Le false virtù della Cassa Integrazione

di Giovanni Perazzoli

Abbiamo sentito spesso ripetere che la Cassa Integrazione italiana ha mostrato tutte le sue mirabolanti virtù nel far fronte alla crisi economica attuale.

In realtà, quello della Cassa Integrazione è uno strumento arcaico, nato vecchio, e del tutto lontano dalla logica europea, ma estremamente prezioso per mantenere lo status quo del potere italiano.

Qual è la differenza essenziale tra la Cassa Integrazione e il reddito minimo garantito in vigore in tutta Europa?

La differenza è racchiusa nella locuzione “diritto soggettivo esigibile”. Il salario di disoccupazione (chiamiamolo così, con formula generale) si ottiene nei Paesi europei (Francia, Germania, Gran Bretagna, Olanda, Belgio, Austria, Lussemburgo, Spagna, oltre che Danimarca, Svezia, Norvegia…) senza alcuna mediazione: è appunto un diritto soggettivo esigibile. Se si è maggiorenni e disoccupati, si entra in un ufficio, si riempie un modulo e si ottiene, oltre a una somma in denaro (determinata da parametri oggettivi), mensile o settimanale, anche un aiuto (sempre in base a parametri definiti e oggettivi) per l’alloggio. Tutto libero, senza mediazioni, con la possibilità potenziale di beneficiarne in modo illimitato.

Non così in Italia. La Cassa Integrazione italiana presuppone infatti una mediazione, sindacale e governativa. È uno strumento discrezionale. Qualcuno decide se erogarla, a chi concederla e per quanto tempo. E non ne beneficiano tutti i lavoratori.

La differenza, come si capisce, è enorme.

La discrezionalità fa sì che chi ottiene la Cassa Integrazione è di fatto condannato a dipendere dal sindacato e dalla politica.

Non solo. Rispetto al salario di disoccupazione europeo, la Cassa integrazione produce lavoro e nero e disoccupazione. Il cassintegrato che trova un lavoro, infatti, perde il diritto al sussidio senza la sicurezza di riaverlo se viene licenziato di nuovo; quindi non accetterà mai dei lavori temporanei o insicuri. Mentre accetterà di lavorare in nero.

Al contrario, il salario di disoccupazione europeo, proprio perché è un diritto e non presuppone alcuna “concessione”, mette chi ne beneficia nella condizione di accettare un lavoro temporaneo o insicuro. Se va male, si fa sempre in tempo a tornare nell’ufficio, compilare di nuovo il modulo etc.

Non solo, dunque, la Cassa Integrazione sperpera denaro, ma lo sperpera producendo una serie di danni aggiuntivi: incoraggia il lavoro nero e scoraggia la ricerca di un lavoro.

Ma allora perché se ne cantano le lodi?

Perché il bisogno crea consenso. La discrezionalità della Cassa Integrazione può essere piegata a varie esigenze di clientela e di potere. Al contrario, il diritto soggettivo esigibile rende il cittadino libero e indipendente da partiti e apparati.

In un recente articolo, Tito Boeri ha rilevato che la discrezionalità della Cassa Integrazione è stata ulteriormente piegata ad usi politici e clientelari: “La Cassa Integrazione in deroga, pagata da tutti i contribuenti e non dalle imprese ed erogata con discrezionalità quasi totale della politica, è, dopotutto, un’invenzione della Lega. Ha dato più risorse al tessile della bergamasca che a molte altre aziende che avevano altrettanto bisogno di aiuto (e un futuro meno improbabile) in altre parti del paese. Nelle province dove la Lega governava, vi è stato un ricorso massiccio a questo strumento: Brescia, ad esempio, ha raccolto il 20 per cento dei fondi stanziati in Lombardia quando il suo peso sull’occupazione della Regione supera di poco il 10 per cento. Ma ci sono tanti altri trasferimenti occulti, di cui non si ha traccia”.

La logica è la stessa che al Sud è stata utilizzata per le pensioni di invalidità, che in Italia vanno a comporre l’altra voce (clientelare) che sostituisce il salario di disoccupazione. La “rivoluzione” della Lega non si è proposta di cancellare gli sprechi in nome dell’equità; no, ha preteso che il Nord, o meglio, il bacino del proprio elettorato, ottenesse le stesse forme di elemosina statale del Sud. Non diritti, ma concessioni di appartenenza.

Pensioni di invalidità e Cassa integrazione sono due colonne importanti del “consenso” in Italia. E, manco a dirlo, costano molto di più del salario di disoccupazione europeo, producendo in più degli effetti disastrosi non solo sul piano civile, ma anche su quello economico. Mentre il salario di disoccupazione europeo crea maggiore disponibilità al rischio d’impresa, la cassa integrazione e le pensioni di invalidità producono parassitismo, furbizia e corruzione.

È facile capire che se si parla poco della differenza tra Italia ed Europa nel gestire la disoccupazione è perché i partiti, i sindacati, e anche parte dell’economia, ne traggono vantaggi.

Non è assolutamente vero che in Italia la crisi è stata più dolce che in altri paesi. È vero invece che la crisi è stata più dolce con il ceto politico. Per le ragioni dette.

In Italia la crisi crea “consenso”, perché l’unica salvezza alla miseria è il clientelismo. Del resto, il modello del consenso basato sul bisogno è quello secolare della Chiesa cattolica, grande ispiratrice, culturale e non solo, della politica italiana.

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