I DUBBI PER LA PREVIDENZA

Il sistema pensionistico italiano subirà, entro pochi anni, un’ennesima riforma. Il nostro Paese si dovrà adeguare al sistema previdenziale già varato in parecchi Stati UE. L’età pensionabile, per tutti i lavoratori, sarà portata a 65 anni e 40 d’attività lavorativa dovranno essere maturati per avere una pensione meno penalizzata. Trattamento che, in ogni caso, non potrà essere superiore al 50% dell’ultima retribuzione ( al lordo delle trattenute). Ciò per l’applicazione del sistema di calcolo contributivo che terrà conto, per la rendita pensionistica, della contribuzione di tutta la vita lavorativa. Per limitare il danno, saranno estesi i trattamenti facoltativi complementari. L’INPS potrebbe diventare l’unico istituto previdenziale nazionale. La questione, come abbiamo scritto, non è unicamente italiana. Da noi, il problema s’evidenzia in modo più marcato proprio per le basse retribuzioni che sono riconosciute a chi lavora. Però, solo una più rigida disciplina previdenziale potrà farci guardare al futuro in modo più sereno. Del resto, i conti confermano la nostra tesi. In Italia i lavoratori precari ed a tempo indeterminato sono a quota ventisette milioni. I pensionati oltre sedici milioni. Ne consegue che i trattamenti previdenziali, già da ora, hanno un peso economico di oltre 300 miliardi d’Euro e la tendenza è in progressivo aumento. L’attuale Esecutivo, pur con tutte le sue contraddizioni, non sembrerebbe intenzionato ad affrontare l’annosa questione in tempi brevi. Ma, entro la prossima Legislatura, la riforma previdenziale dovrebbe essere completata. L’unica possibilità, ancora percorribile, è aumentare, con incentivi, l’età pensionabile portandola a 67 anni ( in modo facoltativo). L’innalzamento è già previsto per la Germania ed il Regno Unito. In questo modo, pur non modificandosi il sistema di calcolo previdenziale, le pensioni potranno essere meno esose. Sui trattamenti complementari non siamo ancora in grado di fare previsioni; anche perché non esistono parametri certi sulla loro validità. Nella migliore delle ipotesi, essi potrebbero coprire di un 20% il trattamento previdenziale in corso di maturazione. Portando, di fatto, al 70% ultima paga maturata per il trattamento previdenziale. In buona sintesi, le pensioni, pur se “riformate”, tornerebbero ad una percentuale più vicina all’attuale. Ma con sostanziali differenze: l’aumento dell’età pensionabile e la perdita del compenso di fine lavoro (liquidazione). Insomma, chi oggi ha un’anzianità lavorativa di 15 anni, o meno, al momento del pensionamento si troverà in maggiori difficoltà economiche. Sperare in altre soluzioni meno penalizzanti è impossibile. I politici di Maggioranza ed Opposizione lo hanno capito. I lavoratori ancora di più e se ne dolgono.

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