Mario Lettieri, sottosegretario all’Economia nel governo Prodi
Paolo Raimondi, economista
Da troppo tempo si parla di riforme: riforma tributaria, della giustizia e di quella costituzionale. Sono sicuramente importanti e necessarie ma, nel mezzo della crisi economica e finanziaria nazionale e globale, non sono le emergenze.
Le vere emergenze oggi si chiamano rilancio dell’economia reale, nuove regole per la finanza, innovazione, occupazione e lotta alla povertà.
I bilanci, le spese e le tasse dipendono primariamente dal funzionamento corretto del motore dell’economia. Se esso si inceppa, da soli non lo rimettono in moto. Possono aiutare il suo funzionamento ma non lo sostituiscono.
Per cui ha senso parlare di riforma tributaria soltanto nel contesto di un programma di ripresa economica.
Non si vogliono certamente lasciare le inefficienze e le gravi sperequazioni tributarie come sono, ma l’idea che la riforma fiscale possa essere la panacea dei problemi profondi dell’economia e del debito è una dannosa illusione.
Nei passati 12 mesi l’Italia ha perso 400.000 posti di lavoro, ha più che triplicato la cassa integrazione e le PMI hanno ridotto in media del 30-40% il loro fatturato.
E’ quindi l’intero “sistema paese”, quello economico e amministrativo, che deve essere rinnovato per renderlo capace di sostenere la forza innovativa delle nostre PMI sia sul mercato nazionale che internazionale, attraverso l’accesso al credito a tassi di interessi moderati e attraverso il sostegno nelle strategie di esportazione.
Un “sistema paese” deve avere una visione e promuovere investimenti a lungo termine in nuove infrastrutture, nuove tecnologie, ricerca e università per le sfide del futuro.
Occorre fare come in Francia. Là è in corso una preoccupata ma viva riflessione su queste problematiche tanto che gli industriali hanno stilato un rapporto “Disastro collettivo” per l’Eliseo, e riferito dal Nouvel Observateur, in cui si interrogano sul perché grandi ordinativi di importanza strategica e del valore di decine di miliardi di euro nel campo nucleare, del trasporto ferroviario e dell’aviazione siano stati persi dall’industria francese e acquisiti dalla concorrenza di altri paesi.
All’interno di un simile progetto una seria riforma fiscale si dovrebbe misurare su ciò che si sta costruendo e non guardando solo alle inefficienze del passato.
Si potrebbe in ogni caso già incominciare ad apportare alcune significative modifiche fiscali che darebbero il senso della giusta direzione.
Una di queste è l’aumento della tassazione sulle rendite delle attività finanziarie che in Italia è del 12,5% mentre la media europea è tra il 20 e il 22%. Tra queste vi sono le attività speculative e quelle sui derivati finanziari che sono tra i primi responsabili della crisi attuale. Si ricorda che il governo Prodi in merito presentò uno specifico decreto legislativo ma il Parlamento fu bloccato dall’allora stessa maggioranza.
E’ una riforma giusta. Basterebbero semplici meccanismi di esenzione e di progressività per proteggere quei piccoli risparmiatori che hanno investito i loro risparmi in obbligazioni e che contano sugli interessi per far quadrare i loro bilanci.
Un modo concreto per dimostrare di voler fare sul serio quando si parla di riforma del sistema finanziario e di nuove regole per i mercati, sarebbe anche l’introduzione, come propone il premier inglese Gordon Brown e come unanimemente si sosteneva nella Commissione Finanze della Camera della passata Legislatura, di una sorta di Tobin tax”, cioè di tassare le transazioni finanziarie internazionali e le operazioni in derivati.
Naturalmente c’è ancora ampio spazio di intervento nella lotta all’evasione fiscale che si calcola intorno al 30% del Pil. Bisogna continuare sulla strada dei buoni risultati ottenuti dall’Agenzia delle Entrate e dalla Guardia di Finanza soprattutto nei confronti dei grandi evasori e dell’economia sommersa. Ogni euro investito in una lotta tecnologicamente moderna alla grande evasione ne rida dieci allo stato.
Nel contempo si potrà approntare una più globale riforma fiscale orientata a tassare meno i fattori produttivi, ossia lavoro e capitale, e un po’ di più, se necessario, certi consumi e i patrimoni. Va comunque salvaguardato e applicato il principio costituzionale della progressività della tassazione in relazione ai livelli effettivi di reddito.