di Carlo Costantini
Per noi dell’Italia dei Valori era evidente fin dal giorno dopo l’approvazione del “decreto Abruzzo” che la modifica al Codice degli Appalti, finalizzata ad ampliare fino al 50% il ricorso ai subappalti, avrebbe elevato il rischio di infiltrazione di imprese legate alla criminalità organizzata.
Un rischio che, in verità, è già insito nella stessa normativa antimafia.
In molti pensano che i contratti di appalto possano essere firmati dalle pubbliche amministrazioni solo dopo aver ricevuto le informazioni “antimafia” dei Prefetti, ma purtroppo la realtà è ben diversa.
Infatti, nei casi di urgenza (come presumo anche a L’Aquila) le pubbliche amministrazioni procedono ad autorizzare ed a stipulare contratti con le imprese anche in assenza delle informazioni “antimafia” dei Prefetti, che solitamente richiedono alcune settimane di accertamenti.
Ed il paradosso è che in questi casi, qualora il tentativo di infiltrazione mafiosa emerga dopo la firma del contratto e l’avvio dei lavori:
1) l’amministrazione pubblica non ha l’obbligo, ma solo la facoltà di revocare o di recedere dal contratto;
2) nel caso in cui decida di rompere il vincolo contrattuale, l’amministrazione pubblica e’ obbligata ad indennizzare l’impresa collusa con la criminalità organizzata pagandole il valore di tutte le opere nel frattempo eseguite e rimborsandole anche le spese già sostenute per l’esecuzione di ciò che resta da eseguire.
Potrà sembrare inverosimile, ma è questo il contenuto dell’art. 11, D.P.R. 252/98 sulla certificazione antimafia, che il legislatore nazionale non ha mai inteso modificare e che il Coordinatore Regionale dell’Italia dei Valori, Sen. Alfonso Mascitelli, chiederà nei prossimi giorni di modificare, con la presentazione in Senato di una apposita proposta di legge.