Dopo lunghe settimane di rinvii e ripensamenti i governi europei sembrano essere pronti a intervenire per evitare che la situazione della finanza pubblica greca precipiti definitivamente.
Diciamo subito che le colpe principali della crisi greca sono dei governi che la Grecia ha avuto negli ultimi anni. Sotto questo profilo comprendiamo le preoccupazioni della Germania. Non è pensabile che chi si sia comportato in maniera dissennata sia poi salvato a cuor leggero.
La Grecia è stata male governata da anni.
Per troppo tempo, la spesa pubblica greca è cresciuta a tassi elevatissimi, facendo aumentare il numero di dipendenti pubblici, lasciando che la spesa pensionistica crescesse senza limiti.
La Grecia è, tra l’altro, un paese nel quale la corruzione è molto diffusa.
Il deficit pubblico greco (la differenza tra spese e entrate) è stato nel 2009 di oltre il 13 per cento anche se la soglia massima prevista dal Trattato di Maastricht è del 3 per cento.
Un ceto politico miope, interessato solo ad assicurarsi il consenso e la rielezione ha lasciato che il debito pubblico aumentasse e arrivasse al 120 per cento del PIL.
Ma la situazione greca è aggravata dal fatto che l’economia greca soffre di una grave crisi di competitività: le merci greche non sono competitive perché i costi di produzione aumentano molto e la produttività in Grecia è molto bassa. L’economia greca quindi si trova davvero in una situazione pericolosa. Nei prossimi giorni scadono quantitativi molto elevati di titoli pubblici della Grecia e si rischia che non ci siano risparmiatori e investitori disposti ad acquistarli. Si rischia insomma il fallimento, simile a ciò che avvenne in Argentina negli anni ’90.
A fronte di questo quadro in progressivo peggioramento però i governi europei non hanno saputo trovare con rapidità una soluzione. Si è andati avanti con semplici appelli, con raccomandazioni che ovviamente trovavano poco riscontro nel ceto politico greco.
Col passare delle settimane i mercati internazionali hanno ritenuto che un fallimento (default) della Grecia fosse possibile e quindi si è avuto un deterioramento del rating dei titoli greci e un aumento dei tassi sui titoli stessi, in questo modo si è avviata una spirale perversa. Tassi più alti significano più spesa pubblica necessaria per ripagare quei tassi stessi e questo faceva peggiorare il quadro della finanza pubblica.
Quello che abbiamo capito da questa crisi però è che l’Unione Europea non ha un vero meccanismo condiviso per affrontare le crisi di un paese membro. Questo è grave.
Il Fondo Monetario Internazionale invece ha strumenti e procedure consolidate per affrontare crisi di finanza pubblica come quella greca. I governi europei per orgoglio europeista hanno escluso la possibilità di un intervento rapido del Fondo Monetario senza però avere un vero piano alternativo.
Forse se noi europei avessimo consentito al Fondo Monetario di intervenire mesi fa la situazione sarebbe stata bloccata prima e a un costo molto più contenuto.
Non potevamo lasciare che la Grecia fallisse. Le conseguenze sarebbero state troppo gravi per tutta l’Unione europea.
Il nodo certo è: i soldi alla Grecia andavano dati ma ponendo delle condizioni chiare e dure al governo greco. Avremmo dovuto subito dire: ecco i nostri aiuti ma te li diamo a patto che tu tagli la spesa pubblica, fai le riforme strutturali, ti impegni a cambiare drasticamente la situazione per dare credibilità al piano di abbattimento del debito. Questo era ciò che il Fondo Monetario avrebbe chiesto per concedere un prestito; questo è ciò che, in alternativa, i governi europei avrebbero dovuto fare mesi fa. Invece lunghe ed estenuanti trattative. Ripensamenti. Paure. E intanto i conti pubblici greci peggioravano e peggiorava anche il conto che noi cittadini europei (italiani, tedeschi, francesi etc.) dovremmo pagare per aiutare la Grecia.
Ora però dobbiamo costruire al più presto un sistema europeo condiviso per affrontare queste situazioni ed evitare effetti contagio.
Altri Paesi, oltre la Grecia, sono in situazioni delicate.
In questo momento di così alto nervosismo dei mercati è importante che chi ha debiti pubblici elevati mandi segnali chiari. L’Italia ha un debito pubblico che nel 2009 è stato pari al 115 per cento del PIL e quest’anno sarà pari, probabilmente, al 120 per cento del PIL. L’economia italiana cresce poco, cresce meno di quella di gran parte degli altri paesi avanzati.
E’ ora che il governo Berlusconi riconosca i fatti e smetta di predicare sogni. Dobbiamo annunciare al più presto un piano di riforme strutturali che diano l’avvio a un processo serio di abbattimento del nostro debito e allo stesso tempo consentano all’economia italiana di tornare a crescere. Non dobbiamo, non possiamo rischiare di diventare noi il prossimo paese nel mirino della speculazione mondiale. Italia dei Valori da tempo chiede al Governo di mettere da parte le questioni personali di Berlusconi e di affrontare la crisi economica. Ora è il momento, prima che nubi di tempesta possano attraversare il Mediterraneo.