La beatificazione di Giovanni Paolo II: appello alla chiarezzadi Luca Kocci, da adistaonline.it
“Non si intende disconoscere lo sforzo compiuto dalle istituzioni ecclesiastiche o da singoli cattolici per sottrarre, con tutti rischi del caso, moltissimi ebrei ad una barbarica persecuzione, offrendo una via di scampo a chi probabilmente era destinato alla morte. Ma va affermato con altrettanta chiarezza, senza con questo voler dare un giudizio morale che non è compito dello storico, che non ci fu alcun intervento pubblico di Pio XII contro la Shoah”. Daniele Menozzi, docente di Storia contemporanea alla Scuola normale superiore di Pisa ed in particolare esperto del papato del ‘900, spiega ad Adista i rapporti fra papa Pacelli e le dittature nazi-fasciste e dà un’interpretazione delle beatificazioni, realizzate o solo annunciate, dei pontefici dell’ultimo secolo.
I “silenzi” di Pio XII sulla Shoah sono presunti o reali? Cosa dice la ricerca storica?
Pio XII è intervenuto solo a livello diplomatico, facendo presente al governo di Hitler che la Santa Sede non condivideva le persecuzioni contro gli ebrei, ma non ha mai assunto una posizione pubblica di condanna durante la guerra. Nel magistero pontificio del periodo bellico la parola “ebreo” non viene mai usata. Pio XII la pronuncerà solo molti anni dopo, a guerra finita, per dire che non si poteva fare nulla di più di quello che è stato fatto, in una sorta di autoassoluzione. Non è esatto affermare, come alcuni fanno, che fu l’opera teatrale di Rolf Hochhuth, Il Vicario, a dare inizio alla “leggenda nera” circa i silenzi del papa: di questi silenzi si aveva la consapevolezza, anche in Vaticano, già a partire dal periodo bellico. Faccio due esempi: c’è una testimonianza di Angelo Roncalli, futuro Giovanni XXIII, che nei suoi Diari, scrive: “Papa Pacelli mi chiede che impressione facciano i suoi silenzi”. Inoltre, negli anni ‘50, quando vengono ripubblicati i discorsi di Pio XII, l’allocuzione tenuta al Sacro Collegio nel dicembre 1940 subisce una significativa modificazione: il termine “non ariani” presente nel testo originale viene sostituito con l’espressione “di stirpe ebraica”. Non mi pare solo la manifestazione della volontà di eliminare una testimonianza di acquiescenza al linguaggio del razzismo fascista dell’epoca, ma l’espressione della consapevolezza di un “silenzio” cui si voleva retrospettivamente rimediare.
Ma che tipo di informazione aveva Pio XII di quello che stava avvenendo in Europa?
Fino a quando gli archivi di Pacelli non saranno resi disponibili, non si potrà avere una conoscenza esatta di quanto è accaduto in quegli anni. Tuttavia abbiamo già ora degli elementi che è difficile mettere in discussione, perché sono ricavabili dalla pubblicazione voluta da Paolo VI degli Actes et documents du Saint Siège relatifs à la Seconde Guerre Mondiale proprio in reazione alla rappresentazione de Il Vicario. Alcuni storici gesuiti sono potuti entrare negli archivi e hanno reso noti una serie di documenti per dimostrare quello che aveva fatto la Santa Sede. E proprio da questi documenti, pubblicati nell’ottica di difendere Pacelli, emerge che già dalla fine del 1942 in Vaticano arrivarono testimonianze di privati cittadini, sacerdoti e anche rappresentanti diplomatici, soprattutto dei Paesi dell’Est, che parlavano dei treni carichi di ebrei in partenza verso una “destinazione di morte”. La Santa Sede quindi era informata ma, come sembra emergere da qualche notazione a margine, queste informazioni sono state sottovalutate. La ragione pare abbastanza evidente: l’antisemitismo presente nella cultura cattolica dell’epoca portava a minimizzare tali notizie perché, in fondo, quello che riguardava gli ebrei era meno importante di quello che riguardava i cristiani.
Poi c’è la questione dell’enciclica sul razzismo che Pio XI non riuscì a pubblicare e che fu accantonata da Pacelli…
Pio XI, circondato da una certa diffidenza e sospetto da parte della Curia romana, a partire dal 1937, prende posizioni che sempre di più vanno nella direzione di mostrare che il razzismo e l’antisemitismo sono direttamente contrari alla fede cristiana, assumendo anche espressioni molto dure. In questo quadro affida ad un gesuita, che aveva condotto una battaglia contro la segregazione razziale negli Stati Uniti, p. La Farge, la redazione di un’enciclica. Si arriva ad una serie di testi preparatori, fra cui uno che conosciamo, perché è stato pubblicato, in cui si legge un’esplicita condanna dell’antisemitismo, in termini assolutamente nuovi per il magistero. Mettere nelle mani dei vescovi, dei sacerdoti, dei religiosi e dei fedeli un documento in cui esplicitamente si diceva che non era ammissibile per un cattolico l’antisemitismo, avrebbe significato dare uno strumento di analisi e di giudizio che la Chiesa di Roma non aveva ancora fornito e che in quel frangente avrebbe potuto scuotere le coscienze di fronte alla tragedia in atto. Ma Pio XI muore senza fare in tempo a pubblicare l’enciclica, e il suo successore decide di non riprendere quel testo. Nella sua prima enciclica, la Summi Pontificatus, Pacelli non fa nessun riferimento al problema dell’antisemitismo, del razzismo e del nazionalismo, ma ripropone semplicemente e genericamente il tema della “unità del genere umano”, che non era altro che il titolo dell’enciclica mancata di Pio XI (Humani generis unitas).
Alcuni storici maggiormente vicini alle posizioni della Santa Sede sostengono che il silenzio di Pio XII fosse tattico, per consentire alla Chiesa di poter aiutare gli ebrei in segreto, per esempio nascondendoli nei conventi. Cosa ne pensa?
È la stessa spiegazione che Pio XII, dopo la fine della guerra, ha dato del suo atteggiamento nel periodo bellico. La ricerca non può però assumere le categorie con cui gli attori giustificano i loro comportamenti, perché il giudizio storico può tenere conto delle intenzioni, ma deve basarsi sui fatti e sui risultati. E i risultati sono che i silenzi di Pio XII non hanno evitato lo sterminio degli ebrei, anzi hanno fatto parte del contesto storico in cui esso si è verificato e che in fondo l’ha permesso. Senza dubbio constatare il silenzio di Pacelli sulla Shoah non vuol dire che non ne fosse intimamente inorridito, né che non la condannasse e nemmeno che non cercasse di limitarne, tramite la via diplomatica, le spaventose conseguenze. Significa solo che non prese pubblica posizione su di essa. E ovviamente la cosa non è irrilevante: la guida di una istituzione avviene con atti pubblici.
Nel 2000 sono stati beatificati Pio IX e Giovanni XXIII, ora si riconoscono le “virtù eroiche” di Pio XII e Giovanni Paolo II: quattro papi in dieci anni. Come mai?
Per secoli la Chiesa di Roma non ha santificato dei papi. Poi, a partire dalla seconda metà del ‘900, proprio con Pio XII, si è iniziato a canonizzare pontefici, soprattutto quelli del XX secolo, avviando una prassi, interrotta solo da Giovanni XXIII e Paolo VI, per cui i papi vengono fatti santi. Mi pare si possa dare una spiegazione: un papato che si sente in difficoltà in una società contemporanea che sfugge al suo controllo tende a rafforzarsi santificando se stesso, in modo da rispondere all’indebolimento sociale con una richiesta di venerazione interna.
Fra l’altro, in questi casi, sono state proposte delle coppie di “opposti”: Pio IX, il papa anti-moderno e Giovanni XXIII, il papa dell’apertura alla modernità; ora Pio XII e Giovanni Paolo II, il primo inviso, il secondo molto amato dagli ebrei. C’è una logica?
Si possono cercare le ragioni di questo atteggiamento nella volontà di risolvere i contrasti che emergono nella storia della Chiesa attraverso l’imposizione di un atto di ossequio. Ciò che nella storia è contraddizione viene risolto nella misura in cui si impone di affidare al papato romano e alla sua autorità la soluzione di questa contraddizione. Mi pare che decidere l’onore degli altari per pontefici che sono stati portatori di linee diverse ed anche contrastanti implichi affermare che tali scontri sono irrilevanti ai fini della venerazione che i fedeli debbono ad essi prestare. Significa quindi esigere un atto di sottomissione a quel potere papale in cui risiede in ultima analisi il potere della canonizzazione.
Se Pio XII è così controverso e riapre le ferite con il mondo ebraico, perché il Vaticano vuole comunque andare avanti?
Si possono trovare risposte su due piani. Il primo è politico e riguarda la questione dei rapporti con lo Stato di Israele: il governo di Gerusalemme pone l’eventuale canonizzazione di Pio XII come un elemento che ostacola la messa in pratica degli accordi diplomatici raggiunti con Roma a tutela delle minoranze cattoliche in Israele. Se la Santa Sede non procede sulla via della canonizzazione dimostra, nel gioco diplomatico, di cedere alla richiesta israeliana, mostrandosi così in una posizione di debolezza. Il Vaticano non vuole avvalorare tale debolezza, e quindi promuove la canonizzazione per mostrare che non intende accettare le condizioni poste da Israele per poter realizzare quello che del resto lo stesso Stato di Israele ha già sottoscritto.
Il secondo piano è ecclesiastico. Il papato romano vuole santificare se stesso e quindi deve santificare tutti i pontefici che si sono succeduti. E può raggiungere questo obiettivo nella misura in cui si presenta come sottratto alle dinamiche della storia: il papato romano è santo proprio perché è al di sopra e al di fuori della storia. O meglio agisce, e con determinazione, dentro la storia per poter influire sui suoi processi, ma nello stesso tempo vuole presentarsi agli occhi dei fedeli al di sopra della storia per poter poi chiedere di essere venerato senza essere macchiato dalle contingenti vicende in cui pure è implicato.