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Non chiamatela “leggina Englaro”. Lo strabismo costituzionale di Sacconi e Bagnasco”Nessuno può essere costretto a sottoporsi, contro la sua volontà, a trattamenti diagnostici o terapeutici per quanto promettenti essi siano”. Lo ribadiscono anche i presidenti della Conferenza episcopale tedesca e del Consiglio della Chiesa evangelica di Germania, che hanno partecipato fino all'ultimo, con dettagliati quanto pacati statement congiunti, ai lavori preparatori della legge, votata il 18 giugno 2009 ed entrata in vigore il 1° settembre.
di Marlis Ingenmey
La preistoria
La legge per il Testamento biologico che la Germania si è data il 18 giugno di quest'anno viene da lontano. Il cammino delle Patientenverfügungen, “Disposizioni del paziente” – già redatte da 9 milioni di cittadini e da tempo, di norma, rispettate nella prassi quotidiana -, verso l'ingresso a pieno titolo nell'ordinamento giuridico inizia sulla fine degli anni Settanta quando cominciano a circolarne i primi moduli. Nell'80 si costituisce in Baviera, rivelandosi poi la più importante nel suo genere, l'”Associazione tedesca per una morte umana” (DGHS), che si batte per il “diritto” della persona – insito nel “diritto alla vita” – “a morire con dignità” nel momento e nei modi da lei stessa prescelti, e presenta, tra l'86 e il '97, una serie di petizioni per invitare il Governo a legiferare in merito, e, nel '99, una proposta più circostanziata.
Parallelamente si susseguono, a partire dall'84, le prime pronunce esemplari della Corte di Cassazione che confermano, affrontando sempre nuovi aspetti della questione, il diritto, costituzionalmente riconosciuto e garantito, del cittadino all'autodeterminazione in materia di salute e in particolare al rifiuto, attualmente o anticipatamente espresso, di trattamenti anche salvavita (comprese la nutrizione e l'idratazione artificiali), pronunce che sono via via recepite da altre Corti di ogni grado (per risolvere casi simili sottoposti alla loro decisione), dalla Federazione degli Ordini dei medici (per aggiornare il Codice deontologico ed elaborare Direttive e Raccomandazioni su come comportarsi con malati terminali o con prognosi comunque infausta, e, specificamente, di fronte a “disposizioni anticipate”), dal potere esecutivo (che col primo Gabinetto Schröder si dice, fin dal '99, intenzionato a studiare una disciplina normativa) e da quello legislativo (come dimostrano tutti e tre i disegni di legge discussi negli ultimi anni al Bundestag: altro che levate di scudi per presunti “conflitti di attribuzione”).
Sempre nel '99 entrano in azione – “per togliere alla gente la paura di diventare alla fine vittima della tecnologia medica”, ma anche, giocando d'anticipo, per arginare ogni eventuale deriva eutanasica nel gregge dei fedeli – i presidenti della Conferenza episcopale tedesca e del Consiglio della Chiesa evangelica di Germania, che, pur rispettosi, nella loro qualità di cittadini di uno Stato laico, dei principi enunciati nella Legge fondamentale (anche loro ribadiscono a chiare lettere: “Nessuno può essere costretto a sottoporsi, contro la sua volontà, a trattamenti diagnostici o terapeutici per quanto promettenti essi siano”), varano insieme le Disposizioni del paziente cristiano (rivedute nel 2003 e sottoscritte ormai da circa 2,9 milioni di tedeschi), con le quali limitano, per il paziente, appunto, “cristiano”, ricordandogli che la vita è un “dono di Dio” e pertanto “indisponibile”, l'eventuale rifiuto di trattamenti salvavita (“onde poter vivere, fino all'ultimo, con dignità”) alla “fase terminale di malattie incurabili” – a meno che la coscienza del singolo non gli permetta di formulare “integrazioni personali” (che possono riguardare, come specificano i vescovi nelle Note esplicative che accompagnano il loro modulo, fra l'altro, anche richieste per il caso che l'interessato dovesse venire a trovarsi in stato vegetativo permanente, se discusse con un medico di fiducia).
La spinta decisiva a legiferare giunge quando, nel marzo del 2003, la Cassazione sancisce definitivamente la legittimità e il carattere vincolante di “disposizioni anticipate del paziente”: “La dignità della persona esige, infatti, che il diritto all'autodeterminazione da lei esercitato quando era capace di intendere e di volere, venga rispettato anche quando non fosse più in grado di decidere responsabilmente”. La stessa sentenza precisa inoltre che, in mancanza di una tale dichiarata volontà, il consenso a trattamenti anche salvavita o la sua negazione vanno appurati “ricostruendo la presunta volontà del paziente alla luce del suo modo di concepire la vita, delle sue intime convinzioni e di altri valori cui faceva riferimento”.
All'epoca è già, col secondo Gabinetto Schröder, come attualmente nella Grande coalizione, ministro della Giustizia Brigitte Zypries, socialdemocratica, giurista, che, istituita in autunno una Commissione ad hoc, mette intanto, alla conclusione dei lavori nel giugno del 2004, sul sito del Ministero un opuscolo di Consigli per la redazione di “Disposizioni del paziente” (che lasciano all'interessato, con la sola esclusione dell'eutanasia “attiva”, illegale in Germania, totale libertà di accettare o rifiutare qualsiasi trattamento medico in presenza di qualsiasi malattia grave, anche al di fuori della fase terminale), e presenta poi a novembre, in una conferenza stampa, la bozza di un suo disegno di legge in merito, ispirato agli stessi criteri, che solleva tra gli addetti ai lavori, ma anche nel grosso dell'opinione pubblica, colta impreparata, un'ondata di perplessità e proteste tali da consigliarne, tre mesi dopo, il ritiro. Da quell'inverno, tuttavia, ha inizio nel Paese una discussione sempre più ampia e approfondita soprattutto sul quesito se, in nome di una tutela a oltranza della vita, debbano o possano – o non debbano assolutamente – essere posti dei limiti alle penultime volontà da dettare in tali testamenti, discussione a cui partecipano anche le due grandi Chiese cristiane (raccomandando, con dettagliati quanto pacati statement congiunti, “un giusto bilanciamento tra autodeterminazione e assistenza dovuta”) e che sfocia in un primo “dibattito orientativo” al Bundestag il 29 marzo del 2007, quando è ancora fresco di stampa un sondaggio Forsa da cui risulta che solo il 18% della popolazione ritiene che le “disposizioni anticipate” debbano limitarsi alla “fase terminale” di qualsiasi malattia, mentre il 73% (il 9% non sa rispondere) rivendica piena libertà nel formularle e auspica che le volontà così espresse vengano rispettate dal momento stesso in cui il paziente non possa più pronunciarsi personalmente.
Nota bene
La Legge fondamentale, deliberata nel 1949 dal “popolo tedesco” conscio delle barbarie perpetrate dal nazismo, dà particolare risalto alla “dignità” dell'uomo come individuo, dichiarandola in apertura della Parte I, dedicata ai “diritti fondamentali” della persona, “intangibile. E' dovere di ogni potere statale rispettarla e proteggerla” (art. 1, comma 1). In questa ottica il “popolo” “riconosce gli inviolabili e inalienabili diritti dell'uomo” (1,2) che “vincolano il potere legislativo, quello esecutivo e il giudiziario come diritto immediatamente valido” (1,3). Di conseguenza basta ai tedeschi, insieme a questo primo, il solo secondo articolo della loro Costituzione (che non ha un articolo corrispondente al nostro 32) per giustificare il diritto all'autodeterminazione del cittadino anche in materia di salute e pertanto quello di disporre del proprio corpo e della propria vita fino alle conseguenze estreme: “Ognuno ha diritto al libero sviluppo della propria personalità, in quanto non violi i diritti degli altri e non trasgredisca l'ordinamento costituzionale e la legge morale” (2,1), “Ognuno ha diritto alla vita e all'integrità fisica. La libertà della persona è inviolabile. Questi diritti possono essere limitati soltanto in base a una legge” (2,2).
In dirittura d'arrivo
Al dibattito del 29 marzo 2007 in un'Aula gremita, trasmesso per intero da radio e televisione, prendono attivamente parte una trentina di deputati tra cui i tre futuri relatori di altrettante proposte – questa volta di iniziativa parlamentare -, già abbozzate e sostenute da gruppi trasversali (ai cinque partiti rappresentati in questa legislatura è lasciata, come accade di solito in Germania quando sono all'ordine del giorno temi eticamente sensibili, libertà di schierarsi). Tutti e tre, per restare ai punti cruciali del problema, danno per scontato nei loro interventi, sia pure con qualche distinguo, che le “disposizioni anticipate”, atte a salvaguardare fino alla fine la “dignità” e la “libertà” della persona – facoltative, da mettersi preferibilmente per iscritto, in qualsiasi momento revocabili senza alcuna formalità -, potranno riguardare, eccetto richieste di eutanasia attiva, in presenza di qualsiasi patologia (compresi gli stati vegetativi e le varie forme di demenza), qualsiasi trattamento medico, e che saranno “vincolanti” se “calzanti”, cioè aderenti al quadro clinico specifico. Per tutti e tre, nutrizione e idratazione artificiali sono – come insegnano le principali Società di Nutrizione Artificiale europee (tra cui le più rappresentative italiane) e americane – “a tutti gli effetti trattamenti medici” che richiedono il consenso del malato. Lo riconoscono, in Germania, anche il Consiglio della Chiesa evangelica (per il quale la nutrizione artificiale “non è da annoverarsi tra le misure ordinarie di assistenza”) e la stessa Conferenza episcopale (che la menziona pari pari fra i “trattamenti medici salvavita” di cui perfino il paziente “cristiano” prossimo alla morte può chiedere il non inizio o l'interruzione); per entrambe le Chiese rientra tra le “misure ordinarie di assistenza” soltanto “l'appagamento di fame e sete, ove manifestate come sensazioni soggettive”.
In dettaglio, Joachim Stünker, socialdemocratico (SPD), già magistrato – depositerà per primo, nel marzo del 2008, il suo ddl, che ricalca in buona parte la proposta Zypries e vanta fin dall'inizio, quando metà dei deputati è ancora indecisa, il maggior numero (210) di firmatari -, rifiuta fermamente, perché in contrasto con lo spirito e le norme della Legge fondamentale, qualsiasi restrizione della validità delle “disposizioni” a seconda del grado o dello stadio di una malattia, e ritiene che lo Stato non debba mai tutelare la vita contro la volontà del paziente, essendo quello “alla vita” un “diritto” che non può essere commutato in un “dovere”.
Le sue affermazioni sono condivise da Wolfgang Zöller, del ramo bavarese (CSU) dei democristiani (CDU) – depositerà il suo testo, il più snello, lo scorso dicembre -, che si dice contrario a ogni iperregolamentazione, mette però in guardia contro un mero automatismo nell'attuazione delle “disposizioni”, per cui si augura che possa instaurarsi, caso per caso, un proficuo dialogo tra il medico, con la sua competenza ed esperienza, e chi fa le veci del paziente e ne deve, comunque, rispettare e far rispettare le volontà (idea che sarà, all'ultimo, sviluppata anche in un apposito paragrafo del ddl di Stünker); in compenso vorrebbe limitare l'intervento del Giudice tutelare ai soli casi in cui i dialoganti non arrivassero alle stesse conclusioni.
Wolfgang Bosbach, infine, della CDU, avvocato – depositerà, anche lui, solo a dicembre il suo ddl, alquanto macchinoso, favorito, con poche riserve, dalle Chiese, ben più critiche, invece, nei confronti dell'”unilateralismo” degli altri due -, pur affermando che la volontà “attuale” del paziente “capace” “va sempre e in ogni circostanza rispettata”, si mostra restio a rispettare volontà “anticipatamente” espresse (perché “non è detto che il paziente, se ne avesse la facoltà, non rivaluterebbe, in tempo reale, la situazione e deciderebbe magari diversamente”), e si domanda nella fattispecie se si debbano davvero ritenere in uguale misura “vincolanti” richieste in presenza di patologie dal decorso irreversibilmente letale e altre che riguardino malattie potenzialmente curabili (per le quali proporrà poi di rendere obbligatoria la consulenza, all'atto della loro formulazione, di un medico, da certificarsi dal medesimo).
A conclusione di quel dibattito, dai toni insolitamente compassati, durato più di tre ore, la presidente di turno prevede che l'Aula dovrà occuparsi del tema, a più riprese, ancora per mesi – che diventeranno ben ventisette; nel corso dei quali i tre ddl, che rispecchiano nella sostanza le anticipazioni fatte quel giorno dai relatori, vanno, passo passo, perfezionandosi in un lavoro collegiale – con l'apporto di audizioni di medici, giuristi, esperti di bioetica, con documenti mai sopra le righe da parte delle Chiese e sotto l'occhio vigile di tutte le Commissioni permanenti coinvolte (Sanità, Famiglia, Finanze e, per ogni tappa dell'iter, Giustizia) -, per arrivare in momenti diversi alla Prima lettura in Seduta plenaria (il disegno di Stünker il 26 giugno dell'anno passato, quelli di Zöller e Bosbach, insieme, il 21 gennaio di quest'anno) ed essere poi trasmessi, ai primi di marzo, per l'ultimo controllo (riguardo alla costituzionalità, compatibilità con leggi vigenti e attuabilità pratica) e per la definitiva messa a punto, comprese rifiniture lessicali, ancora una volta alla Commissione Giustizia, che li rimanda in Aula a metà maggio per l'atto finale.
Al traguardo
Le votazioni, in forma palese, previste per il 28 maggio, slittarono al 18 giugno perché lì per lì non vi fu accordo (che poi si trovò) sull'ordine – crescente (che vinse) o decrescente quanto al numero dei firmatari – nel quale mettere ai voti i tre testi approntati per individuare quello da adottare come unico. Così, quel giorno – respinta preliminarmente, a stragrande maggioranza, una petizione dell'ultima ora (sostenuta da 39 deputati, 37 dei quali CDU o CSU, in ambasce per come si stavano mettendo le cose) che invitava a rinunciare tout court a ogni disciplina normativa di una “materia già regolata a sufficienza dalla prassi” -, si impose, in Seconda lettura, il ddl di Stünker che, presenti 566 dei 612 membri del Bundestag, ottenne 320 voti favorevoli (contrari 241, astenuti 5) e fu approvato subito dopo, in Terza lettura e dunque definitivamente, da 318 (non 317, come annunciato dopo il primo conteggio e subito rilanciato dagli organi di informazione) dei 555 deputati rimasti in Aula (hanno votato a favore 201 socialdemocratici, 46 liberaldemocratici della FDP, 37 deputati de La Sinistra, 32 di Alleanza 90/I Verdi, una deputata della CSU, e un indipendente). Trattandosi di un ddl che non richiedeva l'assenso anche del Bundesrat – che avrebbe, comunque, nelle due settimane successive, potuto sollevare obbiezioni, ma non lo ha fatto -, la legge (“Terza legge a modifica del Diritto che regola le tutele”)1 è entrata in vigore, come previsto, il 1° settembre scorso.
Eccone la parte che riguarda specificamente le Disposizioni del paziente:
“Articolo 1 – Modifica al Codice civile
§ 1901a – Disposizioni del paziente
(1) Se un maggiorenne capace di prendere decisioni in merito ha dichiarato per iscritto, in previsione della propria eventuale futura incapacità, di dare o negare il suo consenso (Disposizioni del paziente) a determinati trattamenti diagnostici, terapeutici o chirurgici, all'epoca non ancora imminenti, il tutore verifica se tali dichiarazioni riguardano realmente la situazione venutasi a creare (stato di salute e trattamenti possibili). In caso affermativo il tutore deve rendere nota e far rispettare la volontà del suo assistito. Le Disposizioni del paziente possono, in qualsiasi momento, essere revocate senza alcuna formalità.
(2) In mancanza di Disposizioni scritte del paziente o qualora le sue Disposizioni non riguardassero realmente la situazione venutasi a creare (stato di salute e trattamenti possibili), il tutore deve appurare i desideri riguardo ai trattamenti o la volontà presunta del suo assistito e decidere di conseguenza se dare o negare il consenso a uno dei trattamenti medici di cui al comma 1. La volontà presunta va accertata in base a elementi concreti. Sono da considerare in particolare affermazioni, a voce o scritte, fatte in precedenza dall'assistito, suoi convincimenti etici o religiosi ed eventuali altri suoi valori di riferimento.
(3) I commi 1 e 2 valgono indipendentemente dal tipo e dallo stadio della malattia dell'assistito.
(4) Nessuno può essere obbligato a redigere Disposizioni del paziente. La redazione o la presentazione di Disposizioni del paziente non può essere condizione per la stipula di un contratto.
(5) I commi da 1 a 3 valgono anche per il titolare di una procura sanitaria.
§ 1901b – Colloquio per l'accertamento della volontà del paziente
(1) Il medico curante, considerati lo stato di salute generale del paziente e la prognosi, individua il trattamento eventualmente indicato. Lui e il tutore discutono il trattamento prescelto tenendo conto della volontà del paziente quale base della decisione da prendersi ai sensi del § 1901a.
(2) Nell'accertamento della volontà del paziente secondo il § 1901a, comma 1, o dei suoi desideri riguardo ai trattamenti o della sua volontà presunta secondo il § 1901a, comma 2, dovrebbe essere data l'occasione di pronunciarsi a parenti stretti e altre persone di fiducia dell'assistito, ove ciò fosse possibile senza causare notevoli ritardi.
(3) I commi 1 e 2 valgono anche per il titolare di una procura sanitaria.
§ 1901c – Desideri espressi riguardo a una eventuale Tutela – Procura sanitaria
Chi è in possesso di un documento in cui qualcuno, per il caso che dovesse avere bisogno di un tutore, ha formulato proposte per la sua scelta o desideri relativi al contenuto della tutela, deve consegnarlo al Giudice tutelare appena saputo dell'avvio di un procedimento in merito. Ugualmente è tenuto a informare il Giudice tutelare chi possiede documenti con cui l'interessato ha conferito una procura sanitaria ad altra persona. Il Giudice tutelare può richiedere la consegna di una copia di tali documenti.
§ 1904 – Autorizzazione del Giudice tutelare riguardo a trattamenti medici
(1) Il consenso del tutore a un trattamento diagnostico, terapeutico o chirurgico richiede l'autorizzazione del Giudice tutelare, se sussiste il fondato pericolo che, a causa del trattamento, l'assistito muoia o che la sua salute subisca un danno grave e durevole. Il trattamento può effettuarsi senza autorizzazione solo se anche il suo rinvio è rischioso.
(2) La negazione del consenso o la sua revoca da parte del tutore riguardo a un trattamento diagnostico, terapeutico o chirurgico richiede l'autorizzazione del Giudice tutelare, se il trattamento è indicato dal punto di vista medico e sussiste il fondato pericolo che, a causa della sua omissione o interruzione, l'assistito muoia o che la sua salute subisca un danno grave e durevole.
(3) L'autorizzazione di cui ai commi 1 e 2 va concessa se il consenso, la negazione del consenso o la sua revoca corrisponde alla volontà dell'assistito.
(4) Un'autorizzazione di cui ai commi 1 e 2 non occorre se il tutore e il medico curante concordano nel giudicare che il consenso, la negazione del consenso o la sua revoca corrisponde alla volontà dell'assistito, accertata ai sensi del § 1901a.
(5) I commi da 1 a 4 valgono anche per il titolare di una procura sanitaria. Egli può, tuttavia, dare, negare o revocare il consenso a uno dei trattamenti indicati al comma 1, prima frase, o al comma 2, solo se la procura comprende espressamente anche tali trattamenti ed è conferita per iscritto.”
Questa legge, votata dai rappresentanti del popolo di uno Stato sovrano, conferma quanto da tempo considerato “pacifico” e largamente messo in pratica dagli addetti ai lavori: Laddove la Legge fondamentale riconosce a “ognuno” – cioè a ogni singola persona con la sua, personalissima, “intangibile” “dignità”, titolare del “diritto” “inalienabile” (suo, e di nessun altro) “alla vita e all'integrità fisica” – il “diritto al libero sviluppo della propria personalità” nonché il carattere “inviolabile” della sua “libertà”, e pertanto la facoltà di compiere (purché non vengano offesi “i diritti degli altri”, “l'ordinamento costituzionale” e “la legge morale”) le proprie scelte in ogni campo e, nella fattispecie, in quello della salute, essa tutela, senza discriminazione alcuna, tanto il paziente “cosciente” e capace di intendere e decidere “attualmente”, quanto chi, in possesso degli stessi requisiti, dichiara oggi, “anticipatamente”, in Disposizioni scritte, le proprie volontà per l'ipotesi di trovarsi un domani, da “incosciente”, nell'impossibilità di farlo, e perfino chi non vi ha provveduto affatto o in modo troppo generico (anche questi pazienti “incoscienti” non devono diventare oggetto della volontà altrui: i soli loro “desideri” riguardo a un determinato trattamento, espressi in passato a voce o per iscritto, o la loro “volontà presunta”, se appurati, impegnano il tutore a “decidere di conseguenza”).
In Germania, ormai, un maggiorenne capace di prendere decisioni in merito, può (non è un obbligo), senza più il timore di essere disatteso, preventivamente dare, negare o limitare nel tempo il suo consenso a determinati trattamenti medici (nessuno escluso) che dovessero un giorno risultare indicati in ogni stadio di una sua malattia, infermità o disabilità di qualsivoglia tipo e grado (se lo desidera, può anche chiedere espressamente che venga fatto ricorso, ove sostenibile, a ogni ritrovato della scienza e della tecnica per tenerlo il più a lungo possibile in vita). Le sue Disposizioni, revocabili in qualsiasi momento senza alcuna formalità (ma anche modificabili per sopravvenuto ripensamento o attualizzabili secondo la parabola della sua salute), saranno, se alla verifica giudicate “calzanti”, vincolanti per il suo tutore o altra figura assimilabile, per i medici e il personale paramedico che lo avranno in cura, per gli istituti assistenziali che dovessero ospitarlo, per i suoi cari, per chiunque. Va da sé che nella maggior parte dei casi la negazione del consenso (o la sua limitazione nel tempo) riguarderà trattamenti salvavita, e, fra questi, anzitutto la nutrizione e l'idratazione artificiali.
Nessuna iperregolamentazione, nessuna restrizione quanto ai contenuti delle Disposizioni, nessuna richiesta specifica quanto alla loro forma, per cui resteranno, tra l'altro, valide tutte le volontà già anticipate da milioni di persone in atti fai-da-te o compilando moduli prestampati, a meno che il testatore non voglia estenderle, ora che la legge glielo permette, a trattamenti all'epoca non contemplati.
Soddisfatta (“Un sollievo per tutti”) la ministra Zypries, come la sua omologa del governo regionale bavarese, Beate Merk, CSU (“L'autonomia del paziente ha trovato la dovuta conferma”), accontentate la Cassazione e “L'Associazione nazionale dei giuristi” (che avevano ripetutamente auspicato l'intervento del legislatore), felice la presidente dell'”Associazione tedesca per una morte umana”, compiaciuta buona parte dei medici (“Le Disposizioni ci saranno di grande aiuto nel nostro lavoro quotidiano”), mentre i vertici della Federazione nazionale dei loro Ordini restano perplessi (“Una pseudoregolamentazione”), indecifrabile il giudizio della cancelliera Merkel (che non aveva appoggiato il ddl del compagno di partito Bosbach bensì quello, più permissivo, di Zöller, ma che aveva anche definito “interessante” la proposta di soprassedere a ogni disciplina normativa, senza, però, alla fine, partecipare al voto); “dispiaciute”, in sordina (un solo, breve, commento per parte, il giorno stesso del varo della legge), le Chiese (l'evangelica perché “non vi è equilibrio tra autodeterminazione e assistenza dovuta”, la cattolica perché “la legge enfatizza unilateralmente l'autodeterminazione del paziente”), che non avranno da ritoccare più di tanto le loro Disposizioni del paziente cristiano (di cui è annunciata, comunque, come imminente, una nuova edizione), perché esse prevedono – appunto “per il cristiano” – già i paletti che, giustamente, non sono stati piantati ora, a monte, anche per chi professa qualsiasi altra fede o non ne ha nessuna.
Post scriptum
Anche la nostra Costituzione – che riconosce e garantisce (art. 3) a “tutti i cittadini”, “senza distinzione … di condizioni personali” (e dunque, nello specifico, tanto a chi è “cosciente e capace”, quanto a chi si trova in stato di “incoscienza”), (art. 2) “i diritti inviolabili dell'uomo” (fin dal lontano 1789 definiti “inalienabili”), tra cui il “diritto alla vita” (un “diritto”, non un “dovere”) – dichiara esplicitamente (art. 13) “inviolabile” “la libertà personale” (vietandone ogni tipo di “restrizione”, “se non per atto motivato dall'autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge”), e precisa che (art. 32) quello alla “salute” è un “fondamentale diritto dell'individuo”, per cui “nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario” (a meno che, nell'”interesse della collettività”, non debbano essere disposti per legge trattamenti coatti che non possono, tuttavia, “in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana” (ossia la sua “dignità”).
Molte pronunce, in cause riguardanti l'autodeterminazione terapeutica, non solo della Cassazione, ricordano che anche da noi le norme costituzionali a presidio di diritti primari (tra cui le quattro qui riportate), sono imperative e di immediata operatività, senza che occorra, a questi fini, intervento alcuno del legislatore ordinario. Ecco perché già all'inizio degli anni Novanta poté essere condannato per omicidio preterintenzionale da tutte le istanze fino alla Corte Suprema (e radiato dall'Albo) un chirurgo di Firenze che aveva sottoposto una paziente, senza il suo consenso, a un intervento con scarsissime probabilità di riuscita che, puntualmente, le provocò lesioni tali da anticiparne la morte. Ecco perché il rianimatore di Cremona che distaccò nel dicembre del 2006, come richiesto dall'interessato, il respiratore a Piergiorgio Welby (paziente “cosciente e capace”), fu assolto nel febbraio del 2007 dal Ordine dei medici (“Non si rilevano violazioni del Codice deontologico”, “Welby è stato aiutato nel morire, no a morire”) e cinque mesi dopo anche dal gup di Roma (“La condotta di colui che rifiuta una terapia salvavita costituisce esercizio di un diritto soggettivo riconosciutogli in ottemperanza al divieto di trattamenti sanitari coatti, sancito dalla Costituzione”, “L'imputato ha agito in presenza di un dovere giuridico”, di cui all'art. 51 del Codice penale). Ecco perché, l'anno scorso, la Corte d'appello di Milano con decreto del 9 luglio e, con sentenza definitiva del 13 novembre, la Cassazione a Sezioni civili unite hanno potuto autorizzare Beppino Englaro, tutore della figlia Eluana (paziente in stato di “incoscienza”, alimentata con sondino nasogastrico), “a disporre l'interruzione del trattamento di sostegno vitale artificiale”.
Anche da noi, dunque, gli addetti ai lavori, i giudici per primi e in misura sempre crescente i medici – all'ultimo Congresso nazionale degli anestesisti e rianimatori, svoltosi nel settembre del 2007, nove su dieci degli interpellati si sono dichiarati favorevoli al Testamento biologico, sette su dieci contrari al pronunciamento, reso pubblico giusto in quei giorni, del Vaticano sull'obbligatorietà di “somministrazione di cibo e acqua, anche per vie artificiali” in casi come quello di Terry Schiavo -, hanno ormai metabolizzato la portata dei “principi”, “diritti” e “libertà fondamentali” della persona, garantiti dalla Costituzione (e ribaditi da accordi internazionali, ratificati anche dall'Italia, per la protezione, in particolare, della “dignità dell'essere umano” “come individuo”, minacciata “da un uso improprio della biologia e della medicina”), e lo stesso sta facendo, in ritardo rispetto ad altre comunità nazionali a noi culturalmente vicine, la società civile, per non dire il Paese reale.
Secondo gli ultimi sondaggi (Renato Mannheimer, sul “Corriere della Sera” del 1° aprile), il 51% della popolazione sa oggi cos'è un Testamento biologico (e un altro 41% ne ha almeno sentito parlare), il 75% (il 55%, cioè la maggioranza assoluta, anche di chi si professa credente e frequenta regolarmente le funzioni religiose) si augura di poter liberamente rifiutare o limitare nel tempo le cure per l'ipotesi di venire a trovarsi un domani in una situazione di coma irreversibile, e il 68% chiederebbe, per quel caso, anche l'interruzione di nutrizione e idratazione artificiali (tra i cattolici il 47%, il 24% lo esclude, mentre il rimanente 29% non ha ancora un'opinione in merito). Sono poi ogni giorno di più i cittadini, figli di una democrazia minore, che, con la minaccia del “sondino di Stato” all'orizzonte, stanno correndo ai ripari, mettendo nero su bianco le proprie “volontà anticipate” – da depositare magari presso notai, associazioni create ad hoc o, genericamente, per la difesa dei consumatori, fondazioni come quella di Umberto Veronesi, sedi di Società per la Cremazione o appositi “registri” istituiti da già numerosi Comuni (oppure da tenersi semplicemente in tasca, in borsa o nel cassetto) -, “volontà” di cui, al momento opportuno, i medici vorranno comunque tenere conto, chi per onorare la Costituzione, chi per non rischiare di fare la fine del chirurgo di Firenze.
Il Palazzo invece …
Nota:
1 La legge consta di 3 articoli: l'art. 1 (“Modifica al Codice civile”) è dedicato al nuovo istituto delle Disposizioni del paziente, che comporta a sua volta, formulata nell'art. 2, una “Modifica alla legge in materia di Diritto di famiglia e di volontaria giurisdizione”; l'art. 3 stabilisce la data dell'entrata in vigore. (Terza Repubblica)