La prova più alta

di Giuseppe Orsini

“Passio Christi, passio hominis”: questo il motto scelto dal Cardinale Severino Poletto, Arcivescovo di Torino, per l’Ostensione del 2010. Poletto ha inteso collegare passione, morte e resurrezione del Signore alla sofferenza dell’uomo – anch’egli destinato alla resurrezione – di ogni tempo e luogo. La Sindone, che quasi duemila anni fa ha avvolto la salma di un uomo crocifisso, testimonia quanto raccontano gli evangelisti Matteo, Marco, Luca e Giovanni. Gesù fu crocifisso verso mezzogiorno di un venerdì di aprile (presumibilmente nel 30 d. C.) e spirò verso le tre del pomeriggio. Venuta la sera (era la vigilia della Pasqua ebraica), Giuseppe d’Arimatèa, autorevole membro del Sinedrio, chiese a Ponzio Pilato di poter seppellire Gesù nel suo sepolcro nuovo, scavato nella roccia a poca distanza dal Golgota. Ottenuto il permesso, deposto il corpo di Gesù dalla croce lo avvolse in un lenzuolo acquistato appositamente e lo mise nella sua tomba (Gv 19, 38-42). Da quel momento, Gesù rimase nel sepolcro per due notti ed un giorno (33/36 ore) fino all’alba della domenica. Sulla Sindone è impressa l’immagine del corpo che ha avvolto. Non c’è traccia di decomposizione, né del corpo, né del lino che lo ha avvolto. Secondo il Vangelo di Giovanni, sì e no diciannovenne all’epoca, al quale Gesù – morente sulla Croce – affidò sua Madre, presente anche’essa ai piedi della croce e al momento della sepoltura, l’allora giovanissimo evangelista fu il primo a giungere nel sepolcro vuoto in cui vide la Sindone, anch’essa vuota del corpo che aveva avvolto, prova della Resurrezione di Cristo. Giovanni “vide e credette” (Gv 20,8). Giovanni e non Pietro. Solo Giovanni aveva visto come era stato deposto il corpo di Cristo. E il telo era vuoto: “E la sua “testimonianza è vera” (Gv 19,35). Quanto scrive Giovanni nei capitoli 19 e 20 del suo Vangelo è tutto fedelmente ‘impresso’ nella Sindone, che contiene anche il sangue versato da vivo per la flagellazione, l’imposizione della corona di spine, le ferite causate dalle cadute sulla “via dolorosa”, le abrasioni sulla schiena causate dal trasporto del supplizio, le ferite dei chiodi nei polsi e nei piedi. Ripeto: sangue di persona viva… Nella Sindone c’è anche il sangue di una persona già morta: quello uscito dalla ferita della lancia nel costato, da dove uscirono “sangue e acqua”. La composizione della salma con la mano destra sopra quella sinistra è una significativa differenza dal costume ebraico, segno evidente che il “condannato a morte” era ritenuto uomo giusto da chi ha composto il corpo per la sepoltura. Sulla Sindone c’è traccia del certificato di morte e sepoltura di un “condannato a morte”. Tutto è spiegato da Barbara Frale nell’articolo “La sindone di Gesù Nazareno”, riportato nella rassegna stampa del sito www.movimentoelia.org. Significativa l’appendice artistico-religiosa alla ostensione della Sindone del 2010. Mi riferisco alla Mostra: “Gesù. Il corpo, il volto nell’arte”, realizzata nella ristrutturata e spettacolare reggia di Venaria. La mostra, curata da Monsignor Timothy Verdon e aperta fino al 1 agosto 2010, presenta opere di Mantegna, Giorgione, Tintoretto, Guercino, Rubens, Michelangelo e altri. Grande la partecipazione alla ostensione della Sindone, anche nei giorni feriali: oltre due milioni di visite prenotate fino al 23 maggio, alle quali bisogna aggiungere i 70 mila visitatori non prenotati per ogni settimana. Le spese, 5 milioni di euro circa, sono state coperte da Regione Piemonte, dal Comune e dalla Provincia di Torino, dalla Cei (Conferenza episcopale italiana), dalla Fondazione Cassa di Risparmio e dalla Compagnia San Paolo di Torino.(Laici.it)

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