di Valter Vecellio
“Bologna è una vecchia signora dai fianchi un po' molli”, cantava Francesco Guccini, e la definisce “arrogante e papale, rossa e fetale”, capace d' amore, capace di morte.
Di “rosso” c’è rimasto il colore cardinalizio di monsignor Cafarra, che peraltro almeno una volta la settimana dà voce e corpo alle posizioni più retrive della gerarchia vaticana; e magari un po’ di vergogna per quello che è venuto fuori sul conto dell’ex sindaco Delbono. Ma qui si divaga.
La storia – se ne è fatto cenno sabato scorso – riguarda una donna originaria della Tunisia. Una donna che cuce le labbra con ago e filo, disperata, dopo che si è vista respingere la domanda di asilo politico.
Questa donna è in Italia da otto anni. Da quattro è irregolare. Senza permesso di soggiorno, di fatto è clandestina; è finita in carcere per una storia di droga a Rovigo; poi l’hanno trasferita nel Centro di identificazione e di espulsione di Bologna; le hanno notificato l’ingiunzione di rimpatrio. La donna racconta di essere fuggita in Italia per sottrarsi ai soprusi e alle violenze del marito. C’è chi dice che debba pagare le conseguenze di una relazione extraconiugale. Come sia, ha paura, teme per la sua vita. Se mi rimandate nel mio paese, ha fatto sapere, sono morta. Mandatemi ovunque, se non mi volete qui, ma non in Tunisia. La paura del rientro l’ha spinta a questo gesto di autolesionismo: quattro punti nella carne viva. Portata in ospedale rifiuta le cure. I sanitari la sottopongono a perizia psichiatrica: è risultata perfettamente in grado di intendere e di volere, e dunque libera di respingere le medicazioni. Ora, su suggerimento della direttrice del Cie, l’immigrata, assistita da un legale, farà ricorso contro il rigetto della domanda di asilo politico. Dovrebbe far pensare che si sia costretti a gesti estremi come questi, per vedersi riconosciuti il diritto a vivere…
E’ una piccola storia, va inquadrata nella più generale politica del nostro paese verso gli immigrati. Una politica ottimamente riassunta dallo scrittore e autore teatrale Moni Ovadia sull’ “Unità” del 15 maggio: “Non c’è da stupirsi se in Italia abbia popolarità il governo che si vanta del sedicente accordo con la Libia che coniugato con i respingimenti impedisce ai clandestini di raggiungere le nostre coste condannandoli a un crudele destino di violenze, segregazioni, stupri, torture, morte per fame e sete. Lo abbiamo sentito raccontare da Laura Boldrini, rappresentante dell’Alto commissariato dell’ONU per i rifugiati nel TG3 della notte condotto da Bianca Berlinguer, abbiamo visto dai nostri teleschermi l’agonia per la sete di poveri esseri umani per la sola colpa di essere clandestini nei drammatici filmini del coraggioso giornalista Fabrizio Gatti. Sappiano coloro che in ogni angolo del pianeta approvano le leggi della vergogna, anche se solo per paura o viltà, che sono complici del crimine di strage”.
Ha ragione da vendere, Moni Ovadia, la sua nota è da sottoscrivere dalla prima all’ultima riga. Però è necessario un emendamento al suo articolo: quell’accordo con la Libia, da chi è stato votato, e da chi è stato contrastato, al momento di approvarlo? Moni Ovadia, e chiunque lo voglia sapere, non ha che da fare una piccola ricerca nell’archivio della Camera dei Deputati, consultabile anche via internet. Oppure provare a riascoltarsi il dibattito, trasmesso a suo tempo da questa emittente, e consultabile anche via internet: i deputati radicali, Furio Colombo e qualcun altro dissenziente, e proprio con gli argomenti sollevati da Moni Ovadia…Gli altri parlamentari, destra, centro, sinistra – anche in questo caso una unità nazionale – tutti a favore di quell’accordo con la Libia di Gheddafi; tutti, per usare le parole di Moni Ovadia, “anche solo per paura o viltà, complici del crimine di strage”.