisma sia avvenuto solo una settimana fa. Le macerie svettano ancora. Con tutto i loro carico di tristezza e dolore. Le piazze sono ancora vuote. «Non conviene spostare le macerie – dicono ancora gli abitanti più critici – Si tratta di un lavoro che si potrebbe fare in due mesi. Alla fine dei quali sarebbe chiaro che non ci sarebbero i soldi per ricostruire». I soldi sono lo snodo della ricostruzione. Per il governo. Che non ne ha più «a causa degli sprechi di un’emergenza affrontata male», secondo il Comitato 3e32. Un libro ha fatto i conti in tasca alla ricostruzione. Secondo Sabrina Pisu e Alessandro Zardetto, autori di L’Aquila 2010. Il miracolo che non c’è il piano C.a.se. ha divorato 800 milioni di euro, dando alloggio a meno di 15mila persone su un totale di 67mila senzatetto. Nelle 19 new town si affollano 4.500 appartamenti costati poco meno di 3mila euro al metro quadro, tre volte il prezzo di mercato. I soldi sono un problema anche per l’Aquila. La cui economia è al collasso, con quindicimila tra disoccupati e cassintegrati, artigiani e commercianti che non riescono a far partire le loro attività. Per questo, ieri, dall’Aquila è partito un uovo, ennesimo Sos.

Vincenzo Mulè
TERRA

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