In una recente indagine condotta dalla Doxa e dalla Reputation Institute è emerso che nell’opinione degli stranieri l’Italia si colloca al dodicesimo posto nella classifica dei paesi con il maggiore prestigio internazionale. In compenso, sul fronte dell’autostima dei propri cittadini, scivola al ventiseiesimo posto. In parole povere, gli italiani considerano e apprezzano l’Italia di gran lunga meno di quanto lo fanno gli stranieri. Ma questo non è certamente un risultato che possa sorprendere.
Non c’è forse nazione al mondo dove i propri cittadini quando vanno all’estero non parlino così male del proprio paese come l’Italia. Mettere in pubblica piazza i nostri difetti, magari ingigantirli, cercare di accattivare la simpatia di chi ci ospita esaltando i pregi altrui a danno nostro è un vero e proprio sport nazionale. E a rimetterci per primi sono soprattutto gli italiani residenti all’estero che per attenuare gli effetti nefasti di questa malattia si sforzano in ogni circostanza a tenere alta la bandiera italiana. All’italiano che è di passaggio rimane invece facile gettare fango su tutto ciò che è italiano: tanto presto tornerà a casa ben felice di immergersi in quel presunto fango che anche lui probabilmente ha contribuito a creare.
Per chi invece vive e lavora all’estero, questa pessima immagine che ci sta circondando, dove tutto è mafia, corruzione, inefficienza, insicurezza, incuria, finisce per danneggiare la sua immagine personale. E qui veniamo al punto: molti italiani ancora non hanno capito che facendo parte della nazione italiana ogni aspetto che danneggi o esalti l’italianità nel suo insieme finisce per danneggiare o esaltare ogni singolo appartenente a questa nazione.
Il marchio Made in Italy non riguarda, infatti, solo la moda, il design, l’arte e la cultura: riguarda anche il modo di comportarsi, di essere riconosciuto come un popolo affidabile, serio, onesto, lavoratore. E l’Italia, da questo punto di vista non sarà meglio ma non è nemmeno peggio di moltissime altre nazioni avanzate, che oggi hanno una mafia molto più potente della nostra, dove la corruzione non ha nulla a che invidiare alla nostra, dove i treni arrivano ugualmente in ritardo, dove i quartieri dormitori e il degrado umano non ha paragoni con quelli nostrani. Con l’unica differenza che se un misfatto è opera di un americano, inglese, tedesco o francese, nell’immaginario collettivo rappresenta un’eccezione; se è di un italiano è solo un tipico esempio di popolo.
Ma se gli italiani che vivono all’estero sono, come abbiamo detto, le maggiori vittime di questo discredito collettivo, sarebbe ora che anche loro elevassero la loro voce per far conoscere l’altra storia d’Italia, fatta da tanto lavoro onesto, tanta inventiva, tanta capacità di collocarsi ai vertici della ricerca, dell’innovazione, della scienza e tecnologia. La solitaria difesa dell’immagine italiana non basta più. Per contrastare la cronica tendenza dell’auto denigrazione, tanto praticata in Italia, è fondamentale che subentri prepotentemente una forza positiva, coraggiosa, costruttiva e innovativa. E questa nuova linfa vitale, oggi come oggi, la possono dare solo i milioni di italiani e oriundi italiani residenti all’estero.
Il PIE, Partito degli italiani dall’estero, nel suo piccolo sta cerando di farsi interprete di questa diversa visione dell’Italia. Affinché, però, questo sforzo abbia un minimo di successo è indispensabile che gli italiani all’estero si facciano sentire, che scrivano ai giornali, che si organizzino e allestiscano mostre, convegni, seminari, incontri senza affidarsi troppo alle strutture pubbliche. Soprattutto che incalzino i propri rappresentanti eletti nella Circoscrizione estero che fino ad ora più che a promuovere la realtà italiana all’estero, hanno promosso se stessi a Roma.
di Rainero Schembri
schembri.rainero@libero.it