Marco Bellocchio: "In Italia la dittatura è interna alla democrazia"

di Gabriella Gallozzitutti

Guardate la finanziaria: chiedono ancora sacrifici alle classi più deboli mentre loro si tolgono il 5 per cento. È quasi più ridicolo che vergognoso. E tutto questo di fronte agli operai in cassa integrazione. Ma come? Viviamo nella società dell’immagine, no?! Allora dicessero: eccovi il 50 per cento dei nostri stipendi così guadagnerebbero almeno un po’ di dignità…». Neanche da Cannes è facile parlare di cinema per Marco Bellocchio. Le «urgenze italiane» travolgono tutto. Soprattutto qui sulla Croisette dove ancora risuona l’eco delle polemiche di Bondi sul caso “Draquila”. A distanza di un anno da “Vincere”, Bellocchio fa ritorno al festival per tenere la sua lezione di cinema davanti ad una platea osannante. Forse un «risarcimento», commenta, o meglio «un riconoscimento» per il suo film su Mussolini che, l’anno passato, uscì a bocca asciutta dal concorso. Ma che la sua rivincita l’ha avuta in seguito nelle sale francesi, nelle critiche entusiaste, nelle vendite in tutto il mondo e, l’ultima, nella vittoria a sorpresa dei David di Donatello. Il tema del suo film, del resto, è ancora così attuale non solo nell’Italia di Berlusconi, ma anche nell’Europa che svolta sempre più verso l’autoritarismo.

«Certo – dice Bellocchio – la situazione di smarrimento di oggi non è paragonabile a quella del ’22, ma è vero che l’attuale maggioranza lavora molto sulla paura, alla quale contrappone l’uomo forte, decisionista, autoritario. Berlusconi con la tv arriva dappertutto. È il grande fratello. A questo punto non c’è bisogno della dittatura militare: è interna alla stessa democrazia». Come spiegare tutto questo all’estero? «Gli stranieri si stupiscono della situazione italiana – continua Bellocchio -. Eppure Silvio Berlusconi non è un usurpatore, ma è stato votato dalla maggioranza del Paese. Bisognerebbe, piuttosto riflettere sull’atteggiamento della sinistra nei suoi confronti, su questo costante attacco frontale… Se l’obiettivo era scavalcare il cavaliere il tentativo è fallito completamente. Se il mio Vincere l’avessi intitolato Perdere sono sicuro che la sinistra sarebbe stata più contenta».

Il problema dell’opposizione, prosegue il regista, «è l’incapacità di articolare delle alternative. Siamo stati delusi dalla destra e pure dalla sinistra. Ma soprattutto da quest’ultima. Da Bondi certe cose me l’aspetto, non mi offende neanche, è semplicemente inadeguato al suo ruolo. La sinistra però… Penso alla riconferma di Alberoni al Centro sperimentale, per esempio. Non ho niente contro di lui, ma certamente non è uomo di cinema. Eppure è stato Rutelli a rinnovare il suo mandato. Ecco, ho come l’impressione che, al di là della politica, tutto sia deciso tra amici». Si è toccato davvero il fondo rincara Bellocchio. «E seppure non credo che la Lega conquisterà l’Italia, penso che sia vera la frase tanto di moda «il Pd non ha più la capacità di stare sul territorio». Dovrebbe piuttosto sforzarsi di cambiare davvero al suo interno: per gli ex non c’è futuro. Ci vuole una classe dirigente nuova che col Pci non abbia più niente a che vedere». Invece ci si continua dividere. Mentre gli attacchi, dall’altra parte si fanno sempre più pesanti. «Brunetta insulta dandoci dei ladri, dei parassiti, convincendo le persone che la cultura non serve a nulla. Nei confronti del cinema, poi, ancora peggio: pensano che quello italiano sia comunista e quindi via, lo rigettano completamente», coi drastici tagli al Fus che sappiamo.

Da soli, però «non si va da nessuna parte», dice Bellocchio. «Serve unità, per ricompattare tutto il mondo della cultura, senza ricorrere agli slogan di un tempo che non hanno portato a nulla. Per questo ho aderito al movimento dei Centoautori. Non è piu tempo di barricate, ma come dice Carla Fracci solo l’unione fa la forza. Bisogna rafforzare l’unità nel rispetto delle diseguaglianze e trovare un punto comune». Puntando ciascuno sulla qualità del proprio lavoro. Come Bellocchio ha sempre fatto, del resto. «A me – prosegue – non mi interessa l’invettiva, la polemica diretta, la derisione ad personam. Si può fare, certamente, contro Berlusconi, Scajola… figurarsi. Quello che cerco io però è l’approfondimento. Per questo sto pensando ad un film a partire dall’Italia di oggi. Il caso Englaro, per esempio, mi ha colpito come sintesi della disperazione e dell’ipocrisia di questa classe politica che pur di non perdere l’appoggio della chiesa è stata disposta a fare leggi incredibili che poi si sono perse chissà dove».

La cronaca di spunti ne offre infiniti. «Penso ancora ai finti ciechi che hanno richiesto la licenza per i taxi. Al museo in Sicilia con una sola visitatrice, al concerto interrotto al Pantheon perché i guardiani avevano finito il turno. Sono tutti casi fra il tragico e il grottesco che potrebbero costituire uno spunto. Al momento però, quello che più lo interessa è Sorelle, «un piccolo film familiare in sei episodi», che racconta il ritorno del regista a Bobbio, nella casa dei “Pugni in tasca”, insieme ai figli Pier Giorgio e la piccola Elena. E che probabilmente vedremo a Venezia.

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