Gentile direttore, la lettera su Liberazione del 17 aprile “Sesso come dominio” che reca in calce molte firme note, mi sembra contenga alcune forzature. Tengo però a precisare che sono consapevole del vergognoso dominio esercitato per secoli e secoli dagli uomini sulle donne, e che sono altresì consapevole che la Chiesa lungi dal contrastare tale domino, lo ha praticato a tutto spiano. Leggo nella lettera: “Quella che, invece, ci sembra totalmente sbagliata è l'idea che le mogli debbano e possano (e vogliano?) funzionare da “sfogatoio” e da normalizzatrici della sessualità “perversa” di alcuni maschi, sia pure preti…E' così difficile capire che qui si tratta del sesso inteso come dominio e potere, che è la quintessenza del patriarcato?”. Innanzi tutto credo sia giusto distinguere l'attrazione insana verso i bambini, dall'attrazione verso gli adolescenti, condannata dalla morale e dalla legge di oggi, ma non sempre malattia. Ora, ritenere che la possibilità per un prete di formare una famiglia, possa evitare che sia attratto da adolescenti, può essere un errore, però non mi sembra significhi che la famiglia sia da considerarsi “normalizzatrice delle sessualità perversa”. Al più dovrebbe servire a prevenire, non a normalizzare. Insomma: non è che si prende una donna e la si dà al prete pedofilo come una medicina; la scelta del prete, o futuro prete, di sposarsi sarebbe libera, come libera sarebbe la scelta della donna che lo sposerebbe. Francamente mi sembra che il patriarcato c'entri poco o nulla, per di più che la possibilità di avere un partner dovrebbe riguardare, a rigor di logica, anche i preti omosessuali, e potrebbe riguardare anche le monache, qualora la castità loro imposta originassae perversioni sessuali. Credo poi che nessuno, se non è folle, può immaginare invece che l'attrazione insana verso i bambini, possa svanire formando una famiglia.
Attilio Doni
Genova