Io tifo MundiaLido

Sarà poi vero che gli italiani hanno il gusto di tifare contro? E poi quali italiani? Quelli “metropolitani” o quelli che vivono oltre i confini, di solito più indulgenti verso tutto ciò che riguarda l’Italia?
Il divo Mou, in occasione della recente finale di Champions, ha riaperto la questione, affermando che tutta l’Italia non interista ha tifato contro. Naturalmente, lo ha fatto a modo suo, piangendosi addosso e indicando chissà quali trame, che solo lui riesce a scoprire a getto continuo. Perché poi – il furbacchione – possa caricare la squadra e chiamarla non a vincere una partita, un campionato o una coppa, ma a lottare contro le forze del male e a smantellare il malefico complotto.
Un po’ come si faceva nel ’48, quando prima si dicevano peste e corna della Russia e poi, immancabilmente, a qualcuno appariva la Madonna.
Per quanto mi riguarda, non sono proprio nelle condizioni di gettare l’evangelica prima pietra. Qualche peccatuccio sulla coscienza, insomma, ce l’ho anch’io, sia quando perdo il sonno per la mia Fiore, comunque e contro chiunque giochi, sia quando assaporo lo squisito gusto amarognolo di una bella gufata contro qualche squadra o qualche personaggio calcistico che mi resta nel gozzo.
E però, visto che al divo Mou si è aggiunto anche il rustico Li (parlo di Lippi, naturalmente), che ha ripetuto ancora una volta che in Italia c’è un sacco di gente che tifa contro la stessa Nazionale, e visto che i tamburi dei Mondiali stanno già rullando chiamando il popolo a tenzone, qualche riflessione su questo voglio farla anch’io.
Perché per molti tifano contro? Vecchi retaggi di municipalismi di questi benedetti italiani, diranno alcuni, che hanno sempre avuto troppi padroni e non hanno mai incorporato il senso dello Stato. Espressioni distorte di appartenenza, diranno altri, dal momento che il tifo per una squadra è il legame più viscerale che si possa avere con qualcosa sul piano psicologico ed emotivo. Trovare un capro espiatorio per le innumerevoli frustrazioni quotidiane, dicono ancora certi miei colleghi psicanalisti, rappresenta un buon motivo di scarico delle tensioni, che altrimenti andrebbero ad ingrossare il bacino dell’aggressività.
Forse il gusto del tifare contro viene un po’ da tutte queste cose combinate insieme. Ma per la vita che tanti italiani attualmente conducono, con la disoccupazione che azzanna soprattutto i giovani e con la continua estensione dei confini dell’indigenza soprattutto per gli anziani, senza parlare del clima civile che quotidianamente si respira, non trascurerei l’ipotesi che molti di quelli che tifano contro cerchino un pretesto per sfogare privazioni e amarezze e prendersela finalmente con qualcuno per tutti i no che la vita semina.
Prendete il caso di quello che sta accadendo con i migranti che approdano in Italia, per inseguire tra noi il sogno di una vita meno agra e ingiusta. Li sospingono mille ragioni diverse, ma tutte pericolosamente somiglianti a quelle che hanno condotto milioni e milioni di italiani a coltivare la stessa speranza in tanti paesi stranieri. Ebbene, una bella fetta di italiani, aizzati irresponsabilmente da coloro che cercano di speculare sul colore della pelle delle persone per guadagnare qualche punto in più nell’evanescente classifica dei sondaggi, tifa contro di loro. Li considerano portatori di tutti i mali del mondo: furti, aggressioni, malattie, prostituzione, accattonaggio, insicurezza, commercio di droghe, concorrenza sleale con i lavoratori indigeni e via dicendo. Chi più ne ha, più ne metta. Dimenticandosi di quello che siamo stati noi italiani quando a milioni siamo stati migranti, non per diletto ma per necessità, come alcuni serie saggisti hanno documentato.
Siamo stati accusati di tutte queste cose, e anche di qualcuna in più, come esportazione di mafia e contaminazione di razze autoctone. Eppure in nessuno di quei paesi dove la canea contro di noi si è scatenata con i toni più elevati, nemmeno di quelli che hanno conosciuto le stragi di Aigues Mortes e di New Orleans, ci sarebbe oggi una fetta di opinione pubblica di una qualche consistenza pronta a confermare qualcuna di quelle accuse. Anzi, anche i paesi che durante la guerra hanno imprigionato gli italiani come nemici, come il Canada e gli Stati Uniti, hanno poi presentato le scuse alle nostre comunità per misure tanto gravi e ingiuste. Riconoscendo, in sostanza, il contributo che gli italiani hanno dato allo sviluppo e alla civilizzazione delle società nelle quali si sono insediati per vivere e per lavorare.
Ma intanto i mondiali incombono. Che fare? A favore o contro?
Io – parlo per me – una soluzione l’avrei trovata. Un po’ casualmente, ma l’avrei trovata. Nei giorni scorsi, l’occhio mi è caduto su una notizia pubblicata da La Repubblica in cronaca romana. Mentre il pentolone delle chiacchiere sui mondiali sta arrivando all’ebollizione, ha preso il via a Ostia la XII edizione del MundiaLido. Che cosa è? Un torneo amatoriale riservato a squadre interamente composte da immigrati. Pensate, 24 nazionali di paesi diversi, tutte dotate di regolari divise e con la possibilità di schierare un solo “straniero”. Unica eccezione la squadra “Senza Frontiere”, nella quale non ci possono essere più di tre giocatori appartenenti allo stesso paese. Fate un po’ i conti: 22 atleti amatoriali per squadra fanno complessivamente 528 atleti. Più gli accompagnatori, i curiosi, i tifosi. Migliaia di persone, migranti come noi siamo stati, che affermano gioiosamente il loro diritto di essere visti e considerati nel loro nuovo paese di adozione.
Che goduria: i marocchini battono i francesi per 5 a 1; i capoverdiani impongono il pari al grande Brasile. E via dicendo.
Avrete già capito come andrà a finire. Raccoglierò le energie che avrei speso ai Mondiali per tifare contro e le investirò per tifare a favore delle nazionali del MundiaLido. Tutte, nessuna esclusa.

Gino Bucchino

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