Sen.Stefano Ceccanti (PD)
Dopo l'infelice memoria alla Corte di Strasburgo il Governo commette un secondo grave errore nell'impostare il ricorso, affermando una tesi solennemente smentita dalla nostra Corte costituzionale. La cosa paradossale è che il Governo, in questo modo, sostiene la tesi risultata soccombente di fronte alla Corte degli avvocati della famiglia Lautsi, che ha poi ricorso a Strasburgo.
Nella newsletter di Palazzo Chigi, la numero 41 diffusa oggi (ieri per chi legge, ndr), il Governo afferma solennemente che: “Nell'ordinamento italiano l'esposizione del crocefisso è regolamentata dal decreto legislativo 297/1994 (Testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di ogni ordine e grado)”.
Invece, com'è noto, tale tesi è stata confutata puntualmente dall'ordinanza della Corte costituzionale n. 389/2004, nella quale si sostiene che 'gli articoli 159 e 190 del testo unico si limitano a disporre l'obbligo a carico dei Comuni di fornire gli arredi scolastici, attenendo dunque il loro oggetto e il loro contenuto solo “all'onere della spesa per gli arredi” e che, “per quanto riguarda l'art. 676 del d.lgs. n. 297 del 1994, non può ricondursi ad esso l'affermata perdurante vigenza delle norme regolamentari richiamate, poiché la eventuale salvezza di norme non incluse nel testo unico (…) può concernere solo disposizioni legislative”.
Se la tesi del Governo fosse stata accolta, la Corte avrebbe dovuto decidere con sentenza sulla costituzionalità di quella fonte primaria e non stabilire con ordinanza la propria incompetenza giacché si tratta di sole fonti secondarie.
Se iniziamo così, ricostruendo male le caratteristiche del nostro ordinamento interno, c'è poco da sperare nell'esito del ricorso giacché un Paese il cui Governo ricorre smentendo un'ordinanza importante della propria giurisprudenza costituzionale non può allo stesso tempo dire alla Corte di Strasburgo di rispettare la specificità del principio di laicità in Italia enucleato in altre sentenze della stessa Corte.