ISTANZA DI MESSA IN STATO D’ACCUSA

IMPEACHMENT !

UN CASO IN ITALIA ?

Di fronte alla resistenza passiva dei c.d. “Poteri forti”, forti e prepotenti coi deboli, dell’attuale Stato che si autodefinisce democratico senza esserlo veramente, un cittadino italiano qualunque, l’autore di questa iniziativa, sul filo della logica stringente e di argomentazioni giuridiche difficilmente contestabili e non più eludibili, si ribella, nel modo più civile e non violento possibile, come è nel suo stile, al rifiuto, pervicace e protervo, opposto col silenzio ostruzionistico a una larga fetta di cittadini italiani di esercitare il sacrosanto diritto di costituirsi in partito.
Nelle pagine che seguono si troverà il crescendo delle iniziative tenacemente intraprese per combattere una ennesima battaglia, che qualcuno potrebbe definire folle, altri temeraria, altri ancora molto coraggiosa, ma che è soltanto il consapevole e coerente esercizio di un diritto; che, paradossalmente, trae la sua forza e la sua motivazione proprio dalla stessa costituzione italiana, vigente dal I° gennaio 1948, e creata dal regime al potere, costituito dai governi e dalle opposizioni che si sono succeduti in oltre sessant’anni.

SALVATORE MACCA

CONTRO

PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
ON. GIORGIO NAPOLITANO

ISTANZA DI MESSA IN STATO D’ACCUSA
(Art.90, comma I°, ipotesi 2^, comma 2° Costituz.)

Avv.Salvatore Macca RACC. A. R.
Presidente Emerito della Corte d’Appello di Brescia
Presidente On.Agg. della Cassazione
Cavaliere di Gran Croce
Brescia, 4 aprile 2008

RICHIESTA AL PRESIDENTE DELLA CAMERA DEI DEPUTATI PRO TEMPORE, NELLA VESTE DI PRESIDENTE DEL PARLAMENTO RIUNITO IN SEDUTA COMUNE, A NORMA DEGLI ARTICOLI 90, COMMA 2°, IPOTESI 2^, E 63 DELLA COSTITUZIONE, DI METTERE IN STATO D’ACCUSA IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA PER ATTENTATO ALLA COSTITUZIONE

Lo scrivente, Salvatore Macca, con raccomandata del 13 febbraio 2008, n.13407250999-8, spedita il 16 stesso mese dall’ufficio postale di Brescia centro, Piazza Vittoria, operazione n.0029, inviava al Presidente della Repubblica un messaggio per chiedere: “E’ in corso un attentato alla Costituzione?”, che si allega alla presente e ne costituisce parte integrante. Tale istanza, ad oggi, non ha avuto alcun seguito.
Va premesso che già in passato lo scrivente si era rivolto alle autorità dello Stato ritenute competenti (Pres. Camera Dep., Pres. Senato, Pres. Affari costituzionali, on. Violante, Presid. del Consiglio, Ministro Giustizia, Presid. Cons. Sup., e, per conoscenza, Capo dello Stato) per chiedere l’abrogazione della XII disposiz. transitoria della Costituzione, là dove la stessa, al comma 1, letteralmente dispone che “E’ vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascita.” La collocazione del divieto da parte del legislatore del tempo, dimostra, né poteva essere diversamente, se non altro perché l’Italia era, ed è, definita, nell’art.1, comma I°, della Costituzione, “una repubblica democratica”, e perché, all’art.49, sin da allora, disponeva che “tutti i cittadini ( tutti, e dunque anche quelli di fede fascista!) hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”, dimostra, si diceva, che il divieto era, e doveva essere, temporaneo.
Già questo richiamo basterebbe per confermare che il legislatore era consapevole che il divieto doveva essere provvisorio, essendo inserito nelle disposizioni transitorie, che, per loro natura, sono, devono essere, limitate nel tempo, avendo, nel nostro ordinamento giuridico, la funzione di coordinare, per certe materie, la vecchia normativa che tali materie governava, con la nuova, destinata a governare la mutata situazione. E forse era pure consapevole che le idee, e la forza che le anima, sono incoercibili.
D’altronde, il legislatore dell’epoca era consapevole che se nel 1948 non fosse stato stabilito il divieto, un partito fascista in giuoco avrebbe certamente vinto subito e clamorosamente le elezioni, sia per liberarsi di autentici carnefici e persecutori, che avevano fatto strame dei cittadini di fede fascista, sia per riscattare la Patria dai nemici esterni ed interni. Era inevitabile che una grande e significativa vittoria sarebbe scaturita; anche a dimostrazione della forte consistenza, allora, del partito fascista, per comprensibile reazione ai torti atroci e alle odiose e ingiuste persecuzioni subite dai cittadini che in esso avevano creduto e ancora credevano. Senza dire che la massa dei reduci dalla prigionia non avrebbe certo votato per i responsabili del tradimento, della disfatta della Patria e della guerra civile. E dunque, allora era inevitabile che l’antifascismo al potere disponesse il divieto. Ma l’antifascismo successivo, quello che ancora perdura, fanatico, radicalizzato e fazioso oltre ogni misura e ogni limite di ragionevolezza, in un certo senso peggiore del primo, non si può permettere di fare il pesce in barile fingendo di dimenticare che è ancora vigente la famigerata XII disposizione transitoria, in pieno conflitto col citato articolo 49 della costituzione. Né sono servite a cambiare le cose le numerose istanze, sempre più pressanti, di quegli Italiani, anche delle nuove generazioni, che devono subire ancora un inammissibile divieto, retto e sostenuto artificiosamente da una disposizione transitoria, in pratica ormai divenuta quasi norma stabile di merito, con la grossolana astuzia e la spregevole malafede dell’attuale antifascismo perenne, che non osa (né potrebbe osare, grazie proprio all’art. 49 della costituzione), pretendere la perpetuità del divieto, e che preferisce far finta di niente, lasciando le cose come stanno nell’illusione che nessuno ne avrebbe mai parlato.
Nel mio messaggio 13-16 febbraio c.a., ultimo di altri, ho esplicitamente prospettato la illiceità, o comunque la inammissibilità, della vigenza della XII disposiz. transit. della Costituzione, che si protrae da oltre sessant’anni, ma che, per sua natura, non dovrebbe superare i due-tre anni. Come ho già rilevato, è vero che non è compito del presidente della repubblica quello di abrogare le leggi, ma è vero altresì che quando la vigenza di una norma transitoria che ponga un divieto sia anomala, dato che si protrae in modo ingiustificato e inammissibile oltre un termine ragionevole, diventa uno strumento vessatorio palesemente diretto a impedire ai cittadini l’esercizio di un diritto previsto e tutelato dalla costituzione, il Presidente della repubblica , quando ne sia informato, e qui lo è stato, e lo è, ha il potere, anzi, il dovere, di intervenire per ristabilire i diritti violati facendo cessare lo scandalo e il sopruso.
Questo, però, il Capo dello Stato non l’ha fatto, violando così l’obbligo di osservare la costituzione, nonostante che, al momento dell’investitura, avesse solennemente giurato di osservarla avanti al Parlamento riunito in seduta comune.
Né si dica che l’abrogazione della XII d.t. sarebbe insufficiente, essendo ancora in vigore altre leggi ostative alla riorganizzazione del partito fascista, come le famigerate leggi Scelba e simili, in quanto, venuta meno la citata disp. trans., perderebbero ogni ragion d’essere le altre leggi liberticide, proprio perché la XII d.t. è la base, la radice, la premessa indispensabile di esse. Senza dire che nulla vieta la espressa abrogazione anche delle leggi liberticide.
P.Q.M.
Visti gli articoli 90, comma 2°, ipotesi 2^, 63, 134, ipotesi 3^, 135, ult.comma, Costituzione, nonché l’art.12 legge costituzionale 11 marzo 1953 n.1, 17 legge 25 gennaio 1962, n.20, capo II (secondo), legge 5 giugno 1989, n.219, l’istante chiede che il Parlamento in seduta comune metta in stato di accusa il Presidente della repubblica italiana pro tempore per attentato alla Costituzione.
Salvatore Macca,Brescia

Avv.Salvatore Macca
Presidente emerito della Corte d’Appello di Brescia
Presidente On.Agg. della Corte di Cassazione
Cavaliere di Gran Croce
Brescia, 19 maggio 2008

ATTO DI SOLLECITO AL PRESIDENTE DELLA CAMERA DEI DEPUTATI

1-Al Presidente della Camera dei Deputati nella veste di Presidente del Parlamento riunito in seduta comune, a norma degli articoli 90, comma 2°, ipotesi 2^, 63, della Costituzione, On.Gianfranco Fini;
2-Al Presidente del Senato On. Renato Schifani;
e per doverosa conoscenza
3-Al Presidente del Consiglio dei ministri On. Silvio Berlusconi
E per opportuna conoscenza
4-Al Capo Gruppo del P.d. L. On. Maurizio Gasparri
5-All’On.Umberto Bossi, Pres. Lega Nord
6-All’On. Walter Veltroni, Pres. del P.D.
7-All’On. Pierferdinando Casini, Pres. della “Unione di centro”
8-All’On. Antonio di Pietro, Pres. dell’ “Italia dei valori”
E per doveroso atto di riguardo, nonché per conoscenza e informazione,
9-All’On. Giorgio Napolitano, Presidente della Repubblica
.
Informo le SS.LL. che, con ricorso del 4 aprile c.a., spedito a mezzo raccomandata con ricevuta di ritorno del giorno successivo, ho formulato al Presidente della Camera dei deputati del tempo, nella veste di Presidente del Parlamento riunito in seduta comune a norma degli articoli 90, comma 2°, ipotesi 2^, e 63 della Costituzione, istanza di messa in stato d’accusa del Presidente della Repubblica, istanza che ora è giacente agli atti, in attesa di decisione. Un sollecito esame di essa s’impone, sia per l’importanza e la delicatezza della questione, sia perché, come credo di aver dimostrato con esauriente motivazione in fatto e in diritto, sono convinto della sua fondatezza.
L’istanza è basata sul da me ritenuto attentato, da parte del Presidente della Repubblica, alla Costituzione, e sulla simultanea violazione del giuramento solennemente prestato avanti alle Camere riunite nell’assumere le funzioni, per l’inosservanza dell’art.49, il quale testualmente recita: ”Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale.” Il Presidente, infatti, con atti omissivi continuati, non si è attivato per l’abrogazione di una norma, la XII disposizione transitoria della costituzione, che, pur avendo, per sua natura, una vigenza limitata nel tempo,(V.istanza 4 aprile), è in vigore da oltre sessant’anni, e cioè dal I° genn.1948, data di entrata in vigore della costituzione, ed è ostativa alla riorganizzazione del Partito Fascista. Ciò costituisce grave pregiudizio, per vari motivi, per i cittadini di fede fascista che, da ultimo, non hanno potuto partecipare alle recenti elezioni del 13-14 aprile 2008, oltre che a numerose altre competizioni degli anni passati, per l’inerzia del Parlamento e dei Capi dello Stato del tempo, che non hanno operato per far cessare l’inerzia delle Camere.
Più volte, ma inutilmente, ho fatto istanza al Presidente della Repubblica di spiegare il suo impegno e le sue iniziative perché il Parlamento si attivasse per l’abrogazione della citata disposizione transitoria, gravemente e palesemente liberticida. Si producono, a prova, i seguenti documenti.
1-Istanza di messa in stato d’accusa 4-5 aprile 2008, a mezzo di raccomandata a.r.
2-Lettera di accompagnamento 25.5.2007 dell’omaggio al Capo dello Stato delle “Linee programmatiche del costituendo Partito Fascista Repubblicano” scritte da Salvatore Macca.
3-Lettera 23 ottobre 2007 di S.Macca al Presidente dal titolo: ”Il giuramento del Capo dello Stato dinanzi al Parlamento in seduta comune” (art.91 Costituzione).
4–Come ha reagito il Capo dello Stato all’invio delle “Linee” (articolo 2.1.08 a vari giornali)
5-Lettera aperta di S.Macca al Presidente della Repubblica dal titolo :”E’ in corso un attentato alla costituzione?” (Raccom. 13-16 febbraio 2008)
6- Una copia delle “Linee programmatiche”.
7-Il Presidente Napolitano e la festività del 25 aprile
8-Le due giustizie
Gli ultimi due documenti, il n.7 e il n.8, non sono direttamente connessi all’istanza di messa in stato d’accusa, non potendo, il loro contenuto, essere oggetto di addebito. Tuttavia riguardano due temi che, per presunzione grave, precisa e concordante, dimostrano che il Presidente non è un interprete fedele e sensibile dei sentimenti e degli stati d’animo della maggioranza degli Italiani. Infatti, anche se la Costituzione non sancisce, per il Capo dello Stato, un obbligo del genere, lo stesso non può ignorare gli umori dominanti del suo popolo. Per andare al concreto, la maggioranza degli Italiani non considera, e non può considerare, il 25 aprile come una data festiva, come ufficialmente imposto dal regime (maggioranza e opposizione) antifascista perenne al potere, ma luttuosa, coincidendo con la disfatta, meglio dire la debellatio, della Patria. Di tutta la Patria, nel suo insieme, senza distinzione tra fascisti e antifascisti, come risulta, senza possibilità di dubbi, dato che “in claris non fit interpretatio”, dal “diktat” di Parigi del 10 febbraio 1947. Né si può ignorare il genocidio di alcune centinaia di migliaia di Italiani fascisti (o anche solo “presunti tali”, come stabilito dal criminale agente comunista sovietico in Italia Palmiro Togliatti ), uomini e donne, militari e civili, ad opera della c.d. “esarchia” partigiana, formata dai partiti comunista, socialista, sardo d’azione, repubblicano, della democrazia cristiana (!!) e liberale, che resse e autorizzò, o non impedì con la dovuta determinazione, i tragici eventi di quegli orribili tempi, inondando di sangue innocente la nostra Terra. Ci vuole un bel coraggio e una sorprendente disinvoltura, a pretendere che gli Italiani considerino festiva una simile ricorrenza!
Quanto al documento n.8, sono certo che la maggioranza del popolo italiano, tolti alcuni fanatici forcaioli, che non fanno né testo né storia, non ritiene ammissibile che, dopo 63 anni dalla fine della guerra, la giustizia del regime antifascista perenne, amministrata però in nome di esso popolo, tenga in carcere, meglio sarebbe dire in stato di sequestro, due vecchi soldati per fatti risalenti al tempo in cui erano militari in tempo di guerra e quindi obbligati ad eseguire gli ordini ad essi impartiti dai superiori.
E allora? Quale la conclusione? La seguente. Tenuto conto del fatto che “il Presidente della repubblica è il capo dello Stato e rappresenta l’unità nazionale”, (art. 87, comma I° cost.), e che la sua sensibilità sembra ben lontana da quella media del nostro popolo, si deve affermare che il contenuto dei due citati documenti, anche se non attinente alla istanza di messa in stato d’accusa, offre utili elementi integrativi del giudizio instaurando. Non senza rilevare che l’attuale Capo dello Stato, (come peraltro tutti i suoi predecessori), lungi dal rappresentare l’unità nazionale, rappresenta, invece, la separazione (o la frattura, la discordia nazionale), distinguendo faziosamente i vincitori dai vinti, i presunti “buoni” dai presunti “cattivi”.
Con distinta osservanza.
Salvatore Macca
Via Solone Reccagni,3, 25121 Brescia

COME I TIRANNI
Offro a chi legge, copia della memoria 18 giugno 2009, qui di seguito pubblicata, a sostegno della procedura di messa in stato d’accusa del Presidente della Repubblica On. Giorgio Napolitano , da me avviata con ricorso 4 aprile-19 maggio 2009, e ora pendente avanti al Comitato Parlamentare per procedimenti d’accusa, formato dai componenti delle Giunte del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati competenti per le autorizzazioni a procedere.
Nella memoria 18 giugno, a un certo punto scrivo dell’episodio avvenuto uno o due giorni prima, nel corso di una cerimonia pubblica con sfilata. Dal palco delle autorità, una Signora, da me ritenuta erroneamente l’On. Brambilla, che pare fosse, invece, la Signora Marsegaglia, subì in TV, nella cronaca della sera, aspre rampogne per aver salutato, nel corso della sfilata, col saluto fascista, che tale però non era, come vedremo.
C’è stato chi ha cercato consensi alla propria incoercibile indignazione, ritenuta sacra, invocando l’autorevole avallo della Corte di Cassazione, che ha confermato la condanna dei giudici di merito di un tapino che si era sognato, follemente, di adottare il saluto romano. Ma lo stesso ha preso una grossa bufala, perché ha ravvisato, nella conferma della condanna, errando grossolanamente, non un fatto puramente giudiziario, ma una condivisione ideologica del divieto.
Infatti, in una delle norme repressive che il Capo dello Stato non si attiva per l’abrogazione, c’è anche quella del saluto romano, che dal fazioso e mediocre legislatore di quegli anni bui, fu considerato pericolosa manifestazione di risorgente fascismo, e dunque, fino alla sua abrogazione, il saluto romano costituirà reato, e chi ha invocato la Cassazione, ha scoperto l’acqua calda, dovendo essa tutelare l’esatta interpretazione delle norme vigenti. Sarebbe lo stesso se qualche legislatore, folle e privo del senso della misura, che da noi non sono mai mancati, specialmente in questi anni, disponesse che, mettiamo, aprire le finestre dalle 7 alle 8 del mattino costituisca reato. E se la violazione accadesse, la Cassazione, investita del problema, dovrebbe confermare la condanna in ipotesi inflitta dal giudice di merito. Chiaro? Sono certe norme che non dovrebbero mai essere promulgate, e tanto meno tenute in vita. Ma si sa che la paura dei deboli e dei pavidi, e di coloro che hanno la coda di paglia, non solo fa novanta, ma fa pure brutti scherzi.
Ed ecco ora, qui di seguito, la memoria 18 giugno 2009, aggiunta all’istanza di messa in stato d’accusa del Presidente della Repubblica, trasmessa il 4 aprile 2008, riconfermata e sollecitata il 19 maggio successivo, dopo la rinnovazione del Parlamento per effetto delle elezioni.
***************
Signor Presidente!
Nell’esprimere il desiderio e la speranza che l’istanza proposta dallo scrivente non resti troppo a dormire un lungo sonno, e trovi al più presto accoglimento per le ragioni in essa esposte, desidero illustrare ulteriormente le stesse.
Osservavo, nell’istanza, che le disposizioni transitorie delle leggi, nel nostro sistema giuridico, devono avere una vigenza limitata nel tempo, avendo la semplice funzione di coordinare certe materie, che la precedente normativa governava, con la nuova, destinata a regolare in futuro la mutata situazione.
E dunque, nel caso di specie, la XII disposizione transitoria della Costituzione italiana, che vietava e ancora vieta, la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista, avrebbe dovuto avere una durata massima di due-tre anni, poco più poco meno. Invece, entrata in vigore il I° gennaio 1948, dopo oltre sessantuno anni non è stata ancora abrogata! La cosa non è casuale. Infatti moltissimi cittadini, compreso chi scrive questa memoria, l’hanno prospettata a numerosi politici e, sempre, anche al Capo dello Stato, ed è tenuta in vita in perfetta malafede. Senza affermare esplicitamente che non si vuole, nella scena politica italiana, un partito fascista, l’antifascismo perenne si comporta in modo tale da renderne impossibile la costituzione, con l’ostruzionismo e lo spauracchio di leggi discriminatici e repressive. In passato, ai bei tempi, si usava la violenza e la prepotenza, e anche peggio, ora la subdola ipocrisia.
C’è chi afferma che investire del problema e della responsabilità il Capo dello Stato, come ha fatto l’istante, sarebbe improprio e fuori luogo, non essendo compito suo quello di abrogare le leggi. Ciò lo sappiamo benissimo, ma sappiamo pure che l’ultimo approdo, quando tutti i poteri, compresa la c.d. Corte europea per la salvaguardia (??) dei diritti dell’uomo, più propriamente competenti, sono sempre rimasti indifferenti e sordi a tutte le legittime istanze di un cittadino che chiedeva democraticamente di esercitare il diritto di costituire un partito che ne rappresentasse le idee e ne soddisfacesse le legittime aspettative, fosse il Capo dello Stato, quale rappresentante dell’unità nazionale (art. 87, comma I°, cost.). Ma l’unità nazionale è incompatibile con la discriminazione nazionale, mantenuta in vita in perfetta mala fede, sia con la XII dispos. trans., sia con tutte le altre norme repressive create dal regime antifascista perenne, come la famigerata legge Scelba e altre simili. E dunque, non è vero che l’attuale presidente rappresenti l’unità nazionale, come sancito dal citato articolo 87, dato che si astiene dal fare rimuovere, pur avendone la possibilità, ciò che sia in contrasto con la citata Unità. Atteggiamento omissivo, questo, che già realizza un attentato alla Costituzione, perché con esso si discrimina una parte cospicua di cittadini italiani, impedendo ad essi, come vedremo fra poco, di esprimere liberamente il proprio pensiero nonché di esercitare il diritto di associarsi in partito.
Infatti, l’art. 3, co. I°, dispone che “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge (anche la Costituzione è una legge) senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche ecc….” E dunque, sono tutti, i cittadini, e dunque sono anche quelli di fede fascista, che dovrebbero godere delle citate prerogative! Ma come è dunque ammissibile che non si sia ancora reso conto, il Capo dello Stato, che, accettando, tollerando, che restino ancora in vigore la XII dispos. trans. della costituzione, e le altre leggi repressive e discriminatrici, sta continuando a violare clamorosamente il citato articolo 3 ? Violazione che inevitabilmente si traduce nell’abiura, nel rinnegamento, del giuramento prestato avanti al Parlamento in seduta comune nell’assumere l’altissima carica, di “osservanza della Costituzione” (art.91). Ma, così essendo, il comportamento del Capo dello Stato pone in essere un attentato alla Costituzione (art.90, comma I°, ipotesi 2^), e dunque, a norma del comma 2°, deve essere “messo in stato d’accusa dal Parlamento in seduta comune”.
Dispone poi l’art. 18, al comma I°, che “I cittadini hanno diritto di associarsi liberamente, senza autorizzazione, per fini che non sono vietati ai singoli dalla legge penale.” E’ chiaro che i cittadini sono tutti i cittadini, compresi quelli di fede fascista, altrimenti il costituente avrebbe sancito: “i cittadini, tranne quelli di fede fascista. …, ecc.”
Ma poiché il Presidente Napolitano non ha mosso un solo dito per fare abrogare la XII d.t., nonché tutte le altre scandalose norme repressive e discriminatrici, che offendono la costituzione, con la quale sono in clamoroso e stridente contrasto, col suo atteggiamento omissivo viola la medesima e continua nell’abiura del giuramento, deve essere messo in stato d’accusa.
L’art. 21 , comma I°, della costituzione, è emblematico. Esso recita che “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.” Tutti. E dunque anche i cittadini di fede fascista. Ma chi, come il Presidente On. Napolitano, abbia prestato il giuramento di osservanza della costituzione (art. 91), e viola l’art. 21, abiura il giuramento e attenta alla Costituzione e deve quindi essere messo in stato d’accusa.
L’art. 49, infine, è ancora più esplicito, e mi piace riportarlo integralmente: “Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale.”
In conclusione, essendosi, l’On. Napolitano, reso responsabile d’inosservanza della costituzione, con ciò abiurando il giuramento di osservanza, deve essere sanzionato con la messa “in stato d’accusa del Parlamento in seduta comune” (art.90, comma 2°, costituzione).

E dunque l’On. Napolitano, come abbiamo visto, da anni, cioè da quando assunse la carica, non sta osservando la costituzione. Perché? Forse perché confida, magari, secondo me sbagliando, nella solidarietà omertosa dei parlamentari votanti nel processo d’accusa? Questa è una ipotesi, ma è una certezza quando si afferma che agisce così perché sospinto dalla molla potente dell’odio eterno, insanabile, irrazionale, ma soprattutto ingiustificato, verso i fascisti e il Fascismo, sicuramente migliore del comunismo, del quale egli è fervente e devoto apologeta, e delle dittature comuniste, responsabili di innumerevoli delitti con milioni di morti, e causa di infinito dolore in tutte le parti del mondo. E come attua, il Presidente, l’inosservanza? Non esplicitamente e apertamente, ma con la resistenza passiva, con la tattica mediocre e poco coraggiosa adottata in danno di tanti e tanti cittadini italiani che ingenuamente confidavano in lui, nella sua equanimità di Presidente di tutti gli Italiani, nella sua superiorità morale, ritenuta ma inesistente, che si sperava andasse oltre la sua personale passione politica di parte.
Peraltro, il suo continuo richiamo alla democrazia, è tipico di chi la predica ma non la pratica .
Il risultato del mantenimento di antiquate e stolte leggi repressive può essere anche comico e grottesco, come si è visto ieri 17 giugno in TV, quando l’on. Signora Brambilla (credo), è stata accusata di ricostruzione del partito fascista, in forza delle ancora vigenti leggi repressive che vietano il saluto romano, perché dal palco delle autorità, in una pubblica cerimonia con sfilata, l’incauta meschinella teneva il braccio teso, subito scambiato, dagli zelanti cretini, per un saluto fascista. Essa è stata costretta a giustificarsi, per lo scalpore da cui era stata subito investita, spiegando che non si era trattato del saluto fascista, essendo lei, oltre a tutto, antifascista, facendo capire che la perduranza del braccio teso era diretta a mantenere, con un unico gesto continuo, il saluto a tutti i partecipanti alla sfilata. Per scongiurare l’ira funesta dei citati zelanti, sarebbe bastato che agitasse un poco la manina, muovendola con un tocco confidenziale all’americana. Cosa, però, del tutto disdicevole e inammissibile, da parte di una ministra in carica, dal palco, nel corso di una pubblica cerimonia. Come si vede, al danno delle leggi repressive, si aggiunge ora anche il ridicolo, che sommerge non solo gli ometti che ostinatamente le tengono ancora in vita, ma la stessa immagine della nostra Nazione.
Ed ora un solo, ma eloquente e rattristante, rilievo finale. Nessuno dei parlamentari in carica, del vecchio e del nuovo Parlamento, da me posti in grado di conoscere questa iniziativa, ha chiesto, e potevano farlo, di far proprie le mie istanze di abrogazione di tutte le norme repressive e discriminatrici, perdendo così un’occasione unica di dimostrare di essere dei democratici veri e non a parole, ed evitando anche, in tal modo, al loro Presidente, l’onta inevitabile della pendenza di questa procedura.
P.Q.M.
il ricorrente, nel confermare in ogni sua parte l’istanza 4 aprile-19 maggio 2008, insiste nel chiedere la messa in stato d’accusa del Presidente della Repubblica in carica, On. Giorgio Napolitano, per inosservanza della Costituzione.
Brescia, 18 giugno 2009
Salvatore Macca

Allegato: copia delle “Linee programmatiche del costituendo Partito Fascista Repubblicano”.

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