Riceviamo e pubblichiamo
di Tomaso Staiti
Caro Presidente,
nutro forti e comprensibili dubbi sulla tua capacità di tenuta, ma sento ugualmente il dovere di scriverti in questo particolare momento.
Oggi sono lontano dalla politica attiva e, forse, anche da molte delle ragioni che mi hanno spinto a militare per oltre quarant’anni nella destra politica italiana.
Voglio tuttavia credere nelle motivazioni politiche della tua presa di posizione.
Spero anche che tu sia moralmente attrezzato a resistere agli attacchi personali che ti arriveranno da Becero Feltri, da Maurizio Belmento, da Emilio “Fiche”, da Alessandro “cap’e Muorto” Salluzzi e dalle immancabili cialtronate dei Gasparri e dei La Russa (che si sono allenati nel caso “ Emergency”). Vedo anche le tue motivazioni personali: a cominciare dalla sostanziale tua estromissione dalla politica, dalla compravendita di uomini dell’ex AN, dai continui e rimarcati attacchi alle tue posizioni da parte del “ganassa” di Arcore, dei suoi dipendenti nel mondo dell’informazione e dei suoi beneficati in parlamento e nel governo; ma io mi ostino a credere che siano prevalenti e giustificate le motivazioni politiche.
Una in particolare io sento maggiormente e, da sola, costituisce l’essenza di tutta quanta la mia passata vita politica.
Dopo le recenti elezioni Regionali, gli opinionisti, i commentatori politici, quelli che plasmano e spesso manipolano la pubblica opinione, nel valutare il successo della Lega (relativo, ma ciò che appare è più importante della verità), si sono soffermati sugli aspetti più superficiali e folklororistici della sua affermazione, senza voler vedere ciò che invece dovrebbe essere ben visibile per tutti. Solo che non si chiudessero gli occhi. Bossi non ha mai fatto mistero su quello che è il suo vero obbiettivo: la secessione della cosiddetta Padania dal resto d’Italia.
Bossi è l’unico rivoluzionario vero, comparso in Italia in questi ultimi 40 anni.
Si comporta da rivoluzionario: alleandosi con chi gli può assicurare più posizioni per il raggiungimento del traguardo: persino con l’ex “mafioso” Berlusconi.
Ha capito che il pavoncello di Palazzo Grazioli pensa solo ai suoi interessi personali, è disposto a tutto pur di cercare di “illuminarsi d’immenso” sfrutta le sue debolezze, ride alle sue barzellette sceme: ne ha fatto, insomma il suo “cavallo di Troia” (non di Mangano) per entrare nel centro del potere.
La volgarità del linguaggio leghista, l’impudenza delle affermazioni, il continuo blandimento degli istinti più egoistici degli abitanti della “Nazione Padania”, istinti prima suscitati e poi utilizzati; l’apparente capacità dei suoi amministratori e la loro vantata onestà, la presenza sul territorio, abbandonato dagli altri partiti, sono solo strumenti al servizio del progetto politico leghista.
Una volta il tricolore come carta igienica, l’inno nazionale da cambiare, un’altra Garibaldi ladro, e poi Roma ladrona, napoletani puzzolenti, siciliani delinquenti, migranti da affondare, professori e giudici del Nord. Quanto queste affermazioni hanno preparato e preparano il terreno per il distacco?
Il cammino è stato lungo e sarà ancora lungo ma il traguardo si intravede. Per questo vanno bene le cene del lunedì ad Arcore, le concessioni in materia di giustizia “ad misuram” per l’ometto, gli occhi chiusi davanti al groviglio di interessi berlusconiani.
Tutti rospi da ingoiare per arrivare all’obbiettivo.
Intanto tre regioni sostanzialmente in mano alla Lega, la richiesta del sindaco di Milano dopo la “sogliola surgelata”, le banche del nord, tante province già in cassa; centinaia di comuni amministrati in nome dei principi leghisti: una sostanziale assuefazione insomma, ad un certo abito mentale ed ai riflessi pavloviani da parte dell’elettorato del nord.
Le tappe sono prevedibili:
Il Federalismo fiscale, del quale nessuno sa bene di cosa si tratta, servirà ad aumentare il divario tra Nord e Sud e ad allargare la sfera d’influenza del partito di Bossi . Così quando il Sud sarà costretto a ribellarsi e a consolidare i legami con la criminalità organizzata e con la politica asservita ai clan, sarà un gioco dare l’ultima spallata e proclamare la secessione.
Magari passando attraverso una fase Jugoslava del progetto.
No, questa non è fantapolitica: è la concreta prospettiva che abbiamo davanti a noi.
Centocinquantanni di contrastata storia di unità nazionale non costituiscono certo un argine valido per scongiurare questa prospettiva.
La casualità della storia ha spesso portato a risultati apparentemente non voluti e non ipotizzabili.
Poiché sarebbe inutile sperare che possa venire qualcosa di costruttivo da parte del P.D., troppo impegnato a cercare di imitare Berlusconi e che si comporta come un naufrago nell’oceano che nuota un po’ avanti, in po’ indietro, un po’ a destra, un po’ a sinistra, finendo per trovarsi sempre allo stesso posto e ogni volta sempre più stanco, un segnale forte non può che giungere da chi avrà il coraggio di osare politicamente di più ed in modo più credibile.
Certo, caro Presidente, in passato non ti sei distinto per scelte coraggiose, ma visto che, come dicono a Roma, “sei nato con il fiore nel culo come le zucchine”, perché non confidare anche in questa occasione nella tua fortuna?
Così com’è adesso l’Italia non può più continuare; occorre un grande rimescolamento delle carte, occorre liberarsi della presente ipoteca berlusconiana che ha condizionato tutta la società italiana ed ogni aspetto della sua vita.
Nella città nella quale vivo, tutto è nelle mani di un impero paramafioso e di una associazione per delinquere di stampo cattolico: logico che, alla fine, la Lega rappresenti per molti l’ultima speranza. La storia tuttavia e sempre stata fatta da uomini coraggiosi che abbiano saputo vedere oltre il contingente per immaginare il futuro.
Ti prego, non fare in modo che la mia ultima speranza la debba riporre in un qualche pronipote di Bresci. Il quale, oltre tutto, ha operato qui in Brianza.
Con fievole speranza.
Tomaso Staiti