di Giulia Rodano
Ho capito, non nego con una certa sorpresa, che la mia adesione alla lista “Di Pietro-Italia dei Valori”, ha creato scandalo. Però credo che questo sia uno scandalo che è bene che avvenga.
Lo scandalo si è creato a sinistra, naturalmente, in alcuni ambienti del PD in particolare, ma anche di ciò che si muove a sinistra del PD.
Che c’entra con Di Pietro una come Giulia Rodano, “erede – come dice Pierluigi Battista – di una famiglia politica che ha rappresentato il cuore e il cervello del cattocomunismo italiano”? E comunque, che c’entra una militante della sinistra con l’Italia dei valori?
Il tema non è banale, in effetti. Non c’è dubbio, infatti, che io di sinistra. Non c’è dubbio che la militanza nel PCI e l’esperienza degli anni ’70 abbiano decisivamente contribuito alla mia formazione politica e umana.
Nella mia vita certamente è stato essenziale (e credo non smetterò mai di esserne grata alla sorte) essere figlia di Franco e Marisa Rodano ed essere cresciuta in un ambiente di tesa passione civile ed etica, di profonda e sentita militanza politica.
Tuttavia nella mia storia e nella mia formazione è stato sempre molto chiaro che partiti e formazioni politiche sono strumenti per veicolare idee, battaglie, contenuti. Sono strumenti, che nelle diverse fasi della storia di un paese, aiutano la partecipazione dei cittadini e la vita della democrazia.
Negli ultimi venti anni abbiamo assistito all’esplosione dei partiti della prima repubblica, tra i quali il PCI, ma anche al sempre più faticoso, contraddittorio e confuso processo di trasformazione di quei partiti e di quel personale politico, di cui anch’io, nel bene e nel male, faccio parte.
Nel corso di questo processo quello che a sinistra è venuto via via meno è stata la capacità di costruire alternative credibili, non solo e non tanto alla destra, ma alle politiche di cui essa si è fatta portatrice.
Dall’azione di svuotamento e di demolizione della Carta costituzionale, alla crescente pervasività delle logiche e delle politiche di darwinismo sociale; dall’indebolimento progressivo della politica, alla crescita del peso dei poteri forti dell’economia legale e di quella criminale, di cui il disprezzo delle regole, la diffidenza verso lo Stato e la crescente illegalità sono stati drammatici corollari.
Non prendere atto di questa debolezza, della insufficienza della nostra generazione di militanti politici della sinistra, credo sia una delle cause della difficoltà di ricostruzione della sinistra e dell’alternativa.
Non c’è dubbio che il PD o i diversi partiti collocati alla sua sinistra, possano apparire la soluzione più naturale per chi, come me, ha militato una vita nel PCI.
Tanto naturale da aver accompagnato le mie scelte al momento della nascita del PDS-DS e successivamente del PD.
Sono tra quanti scelsero di non aderire al PD e si buttarono generosamente, insieme a Fabio Mussi, nell’impresa di unire e rinnovare la sinistra italiana, riempiendo il vuoto lasciato dalla nascita del PD.
E’ tuttavia difficile, a qualche anno di distanza, non fare i conti con la realtà del doppio fallimento cui sono andati incontro i progetti di costituente del PD e di costituente della sinistra che allora presero corpo.
Il PD continua a rimanere un oggetto misterioso che sembra vivere di rendita sul lascito ereditario delle forze da cui ha preso origine più che della sua capacità di esprimere una forza attrattiva propria.
A sinistra del PD, invece, dopo il fallimento della Sinistra Arcobaleno, la pulsione minoritaria e alla frammentazione appaiono irresistibili.
A me sembra evidente che la comune provenienza di queste famiglie politiche non garantisce di per sé il patrimonio di consensi e la capacità di rappresentanza di cui disponeva il PCI.
Anzi, se ci si ferma alla genealogia, si finisce, come purtroppo sta accadendo, per disperdere quel patrimonio e quella capacità.
Occorre guardare con occhi nuovi la realtà. Occorre saper leggere i segnali nuovi che salgono dalla società.
Nel panorama politico delle forze è andata affermandosi, in questi anni, una forza politica nuova, l’Italia dei Valori di Antonio Di Pietro.
Una forza politica con i piedi ben piantati nel campo delle forze di centro-sinistra; che conduce un’opposizione dura e senza sconti al governo guidato da Silvio Berlusconi; che non si è mai sottratta al dovere di costruire una scelta credibile e vincente al potere berlusconiano, anche quando altri, nel PD e a sinistra, sembravano esserselo dimenticato.
Una forza politica che ha fatto della difesa del “principio di legalità” un’arma fondamentale per rompere la cappa dei poteri e dei comportamenti che a tutti i livelli soffoca la società italiana, che le impedisce di crescere, di essere una società giusta, aperta, dove non si ha bisogno delle elargizioni del potente di turno, delle baronie, delle clientele per costruire il proprio futuro, per far valere le proprie capacità e i propri meriti.
Proprio per questo l’IDV è stato ed è un interlocutore serio e credibile di movimenti come quello dei “girotondi” o del “popolo viola”, che ha fatto della legalità, della difesa della Costituzione il loro principale campo di azione e di protesta. La legalità è lo scudo che protegge i deboli contro la prepotenza e l’arroganza dei forti.
Di fronte a tutto ciò, quelli che per genealogia si considerano gli eredi della sinistra come possono non avvertire il bisogno di misurarsi e contaminarsi con istanze e valori che dimostrano un crescente e profondo radicamento nella società italiana?
Io questo bisogno lo avverto fortemente.
Per questo, quando da Emanuele Macaluso fino alla sinistra più radicale, si liquida in modo sprezzante il movimento di Di Pietro, con l’etichetta di “movimento di destra”, o quando si arriccia il naso per un linguaggio fuori dai canoni del politicamente corretto, sento la stessa supponenza e la stessa prosopopea di quella declinante Corte imperiale che, osteggiando ferocemente la politica di apertura verso “i barbari” di Stilicone, contribuì alla rovina dell’Impero Romano d’Occidente.