MESSA IN STATO D’ACCUSA DEL PRESIDENTE GIORGIO NAPOLITANO

Il Presidente Salvatore MACCA mi ha pregato di dare la massima diffusione al suo “RECLAMO”, cosa che mi accingo a fare perché ritengo cosa giusta. Giusta perché è immorale, antidemocratico, arrogante che tanti cittadini non possano esprimere liberamente il loro pensiero e le loro convinzioni politiche, come avviene per quei cittadini che patrocinano, errando o meno, il messaggio mussoliniano.
Mi auguro che il Presidente Napolitano, Presidente di TUTTI GLI ITALIANI\\\\\\\\\\\\\\\\, abbia la sensibilità di accogliere il “Reclamo” del Dott. Avv. Salvatore MACCA.

MESSA IN STATO D’ACCUSA DEL PRESIDENTE GIORGIO NAPOLITANO
Ecco la lettera spedita il 24.9.2009 dalla Segreteria Generale della Camera dei deputati.

“Si dà riscontro, per incarico del Presidente della Camera dei deputati, al messaggio (la memoria 18 giugno 2009 di Salvatore Macca, integrativa dell’istanza di messa in stato d’accusa 4 aprile-19 maggio 2008) inviato alla Presidenza della Camera dal Sig. Filippo Giannini (Nota: col consenso di Salvatore Macca) l’11 settembre 2009, con il quale, in relazione ad un esposto già presentato dall’Avv. Salvatore Macca che fa riferimento alle fattispecie di cui all’art. 90 della Costituzione, si invia un documento integrativo.
Al riguardo si fa presente che l’esposto sopracitato è stato trasmesso al Comitato per i procedimenti di accusa ai sensi dell’art. 5, comma 1 della legge 5 giugno 1989, n.219, e che, secondo quanto comunicato dal Presidente del Comitato medesimo al Presidente della Camera dei deputati, l’Ufficio di presidenza del Comitato stesso ha ritenuto all’unanimità di non ravvisare nell’esposto gli estremi di una notizia di reato. Con i migliori saluti.” Segue la firma del Segretario.
Ed ecco la risposta di Salvatore Macca:

Brescia, 27 settembre 2009
R E C L A M O

Oggetto:messa in stato d’accusa dell’On. Giorgio Napolitano per attentato alla Costituzione (art.90, comma I°, ipotesi 2^.)
Risposta a comunicazione del Segretario Generale della Camera dei deputati spedita il 24. 9. 2009 e pervenuta il 26 successivo, con la quale mi si è informato che l’Ufficio di presidenza del Comitato per i procedimenti d’accusa aveva comunicato al presidente della Camera di aver ritenuto all’unanimità “di non ravvisare nell’esposto gli estremi di una notizia di reato”.
Reclamo da parte del cittadino Salvatore Macca con richiesta di dichiarazione di giuridica inesistenza, o comunque di nullità assoluta, di un “parere unanime” del Comitato per i procedimenti d’accusa della Camera dei deputati, privo di data, di numero di protocollo, di motivazione, di sottoscrizione, senza previsione legislativa, quasi clandestino.

Al Presidente del Comitato per i procedimenti d’accusa della Camera dei deputati
Palazzo di Montecitorio R O M A
Al Presidente del Comitato per i procedimenti d’accusa del Senato, Piazza Madama, R O M A
On. Capigruppo di tutti i partiti delle due Camere

Data la particolarità della fattispecie, si ritiene che l’unico mezzo per porre nel nulla un provvedimento anomalo ed abnorme nella forma, e clamorosamente ingiusto ed errato nella sostanza, sia quello più semplice e tipico dell’ atto amministrativo, cioè di chiedere la revoca, l’annullamento, o la dichiarazione di nullità o di inesistenza giuridica dell’atto impugnato allo stesso organo che l’ha pronunciato.
Si rileva subito, dunque, che a norma dell’art. 12 Legge costituzionale 11 marzo 1953 n.1, l’organo competente a deliberare in ordine alle richieste di messa in stato d’accusa del Capo dello Stato, non è il Comitato d’accusa ma il Parlamento in seduta comune su relazione di un comitato formato dai componenti della giunta del Senato e da quelli della Giunta della Camera dei deputati.
Pertanto, non è l’Ufficio di Presidenza del comitato per i procedimenti d’accusa ai sensi dell’art. 5, comma I°, L.5.6.1989 n.219, che ha il diritto di ravvisare o di non ravvisare, negli esposti (nel caso di specie quello del denunciante), gli estremi di notizia di reato, essendo, il suo compito, quello di redigere e presentare al Parlamento in seduta comune una relazione in base alla quale lo stesso, a scrutinio segreto, (art.17, comma I°, L. 25.1.1962, n.20), e a maggioranza assoluta (50 % più 1), dovrà decidere sulla denuncia. Atto d’ufficio indebitamente omesso, in questa procedura, dal Comitato, non si comprende se per non conoscenza esatta delle norme, o se per la fretta di lavarsene le mani, o di liberarsi di una patata bollente. E’ chiaro dunque, infatti, che quella che per legge sarebbe dovuta essere una decisione del Parlamento a Camere riunite (circa 900 parlamentari), a scrutinio segreto e a maggioranza assoluta, si è fatta divenire, non si sa come, un semplice parere che si è pure spacciato come un qualcosa di importante e, apparentemente, con effetti definitivi, pur essendo privo di qualsiasi importanza perché non previsto dalla legge. Col vantaggio, “per quelli del palazzo”, di una unanimità scontata, per essere una operazione fra pochi intimi, per fatti assai gravi, che sono sotto gli occhi di tutti, tuttavia considerati come non caratterizzati da estremi di reato.
Si sarebbe dunque di fronte a qualcosa che non è niente: non una delibera, che se tale fosse sarebbe palesemente e clamorosamente nulla, essendo un semplice parere senza valore non previsto dalla legge e proveniente da un organo non autorizzato ad esprimerlo. Ed è pure senza data, senza indicazione dei nomi dei deliberanti, non sottoscritto e non protocollato. Un atto, insomma, clandestino. Sorprende, infine, data la gravità e l’importanza del problema in ballo, e per essere il primo caso di esplicita richiesta di messa in stato d’accusa del presidente di questa repubblica, che coloro che avevano il compito, sia pure ingrato, ma esaltante, di decidere, abbiano preferito fuggire, aggirare l’ostacolo e scegliere una scorciatoia poco onorevole, errata e superficiale.
E dunque il reclamante chiede che il presidente del Comitato, dato atto della nullità, anzi della inesistenza giuridica e dell’inefficacia, nella procedura pendente, dell’opinione propria e dei componenti il suo Comitato, si rassegni a dar seguito alla medesima, nella rigorosa osservanza delle leggi fino ad ora pretermesse o inesattamente applicate. E pertanto, revocata la c.d “opinione unanime”, rediga e presenti la relazione al Parlamento perché decida in seduta comune. Quelle leggi, si noti bene, che vennero promulgate perché spiegassero il loro effetto su tutti i cittadini italiani, senza escludere nessuno, nemmeno il cittadino Giorgio Napolitano, che nella specie le ha palesemente violate. e voglia pertanto, redatta la relazione prevista dall’art. 12 Legge costituzionale 11 marzo 1953 n.1, trasmetterla senza ulteriori, inammissibili indugi.
La denuncia di attentato alla costituzione, presentata dal reclamante, nella quale il Comitato dichiara di non ravvisare, pur essendo sotto gli occhi di tutti, gli estremi di reato, contiene invece la indicazione esatta e specifica delle norme violate (articoli 3,18,21 e 49 Cost.), mentre la memoria 18 giugno ne contiene l’ampia illustrazione. Al punto che il reclamante si offre di formulare lui, a solo fine dimostrativo e senza alcuna difficoltà, il capo d’imputazione nei seguenti termini: “…imputato del delitto di attentato alla Costituzione come previsto dall’art. 90, comma I°, ipotesi 2^, della medesima, per avere omesso, pur essendo il rappresentante dell’unità nazionale, (art. 87 Costit.), e pur avendo prestato giuramento di osservanza della costituzione (art.91), e nonostante le ripetute istanze, segnalazioni e sollecitazioni del denunciante, come prodotte in copia ed esistenti agli atti, e di altri cittadini, di compiere gli interventi e di assumere tutte le iniziative opportune e necessarie, a lui possibili per i suoi poteri ampi e forti, compresa la facoltà d’inviare messaggi alle Camere (art. 87 co.2°), perché potessero trovare piena attuazione le disposizioni di cui agli articoli 3, relativo all’uguaglianza dei cittadini davanti alla legge senza distinzioni di opinioni politiche; 18, 21, e soprattutto 49, che riconosce a tutti i cittadini, nessuno escluso, e dunque anche a quelli di fede fascista, il diritto di associarsi liberamente in partiti. Omissioni che si traducono nella conculcazione, ma solo nei confronti e in pregiudizio dei cittadini di fede fascista, di diritti oggi da essi non esercitabili per odio basso e immotivato, e per faziosità torva ed ottusa, essendone l’esercizio penalmente sanzionato per la vigenza abnorme e strumentale, dopo 61 anni, della XII disposizione transitoria della costituzione (appunto perché transitoria dovrebbe essere destinata a breve durata, due tre anni, per il tempo necessario a coordinare la vecchia normativa con la nuova), che vieta “la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista”, e delle numerose altre leggi liberticide, come la infausta legge Scelba e simili.
Nell’esercizio della funzione di Capo dello Stato dall’assunzione della carica a tutt’oggi.”
Il denunciante è certo che il richiamo al “parere unanime”, contenuto nella comunicazione, dei pochi componenti il Comitato per i procedimenti d’accusa, svanirà dinanzi al Parlamento in seduta comune, (circa 900 deputati), unico organo designato dalla legge per deliberare in ordine alla denunciata inosservanza della Costituzione. Auspico che i parlamentari, in larga maggioranza, quali che ne siano gli ideali politici, agiscano da persone civili e tolleranti , e siano democraticamente solidali con quanti, buoni e bravi cittadini, stanno subendo, da oltre sessant’anni, soperchierie incredibili ed ingiustizie subdole e ripugnanti senza alcun valido motivo, oltre al grave pregiudizio materiale e morale, non stroncate dal cittadino di fede comunista Giorgio Napolitano.
Sembra, questa, l’occasione perché le autorità tutte alle quali ci si sta rivolgendo, colgano l’occasione propizia per discutere globalmente il problema della messa in stato d’accusa, superandolo nel modo più semplice, indolore ed elegante per tutti. E cioè col far porre all’ordine del giorno del Parlamento l’abrogazione della XII disposizione transitoria della Costituzione e di tutte le norme liberticide, comprese le leggi Scelba. Cadute le stesse la richiesta di messa in stato d’accusa si svuoterebbe di scopo e di significato, e potrebbe decadere. Si tenga presente che il problema, di grande valore ideale, morale e di concreta democrazia, per il quale il reclmante e tanti altri camerati si stanno tenacemente battendo da soli, senza mezzi né sostegni, con strenue, in apparenza vane, battaglie, nell’indifferenza dei molti, e nell’odioso e ingiusto ostracismo dei tanti, compresi tutti i mezzi d’informazione, è ormai un problema noto e seguito in tutto il mondo, e l’Italia, e quanti ne sono ai vertici, Parlamento, Capo dello Stato e Presidente del consiglio, non stanno facendo una bella figura.

Salvatore Macca

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