di Stefano Schiavi
Passate le feste gabbato lo santo, il vecchio adagio popolare sembra quanto mai attuale e assimilabile a tutta una serie di situazione che caratterizzano l’Italia. Non fanno eccezione certo le analisi post regionali e, soprattutto, il duro scontro tra Berlusconi e Fini.
Innegabile la vittoria e la crescita della Lega Nord. Innegabile la vittoria della compagine governativa. Ma questo deve essere comunque una base di partenza verso il futuro, per un chiarimento interno, per la creazione di una struttura interna al Pdl. Per l’avvio alla fase che porti veramente il Pdl ad essere il partito delle libertà. La nascita di Generazione Italia può e deve essere questo punto così come lo sono sicuramente le rimostranze, gli accenti, gli acuti che in questi giorni hanno, giustamente, monopolizzato la scena politica nazionale. Creare e far crescere un partito vicino ai cittadini. Farli partecipi della vita politica del Paese per evitare quel distacco, quella frattura, che si allarga sempre più. Si chiama democrazia partecipativa che tanto cara era a tutti noi negli anni passati.
Strutturare il Pdl sul territorio significa anche questo. E questo è anche il segreto del successo leghista. Una Lega che da troppo tempo detta l’agenda del governo ad una intera maggioranza. Problemi di non poco conto, dunque, che sono sotto gli occhi di tutti e non solo dei cosiddetti “addetti ai lavori”. Partecipare attivamente alla vita politica del Paese vuol dire far crescere nuove classi dirigenti evitando la paura di rimanere senza poltrona. Il Pdl può essere tutto questo. Dipende da noi. E Generazione Italia può e deve essere un vero laboratorio di idee e di politica pratica. Tutto questo è possibile specie se la si smetterà con quello che in gergo militare viene chiamato fuoco amico. Perché fare un fronte di fuoco è facile, certi quotidiani e certe trasmissioni ne sono la prova provata. Così come certi documenti di ex amici (a questo punto non si può non chiamarli così). Più difficile è costruire. Lo sanno bene i molti amici con i quali, tantissimi di noi, hanno condiviso tutto. Per questo rimango stupito quando leggo sui giornali, nel web, o ascolto certi discorsi.
E non posso non esserlo perché la maggior parte delle accuse rivolte a Gianfranco Fini (e parla uno che è sempre stato dall’altra parte della barricata finiana), arrivano da quegli ambienti che in passato, ma lo fanno tuttora, si richiamavano all’Islam, alle rivoluzioni terzomondiste, ai diritti delle minoranze. Studiano con bramosia la Roma degli antichi padri, gli indoari, i cavalieri Templari, i diritti degli indiani d’America, convivono o sono divorziati, sono a favore del testamento biologico, sono tutto tranne che cattolici (a volte tutto e il contrario di tutto), hanno studiato Berto Ricci (senza comprenderne il vero significato probabilmente, specie sull’immigrazione) e via dicendo…
Già, sono proprio loro che mi meravigliano più di tutti. Più degli ex forzisti. Più dei leghisti. Mi meravigliano questi amici. Sì, mi meravigliano molto. Perché mai e poi mai ci siamo, mi ci metto anche io ovviamente, dedicati al razzismo e alla guerra al diverso da noi. Eravamo forse troppo occupati a combattere chi ci aveva rinchiuso in un ghetto? Troppo impegnati a difendere le sezioni e la nostra stessa vita?
Sì, lo eravamo, ma questo non ci ha impedito, come invece la vulgata popolare e sinistrorsa dell’epoca voleva far credere, di studiare, di affinarci, di fare discorsi ben fuori dagli schemi. Discorsi anche utopici, fantastici, tolkeniani. E ci piaceva tanto. Io non ho affatto dimenticate tutte queste cose ed è per questo che non mi ci metto nel coro di quelli che si scandalizzano se qualcuno che, tanti anni fa, non la pensava certo come noi, dice oggi le stesse cose che affermavamo con orgoglio e durezza noi.
Cari amici, credo che sia arrivato il momento di gettare la maschera, fare qualche minuto di autocritica ed autoanalisi. Ma soprattutto comprendere chi eravamo allora e cosa siamo oggi. Se avevamo ragione allora o se è giusto essere divenuti dei benpensanti oggi. Proprio come quelli che deridevamo e combattevamo 30 o 20 anni fa.
Si studiava e si studia ancora Roma. La Roma Caput Mundi. La Roma imperiale, di Augusto e dei trionfi di Tito e di Traiano.
Era un Impero razzista quello di Roma? O era un Impero che assorbiva come una spugna il meglio di tutti per poi donarlo ai romani? E che fine hanno fatto le lodi ai cavalieri Templari esempio di virtù ma soprattutto di intelligenza e di legami anche esoterici. I templari, simbolo di una cavalleria a cui tutti noi ci siamo rifatti inevitabilmente, proprio loro che avevano fatto del rispetto verso ebrei e musulmani un dogma? Sono stati loro il nostro esempio nella lotta. Nella nostra lotta? Io credo di sì senza ombra di dubbio e di smentita di sorta. Quanti di noi sono rimasti poi affascinati dall’Islam fino alla conversione? Quanti al buddismo, affascinati e suggestionati dalla lotta per la libertà del Tibet. Così come moltissimi hanno indossato la kefiah bianca e nera per sostenere la lotta del popolo palestinese (dimenticando o non sapendo che i palestinesi non sono arabi ma semiti proprio come gli israeliani). Proprio come è stato giusto dare sostegno agli irlandesi del nord o ai baschi… Vi ricordate quando inneggiavamo ad Augusto Cesar Sandino? O ai peronisti dei Montoneros che certo di destra non erano, o quando si scrivevano manifesti contro Pinochet e i Pinochet boys? Eravamo militanti del mondo.
Ed è per questo che il razzismo non è mai appartenuto al nostro modo di essere. E nemmeno l’intolleranza razziale. Sarebbero mille gli esempi da fare di giovani non certo “ariani”, come qualcuno li definirebbe, che hanno militato nelle nostre fila. Alcuni hanno anche dato la vita perché credevano in quello che credevamo noi.
E allora perché scandalizzarsi tanto se oggi qualcuno afferma quello che affermavamo noi 30 anni fa? E allora, sì alla regolamentazione, sì a leggi che vengano realmente applicate, sì al rispetto delle regole da parte di chi arriva da noi con sogni e speranze, si alla definizione di diritti e doveri.
Ma per favore non abbiate paura del lupo cattivo. Se non fosse altro perché questa è la Patria di un uomo che con il lupo cattivo ci parlava…e lo ammansiva. Nessuno di noi ha, ovviamente, la vocazione o aspira alla santità. L’importante è essere coscienti e centrati nei propri principi. Così come si deve essere coscienti del fatto che lo scontro in atto all’interno del Pdl non è un qualcosa che arriva da lontano, da oltre Manica, come sento dire da diversi amici. Non ci sono manovre di poteri forti….Qui c’è la voglia e la necessità che il Pdl si trasformi in un partito vero. Un partito che abbia delle strutture reali e non virtuali, che abbia organismi interni che si riuniscano e decidano insieme. C’è la necessità che sia il partito di maggioranza a dettare le regole del gioco al Governo e non un alleato minoritario. C’è la necessità e la voglia che il Pdl diventi qualcosa di veramente democratico e partecipativo. Perché come diceva Gaber “Libertà è partecipazione”. Altrimenti non ha senso la sua esistenza. Il successo della Lega ha dimostrato, una volta di più, che vince chi è presente sul territorio, chi è a contatto con la gente. Chi ascolta la gente e se ne fa interprete. Chi ha le sedi aperte sul serio. Chi da risposte concrete.