A leggere e sentire le dichiarazioni e le opinioni sul voto all’estero, che stanno circolando di questi tempi, soprattutto a seguito del “Caso Di Girolamo”, è obiettivamente un esercizio difficile ergersi a difensori della legge 459/2001, la così detta Legge Tremaglia, anche per uno come il sottoscritto da sempre strenuo difensore del voto all’estero. Infatti, dopo quanto è accaduto nelle votazioni del 2006 e 2008 nella Circoscrizione Estero e l’incredibile scandalo dell’ex senatore Di Girolamo, come si potrebbe non essere d’accordo con il Sottosegretario Giovanardi quando afferma “Esperimento fallito, votare in Italia e per corrispondenza ma per deputati e senatori che stanno in Italia”? come si potrebbe non essere d’accordo con l’on.le Ugo Intini che da sempre è stato contrario alla legge sul voto all’estero da lui definita balorda e che oggi la ritiene perfino pericolosa? come si potrebbe non essere d’accordo con il Presidente del Senato Schifani quando dice che “il voto per corrispondenza è uno scandalo da eliminare”? come si potrebbe non essere d’accordo con quegli italiani residenti in Italia che mai hanno compreso i motivi e la necessità che gli emigrati debbano eleggere dei loro parlamentari? come si potrebbe non essere d’accordo con tutti quegli emigrati che, sempre più, criticano gli eletti all’estero per la loro inefficacia a difendere i loro interessi? come si potrebbe, visto i risultati, non essere d’accordo sull’inutilità degli eletti all’estero anche da parte di chi da anni è attivo nel mondo associativo dell’emigrazione? come si potrebbe non convenire sull’inutilità degli eletti all’estero quando anche noi, membri dei Comites e del Cgie, abbiamo addirittura perso le tracce di molti di loro e di altri abbiamo deboli segnali della loro esistenza solo perché attraverso dei comunicati stampa veniamo a conoscenza della loro presenza a qualche manifestazione, oppure del loro girovagare per il mondo a rappresentare qualcuno o qualcosa; mentre, in altri casi, fanno parlare di sé tornando periodicamente a chiedere, paradossalmente, la soppressione del Cgie (parricidio?) e cioè dell’organismo che più di ogni altro si è battuto per la legge sul voto all’estero grazie alla quale anche loro, oggi, siedono in parlamento a Roma, lautamente retribuiti, invece di ritrovarsi ancora a fare l’emigrato in qualche fabbrica o ufficio!
E si potrebbe continuare ancora con questa litania. Tuttavia non credo proprio che non sia servito a niente avere in parlamento i “nostri” deputati e senatori eletti all’estero ed a molte critiche, peraltro non nuove, non vale neppure più la pena di rispondere. Se mai la critica più forte e giustificata, per l’inefficacia degli eletti all’estero a rappresentare gli interessi degli emigrati, va rivolta a quelli di loro che sostengono il governo e non certamente a quelli dell’opposizione che sono, purtroppo, inascoltati nelle loro richieste in difesa delle politiche a favore degli italiani all’estero.
Come pure non credo proprio che si possa essere d’accordo con quanti vogliono buttare a mare il voto all’estero: vuoi per partito preso; vuoi per alcuni aspetti negativi che sono emersi nelle due esperienze elettorali del 2006 e 2008.
Certo il sistema elettorale del voto all’estero, alla prova dei fatti, ha mostrato delle crepe e quindi va sicuramente corretto. Su questo non ci piove! Per esempio l’elettorato passivo deve essere residente all’estero da un minimo di anni (cinque?) per evitare il ripetersi di truffe alla Di Girolamo. Un’altra modifica da apportare alla legge attuale è sicuramente quella di invertire l’attuale opzione (tutti elettori nella Circoscrizione Estero, salvo poter optare per il voto nel collegio italiano rientrando in Italia) e far si che il voto per corrispondenza sia, invece, consentito unicamente su esplicita richiesta dell’elettore al Consolato di riferimento ad ogni appuntamento elettorale oppure ad ogni inizio anno. Solo questa modifica potrebbe ricondurre il voto per corrispondenza ad una maggiore affidabilità e determinerebbe anche un notevole risparmio per l’erario: infatti l’invio del plico elettorale sarebbe limitato a chi è veramente interessato a votare e non all’intero universo del corpo elettorale residente all’estero e in secondo luogo impedirebbe, o ridurrebbe all’osso, il mercato dei plichi destinati ad elettori disinteressati al voto o di quelli che ritornano indietro (circa il 20%) ai consolati a causa di indirizzi errati. L’occasione per sperimentare l’efficacia di questa nuova eventuale opzione invertita, rispetto all’attuale normativa, potrebbe avvenire già con le prossime elezioni dei Comites, tempi permettendo.
Ma un conto è voler correggere il sistema di voto e tutt’altra cosa è voler mettere in discussione la legge 459/2001 che, non dimentichiamolo, è stata il riconoscimento, sia pure molto tardivo, di un diritto democratico di rappresentanza degli italiani all’estero. Un diritto che, vista la collocazione geografica di milioni di elettori residenti all’estero, non può che essere espletato attraverso il voto per corrispondenza. Inutile cercare altre soluzioni che risulterebbero impraticabili come quella, ventilata da molti, di costituire dei seggi presso la rete diplomatico-consolare (quanti seggi e sezioni occorrerebbero? quanto personale necessiterebbe, compreso la vigilanza, e ce lo consentirebbero le autorità locali?)
D’altra parte, se si vuole mettere in discussione l’affidabilità del voto per corrispondenza, utilizzato peraltro anche da molte altre nazioni, stiamo attenti che pure il voto nei seggi non è una garanzia assoluta e immune da pecche. Basti pensare, per esempio, a quanto accadde alcuni anni or sono in Sicilia dove Forza Italia vinse facendo cappotto con sessantuno eletti in parlamento a Roma su sessantuno che spettavano a quella Regione. Fu un risultato proprio così democratico? Boh!
Dino Nardi