Approcci diversi su economia, crescita, energia, scuola e federalismo
di Gianni Ravaglia
Resta ancora senza risposta la domanda se sia possibile in Italia l'affermazione di una cultura economica liberista che smantelli gli inutili orpelli statalisti e apra il mercato ad una vera concorrenza. Le anticipazioni programmatiche, già pubblicate, dei due maggiori partiti lo confermano. Differenti sono le idee, nei due programmi, circa la difesa dell'identità nazionale e la sicurezza, l'immigrazione, la giustizia, la famiglia. Gli obiettivi di fondo della politica economica sono, invece, più o meno analoghi: recupero del potere d'acquisto, riduzione di qualche punto, in cinque anni, di spesa pubblica e imposte. Evidentemente la recessione americana ha convinto i responsabili dei maggiori partiti ad un basso profilo. Per chi, come lo scrivente, sfiduciato per l'inefficienza di tutto ciò che è statalista, è approdato alla convinzione che solo una radicale svolta liberista può estirpare i vizi della bestia onnivora e rilanciare lo sviluppo, le proposte sul tappeto non sono certo soddisfacenti. Tuttavia, pare opportuno valutare il senso di marcia. Ad un primo esame si nota che, in quei programmi, a comuni obiettivi non corrispondono comuni politiche. Anzi, è la diversità degli interventi che si intendono utilizzare per raggiungere gli obiettivi a fare la differenza e a permettere di esprimere un giudizio di credibilità di un programma rispetto all'altro. L'approccio culturale è diverso su quattro argomenti di fondo: l'economia e la crescita, l'energia, la scuola, il federalismo e il debito pubblico. Intanto, nel programma del Pd non si avverte la percezione della vera e propria emergenza che vive la carente produttività del nostro apparato produttivo, spiazzato sul piano della competitività da alti costi energetici, eccessive imposte, mancate liberalizzazioni dei servizi, disfunzioni amministrative, debito pubblico. Mentre, infatti, i Liberali, con l'abbattimento dell'Ici sulla prima casa, la riduzione dell'Irap, la detassazione degli aumenti di produttività, la liberalizzazione dei sevizi pubblici, tendono a migliorare l'offerta, incentivando imprese e lavoratori ad investire e ad acquisire maggiore potere d'acquisto producendo di più, i Democratici rispolverano la vecchia politica di aumentare la domanda a prescindere dalla produttività, con la fissazione per legge di nuovi minimi salariali e una riduzione, minima, dell'Irpef. Ricetta questa che, con una inflazione in crescita e una crisi economica alle porte, creerà più disoccupazione e più inflazione. Già questo approccio toglie ogni credibilità ai progetti veltroniani. Sull'energia, mentre i Liberali propongono il ritorno al nucleare e l'utilizzo del carbone pulito, fonti meno costose del petrolio e del gas, i Democratici propongono di produrre fino al 20% di energia dal sole e dal vento. Risultato: un ulteriore incremento dei costi energetici per cittadini e imprese. Sulla scuola, a parte l'obiettivo comune di introdurre il valore del merito, mentre i Democratici pensano di costruire onerosi campus universitari senza modificare i meccanismi che hanno generato l'attuale lassismo, i Liberali introducono il concetto di concorrenza tra istituzioni scolastiche, l'unico che può scatenare i premi al merito, attraverso la creazione di Fondazioni Universitarie aperte ai finanziamenti privati. Infine una radicale discriminante tra i due programmi sta nel diverso disegno statuale e nella soluzione del nodo del debito pubblico. Sappiamo che l'incremento della spesa pubblica avviene in massima parte ad opera degli enti decentrati e che l'abnorme debito pubblico brucia ogni anno, per interessi, circa settanta miliardi delle nostre tasse. Miliardi che vengono così sottratti ad investimenti produttivi e al nostro potere d'acquisto. Due temi, dunque, centrali per il rilancio dello sviluppo. Sui quali i Democratici, per così dire, balbettano: non una parola sul federalismo, riduzione del debito di un punto all'anno. Non ci siamo. I Liberali, invece, si propongono di intaccare strutturalmente sia l'irresponsabilità decentrata che il debito pubblico, attuando un federalismo fiscale compiuto e la messa a reddito di una parte consistente del patrimonio pubblico, con conseguente riduzione del debito e degli interessi passivi. In complesso, i Democratici si sono dati obiettivi modesti; per di più, per perseguirli, utilizzano incoerenti politiche populiste già fallite in passato. Modesti anche gli obiettivi dei Liberali; ma almeno le azioni proposte rendono credibili gli obiettivi.