Pedofilia, quando la tentazione è solo tristezza

di Pierluigi Sorti

Il gran dissertare sulla pedofilia come tendenza socialmente diffusa e quindi non peculiare degli ambienti deputati all’educazione di ispirazione cattolica, inevitabilmente susciterà dubbi di non facile soluzione nelle coscienze più avvertite di quello stesso credo religioso.

Prelati e normali osservatori di costume, con l’argomento della irrisorietà statistica dei casi che hanno coinvolto religiosi, a vari livelli della scala gerarchica, non hanno reso un buon servizio alla Chiesa nel tentativo di attenuare il grado di responsabilità delle istituzioni cattoliche preposte alla sua missione più delicata, la formazione delle coscienze.

Il carattere avvocatesco dell’assunto segna una chiara retrocessione della funzione educativa della Chiesa, minandone palesemente la credibilità.

Ma soprattutto ne sottolinea una non condivisibile freddezza nei confronti della catena mai interrotta di disgraziati protagonisti attivi e passivi di tali pratiche, per i comprovati meccanismi imitativi che indurranno le vittime stesse a trasformarsi a loro volta in carnefici.

E’ infatti evidente che i bambini sottoposti a tali esperienze, oltre al trauma intrinseco all’atto, non solo registreranno una caduta verticale di fiducia verso l’adulto e la sua opera di educatore ma immediatamente si sentiranno costretti ad adottare una necessaria e lunga pratica di dissimulazione comportamentale.

Fino, non solo ipoteticamente, alla reiterazione del reato a posizioni invertite.

Più convincente l’attribuzione di tali degenerazioni alla “ tanto conclamata libertà sessuale senza amore” di cui, un poco a ( positiva ) sorpresa, argomenta il cardinale Ruini indicandola come fattore primario della crescente immoralità , fino alle sfrenatezze della pedofilia.

Impostazione interessante che, da un punto di vista laico, non può esimersi dal quesito dell’inadeguatezza dell’insufficienza dei canoni che presiedono l’istituto matrimoniale dallo stesso punto di vista cattolico.

La triade concettuale canonico, cardine della validità sacramentale del matrimonio, è infatti sinteticamente riconducibile alla procreazione (“ fructus prolis” ) , alla solidarietà coniugale ( “mutuum iuvamentum “), e solo come “ alternativa all’impulso erotico ( “remedium concupiscentiae” ) l’ attrazione sessuale, nelle sue varie caratterizzazioni.

Sembra legittimo il dedurre come l’ amore, teologicamente, venga considerato non essenziale, se non addirittura il grande assente, proprio nel rapporto matrimoniale, pietra angolare della funzione educativa per universale riconoscimento.

Ma forse la insufficienza di questi canoni è evidenziata e messa in crisi proprio nel celibato del sacerdozio cattolico che, inspiegabilmente, si vorrebbe immune da tali tentazioni.

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