Se un giorno qualcuno si accingesse a scrivere la storia italiana della prima decade del duemila, sulle sue spalle peserebbe un compito immane. Come minimo, infatti, l'autore dovrebbe mandare in tipografia due volumi…
di Renzo Balmelli
Se un giorno qualcuno si accingesse a scrivere la storia italiana della prima decade del duemila, sulle sue spalle peserebbe un compito immane. Come minimo, infatti, l'autore dovrebbe mandare in tipografia due volumi senza nessun punto di convergenza l’uno con l’altro.
Il primo, quello serio, diciamo, descriverebbe l’Italia vera, con i suoi problemi, le sue ansie, le sue speranze, le sue indubbie realizzazioni, le sue affermate punte di eccellenza. L'Italia della gente che non ha quale modello i Casanova da strapazzo.
Nell’altro libro, piu’ farfallone, il lettore del futuro scoprirebbe invece la versione di Silvio, altrettanto stralunata di quella di Barney, ma meno divertente dell’eroe di Mordechai Richler.
Poi bisognerebbe pero’ aggiungere, per fare capire alle future generazioni come stavano le cose, che a dispetto del teatrino della politica, ad avere il sopravvento nel paese fu appunto per un periodo lungo, troppo lungo, la rappresentazione dell’Italia di plastica o di cartapesta, che dir si voglia, su cui la destra seppe costruire le sue fortune.
Il paradosso è che le future generazioni, a patto di non avere perso per strada la capacità di ragionare con la propria testa, a un certo punto dovranno chiedersi, confrontando le due relazioni, come mai la versione di Silvio riusci’ a imbandire la tavola del potere senza incontrare grosse resistenze, pur essendo priva di qualsiasi consistenza.
Per la verità – e adesso torniamo ai giorni nostri – l’esercizio andrebbe fatto seduta stante, partendo dalla scarsa considerazione di cui gode Berlusconi quando si muove fuori dalle mura domestiche.
Lo si è visto durante il passaggio dal mondo del G8 a quello del G20 che oltre a ridurre il peso dell’Europa ha portato anche a un ridimensionamento del ruolo dell’Italia che già fatica a tenere il passo con le maggiori potenze industriali. Per stornare l’attenzione dal bilancio piuttosto magro raccolto all’ONU e al summit di Pittsburgh il Cavaliere ha provato a buttarla sul ridere. Ma la battuta già scadente sull’abbronzatura di Obama ripetuta nei confronti della moglie non ha fatto che aumentare il disagio delle cancellerie che ormai faticano a nascondere l’imbarazzo al cospetto di un atteggiamento che appare sempre piu’ incomprensibile.
L’uomo pero’ non si da per vinto e torna alla sua ossessiva battaglia con l'informazione per imporre la museruola alle testate sgradite. L’obiettivo è di far chiudere le “gazzette della sinistra” e i pochi programmi televisivi che danno ancora voce a mezzo Paese. Al sultano di
Arcore non piace recitare il ruolo di comprimario e così, per iniziativa del ministro Scajola, pretende contro la legge di stabilire direttamente i palinsesti della tv pubblica. Con una maggioranza che, dalle colonne dei due giornali più diffusi e obbedienti al premier, Il Giornale e Libero, lancia senza pudore e senza nessun senso civico una campagna per boicottare gli abbonamenti Rai. Iniziativa indecente, oltre che gravida di insidie.
Se per disavventura viale Mazzini rimanesse senza mezzi per produrre programmi, sarebbe la fine del servizio pubblico e l’inizio di un ricattatorio regime mediatico a senso unico. La vera posta in palio di questa sfida, unica in Europa, è dunque la sopravvivenza nell’Italia berlusconiana di un’informazione critica e di opposizione. Ovvero l’esistenza di una democrazia.
“Se qualcuno o addirittura la maggioranza – ha scritto Repubblica – pensa ancora che tutto questo sia normale, allora significa che la democrazia in Italia non ha un gran futuro. Il presente è già inquietante”.
Saltano le garanzie del pluralismo, mentre sui giornalisti che fanno il loro dovere piovono dai banchi della destra accuse infamanti: “spazzatura”, “vergogna”, “porcherie”.
Ma da chi arrivano queste accuse? Guarda caso da chi ha lottizzato spazi enormi nel campo della comunicazione, dal cinema all'editoria, dai settimanali alle riviste specializzate nel gossip di cui ora si lamenta.
Ai futuri lettori dei due ipotetici volumi di cui abbiamo parlato all’inizio andrebbe percio' ricordato che Berlusconi, mentre spadroneggiava nel paese, oltre che capo del governo era pure il padrone delle tv private e che il conflitto di interessi di cui si è sempre fatto un baffo, gli conferiva la facoltà di imporre qualcosa ancora peggio di una censura. Non abbiamo la sfera di cristallo, e mentre scriviamo queste note non siamo in grado di predire come sarà l’avvenire del Bel Paese in cui la rappresentazione del potere assomiglia ogni giorno di piu’ a una squallida telenovela carica di lustrini. Il disegno è chiaro: la destra punta all’egemonia e se passano questi sistemi diventa difficile immaginare che cosa ci sarà scritto nei prossimi libri di storia.