Dalla povertà  alla miseria, grazie al liberismo

di Rosario Amico Roxas

Due notizie campeggiano sulla stampa, almeno in quella che osa descrivere la realtà attuale con la maggiore credibilità possibile:
· la prima riguarda le dichiarazioni del governatore della Banca d’Italia Draghi che denuncia una crescita italiana ai minimi europei, la perdita di ulteriori posti di lavoro, l’incombenza di una crisi economica che vede l’Italia inattiva e follemente stimolata ad un ottimismo irrazionale, mentre la Comunità europea colloca l’Italia tra le nazioni fortemente a rischio, indicando con l’acronimo PIGS, le nazioni a rischio (Portogallo, Italia, Grecia, Spagna);
· la seconda che descrive l’ultimo scandalo economico-finanziario-puttanesco che sta travolgendo la Protezione civile, nel quale emergono tutte le contraddizioni del liberismo esasperato portato avanti da questo disastroso governo.
In mezzo c’è il presidente del consiglio che nega l’evidenza, anzi, come ha sempre fatto, nega principalmente l’evidenza, forte dei suoi giornali, delle sue TV, dei suoi rotocalchi, sostenuto dai vari Feltri, Belpietro, Fede, Vespa, e comunicatori vari legati a doppio filo alle sorti personali del capo che distribuisce onori senza oneri esclusivamente ai più fedeli.
Il peggio deve ancora arrivare; ciò che sta emergendo non è che la punta dell’iceberg, la gran massa verrà fuori con le grandi opere, il ponte sullo stretto, lo scudo fiscale, la riforma della giustizia, la privatizzazione degli interessi collettivi, trasformati in interessi privati: privatizzazione dell’acqua, trasformazione della Protezione Civile in una avida e spregiudicata spa che stimola alla gioia l’avverarsi di eventi calamitosi per la gran parte della popolazione, ma altamente remunerativi per quei pochi che sono entrati nelle grazie del gran capo.
Si sta, lentamente, ma decisamente, marciando per transitare dalla povertà alla miseria, grazie al liberismo imposto, a titolo personale, da questo presidente del consiglio.
La povertà è quello stato di indigenza che non consente una qualità della vita soddisfacente, limitata nelle attese, contenuta anche nei sogni, ma che permette il soddisfacimento dei bisogni primari.
La miseria è il momento successivo, quando la ricerca di superare la povertà ha stimolato metodi operativi di ripiego, che non hanno risolto il problema bensì lo hanno aggravato, sostituendo la limitazione con l’assenza, la privazione e la costrizione anche dei sogni, venendo meno la possibilità di soddisfare anche i bisogni primari.
Nei paesi ad economia avanzata, come l’occidente, ritenuto opulento, il passaggio dalla povertà alla miseria è diventato un itinerario considerato usuale.
Vengono fornite statistiche di ricchezza prodotta, di reddito pro capite, di consumi, che dovrebbero dare la misura di un livello della qualità della vita superiore alle impressioni dirette che si ricavano dall’osservazione quotidiana.
Le statistiche confondono la realtà con le ipotesi, i numeri con gli algoritmi del possibile o dell’immaginario.
L’itinerario è segnato, anche perché è stato programmato.
Ogni 1.000 persone che transitano dalla povertà alla miseria, solo una transita dal benessere alla ricchezza, ma si tratta di una ricchezza che compensa l’altrui povertà, ma non negli effetti, bensì nelle ipotesi; così l’operaio, il pensionato che non arriva a soddisfare più le esigenze primarie, si vede attribuire, dalle statistiche, un reddito pro capite di 18.000 euro l’anno ma solo perché quel solo arricchito ha un reddito tale da compensare i deficit altrui.
Ci sentiamo uno dei primi dieci paesi ricchi del pianeta, mentre la povertà incombe sulla maggioranza delle famiglie che vive nell’economia del lavoro, mentre i pochissimi che vivono nell’economia della finanza, che non produce, non da lavoro, non crea benessere indotto, sfruttano tutte le ipotesi appositamente preparate per evitare la triste incombenza di contribuire ai costi dello Stato secondo le proprie possibilità, evadendo regolarmente i propri doveri, per sfruttare al massimo i propri diritti.
Appare chiaro il disegno che si vorrebbe perseguire: la argentinizzazione dell’Italia, l’Italia come l’Argentina, con l’80% del patrimonio in mano al 15% della popolazione, mentre in atto è “solo” il 50% del patrimonio nazionale in mano al 20% della popolazione.
Diverrebbe più controllabile l’esercizio del potere, potendo contare sulla forza ricattatoria detenuta da pochi, ma fedelissimi, servi del potere stesso.
Stiamo, infatti, assistendo ad un’elevazione verticale verso l’alto di quei pochissimi che hanno impostato la propria economia sulla finanza fatta di scatole vuote che si riempiono reciprocamente di nulla, senza che nessuno si sia peritato di impedire lo sfruttamento dei falsi bisogni.
Che poi sono gli stessi che gioiscono del terremoto perché porta nuovi e fruttuosi appalti truccati
Rosario Amico Roxas

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