RADIOATTIVITA’ MILITARE

Il quotidiano Le Parisien svela i dettagli dell’operazione segreta “Gerboise verte”. Era il 25 aprile del 1961 e trecento soldati francesi furono esposti a un test «per studiare gli effetti sull’uomo delle armi atomiche»

L'uomo, si dice. E noi pensiamo a chi cade, a chi è perduto, a chi piange e ha fame, a chi ha freddo, a chi è malato, e a chi è perseguitato, a chi viene ucciso. Pensiamo all’offesa che gli è fatta, e la dignità di lui. Anche a tutto quello che in lui è offeso, e ch’era, in lui, per renderlo felice. Questo è l’uomo». Ecco un brano di “Uomini e no”, il romanzo di Elio Vittorini che celebra la Resistenza. Il 25aprile è appena passato ma resta forte in questi giorni l’incertezza, la paura del presente e del futuro propri del romanzo, del senso profondo del combattere, del morire, della disumanità che pure appartiene all’Uomo. sull’essere uomini, e no. nel 1961 all’Eliseo risiedeva l’eroe della Liberazione Charles De Gaulle che una volta disse: «Il patriottismo è quando l’amore per la tua gente viene per primo». Oggi, alla luce di un rapporto segreto della Difesa militare che svela i dettagli dell’operazione “Garboise verte” che il 25 aprile 1961 coinvolse 300 soldati francesi, quell’aforisma si svuota di ogni senso fino a diventare disumano, ferocemente disumano. Perché il patriottismo e l’amore per la propria gente non dovrebbero essere condizionati da alcuna ragion di stato. Ma cos’è “Garboise verte”? Duecentosessanta pagine agghiaccianti di un rapporto con il timbro “Riservato Difesa” che oggi, in possesso di Le Parisien svela cos’è accaduto durante la campagna francese per i test nucleari nel sahara algerino, tra il 1960 e il 1966. Garboise è la parola francese per Jerboa, un roditore del deserto del sahara, mentre “Gerboise verte” era il quarto e ultimo test nucleare lanciato nell’atmosfera. L’obiettivo
era «studiare gli effetti fisiologici e psicologici prodotti sull’uomo dalle armi atomiche». La relazione, scritta da un militare anonimo, descrive con grande precisione quello che accadde dopo la prova. «Dopo l’esplosione dell’ordigno – si legge – una pattuglia di veicoli fuoristrada ha ricevuto l’ordine di dirigersi nel punto “zero” per studiare la possibilità di un attacco nella zona contaminata (…) Dopo 35 minuti, la sezione ha proseguito a piedi. I veicoli li hanno seguiti a 100 metri di distanza. A 1.100 metri dal punto “zero” gli uomini hanno potuto vedere chiaramente il danno (…) Questa pattuglia si è fermata a 275 metri dal punto “zero”». I soldati sopravvissero e, per gli alti comandi militari, ciò significò che gli uomini sembravano «in grado di continuare la battaglia, dal momento che il morale non era troppo danneggiato e, in caso d’attacco militare vero, sarebbero potuti essere impiegati per “colpire” direttamente il nemico ». Un «problema» però era rappresentato dalle maschere antigas che complicavano le comunicazioni. Pertanto venne decisa la loro «sostituzione con una maschera anti-polvere comune». La vicenda rimase coperta dal segreto di stato fino al 1998, quando le Nouvel Observateur pubblicò la prima fuga di notizie. Il ministro della Difesa Hervé Morin, in un’intervista a Le Parisien, ha dichiarato di non conoscere il rapporto in questione, salvo poi, ricordando l’adozione di una legge del 22 aprile dello scorso anno sul risarcimento delle vittime dei test, assicurare che «le dosi (di radiazioni, ndr) ricevute erano molto basse”. Ma comunque, secondo il quotidiano, alla base di «danni irreversibili » nei soldati esposti. Erano Uomini, questi, o no?

Adele Parrillo
TERRA

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