SINDACI IN PROTESTA A MILANO

Oltre 500 sindaci della Lombardia hanno silenziosamente protestato l’altro ieri a Milano per chiedere più flessibilità amministrativa e meno vincoli sulle finanze locali. Condivido in pieno la loro richiesta partendo dal concetto che chi è eletto direttamente dalla gente ha il diritto/dovere di farsi giudicare per il proprio operato, ma deve anche poter agire senza vincoli eccessivi o rischia di non poter lavorare con serietà.

Imposti nel 1999 (c’era il centro-sinistra), i vincoli di stabilità delle amministrazioni comunali vogliono impedire indebitamenti eccessivi che si ripercuotano sull’intero paese, tenuto conto dell’enorme deficit pubblico italiano, ma non è giusto che proprio chi ci mette la faccia verso i propri cittadini e che rispetta dei logici criteri di base non possa poi lavorare seriamente per colpa di chi invece amministra male, spreca le risorse e incide fortemente sul debito pubblico complessivo, come moltissimi enti centrali, regioni e ministeri.

Facciamo esempi concreti: Verbania è una media città che – per merito delle amministrazioni precedenti, non c’è dubbio, ma anche di chi ha fatto bene l’opposizione bloccando potenziali scelte sconsiderate – è complessivamente bene amministrata con obbiettivi parametri di efficienza. Si può sempre fare sempre meglio, ma la nostra amministrazione è infinitamente più solida dal punto di vista economico e gestionale di altri capoluoghi di provincia o città delle stesse dimensioni: gli indici di bilancio parlano chiaro.

L’anno scorso la gente mi ha votato per cambiare volto alla città, ma per farlo devo poter mettere a frutto i beni che abbiamo e le garanzie che possiamo dare per poter fare investimenti effettivamente produttivi dal punto di vista dei lavori pubblici e degli incentivi occupazionali. Invece, spesso, siamo obbligati a non operare al meglio e non possiamo intraprendere investimenti anche quando si tratterebbe di fare scelte utili e produttive per tutti.

Mi spiego meglio: se volessi rifare completamente l’impianto dell’illuminazione pubblica che spesso si guasta con un salto in avanti dal punto del risparmio energetico dovrei poter cambiare pali e lampadine, ma – pur avendo poi in futuro un netto risparmio sui consumi – non posso fare oggi investimenti oltre una certa soglia che è troppo bassa rispetto alle necessità di cambiare impianti di determinate dimensioni perché non si può cambiare una lampadina sì ed una no.

Non importa se il nostro sia un comune “virtuoso”, che spende meno di un terzo delle entrate per le cosiddette “spese correnti” (stipendi ecc.), se avviamo tutti gli indici a posto, se combattiamo l’evasione con risultati evidenti: per colpa di altri che hanno sprecato una città che ha risparmiato non può muoversi. Allo stesso modo come non posso per esempio mettere “a garanzia” il nostro enorme patrimonio edilizio (centinaia di milioni di euro tra palazzi, scuole, edifici, strutture) per garantire un mutuo a una coppia che voglia comprarsi la casa per metter su famiglia. Tra l’altro – proprio perché abbiamo un patrimonio edilizio immenso – le spese di manutenzione sono ovviamente molto più alte di chi le strutture non le ha (un palazzetto dello sport di 30 anni fa ha per esempio costi di sicurezza, gestione, efficienza, manutenzione imponenti, ma che pur vanno sopportati se vuoi continuare a dare un servizio ai cittadini).

Gli esempi sono infiniti, ma in concreto una città o è amministrata con il criterio dell’impresa privata (per tempi, controlli, gestione, mentalità, responsabilità dei dipendenti ecc.) o perde tempi in burocrazia, ritardi, dipendenti inamovibili, gare troppo garantiste di facciata, ma alla fine poco rapide, poco economiche e per nulla efficienti.

Un sindaco insomma chiede il voto in prima persona, lo ottiene, si può teoricamente scegliere gli assessori in prima persona, è responsabile di tutto – dal ricovero dei matti alle morsicature dei cani – ma non può fare sulla propria responsabilità delle logiche scelte operative dovendo sottostare a leggi nazionali uguali per tutti e che non tengono minimamente conto delle situazioni locali. Questo è assurdo perchè alla fine questi criteri penalizzano regolarmente chi vuol lavorare rispetto a chi osserva i formalismi, ma spesso poi non sa, non può o non riesce a combinare niente. Ecco perché non da oggi credo che il “federalismo delle responsabilità” sia indispensabile, con buona parte delle tasse e imposte pagate che devono restare là dove si determinano i redditi ma con i cittadini poi liberi di giudicare se abbiano o meno un buon livello dei servizi in rapporto a quanto pagato. Per questo ero idealmente a fianco dei sindaci milanesi che in fondo chiedevano solo più responsabilità in un quadro di maggiore libertà, ma a vantaggio soltanto dei propri cittadini: principi di cui proprio il centro-destra non può più rinviarne una pratica attuazione..

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