CLANDESTINI

Il dramma dei disperati che avrebbero vagato per giorni nel Canale di Sicilia senza ricevere assistenza ha riportato l’attenzione su questi drammi umanitari per i quali era sceso il silenzio perché – nell’assoluto disinteresse dei “media” – pochi avevano sottolineato che dopo le “cattive” leggi contro l’immigrazione clandestina e colpendo alla radice il fenomeno dei moderni mercanti di carne umana il problema degli sbarchi sulle isole e coste siciliane si era improvvisamente sgonfiato. Eppure i numeri parlano chiaro: negli ultimi tre mesi siamo passati da oltre 10.000 sbarchi a Lampedusa e dintorni nel 2008 a poco più di mille quest’anno, con un calo di oltre il 90%. Anche nel caso spaventoso di questi cinque poveracci a bordo di un gommone perché – a livello europeo – non si fa finalmente chiarezza su obblighi e responsabilità dando un metodo di comportamento in mare che valga per tutti? Giustamente la Chiesa si appella al senso di solidarietà, ma perché prendersela con il Governo italiano e non con chi – vedi Malta – non osserva il diritto internazionale che l’Italia comunque garantisce ed assicura? Perché semmai occorrerebbe intervenire in Libia nel controllo dei campi-profughi aiutando chi è rinchiuso, ma non insistere a dire che la legge non funziona, quando invece ha raggiunto il suo scopo ovvero scoraggiare questi assurdi viaggi della speranza che sono un indegno sfruttamento della povertà e della miseria. E’ stato duro dover discutere con Gheddafi che appena può alza il prezzo della sua collaborazione, ma il sistema dimostra (per ora) di funzionare e funzionerebbe meglio se l’Occidente con Gheddafi avesse un atteggiamento comune e pragmatico, senza permettergli quelle sue odiose smargiassate fatte da chi sa di avere il bastone dalla parte del manico. Ecco allora che forse, prima di rilasciare il terrorista responsabile dell’attentato all’aereo della PAN-AM, bisognava per esempio concordare ed accertarsi che in patria almeno non passasse per eroe visto che era e resta un assassino. Tornando all’immigrazione clandestina la legge funziona in termini di maggior rigore, necessario davanti all’emergenza, così come la più lunga detenzione nei centri di accoglienza fa scoprire la nazionalità di chi non vuole comunicarla perché sa benissimo di aver commesso un reato. Certo c’è il problema dell’affollamento carcerario, ma se continuiamo sulla strada dei rapporti bilaterali con l’arrivo preordinato di contingenti di immigrati controllati e concordati e il rimpatrio dei clandestini (oltrechè dei detenuti stranieri) le cose si avvieranno sulla strada giusta. Tornare a casa a scontare la pena è infatti un grande deterrente a non delinquere in Italia e le esperienze con alcuni paesi danno frutto e vanno potenziate. Non manchi poi mai la solidarietà umana per chi ha bisogno, ma se finalmente i barconi non partono e/o chi li guida va finalmente in galera (e ci resta) alla fine sarà meglio per tutti, anche per tanti disperati inutilmente mandati allo sbaraglio.

ERITREA

In questi ultimi anni moltissimi eritrei hanno lasciato il loro paese e, attraversato mezzo continente africano, hanno disperatamente cercato – quasi sempre clandestinamente – di entrare in Italia. Pochi hanno un’idea di cosa stia succedendo in questo paese, già colonia italiana dal 1879 all’ultima guerra. Se l’Italia se ne occupasse un po’ di più denunciando a chiare lettere la realtà terribile della dittatura “socialista” del “presidente” Isaias Afewerki non solo renderebbe giustizia a decine di migliaia di rifugiati e a migliaia di ammazzati, ma tutti comprenderebbero che serve a poco cercare di fermare la gente sui gommoni se i paesi occidentali non hanno il coraggio di intervenire con fermezza in una situazione drammatica, dove i diritti umani sono un “optional” e dove non si contano gli episodi di violenza e repressione in un paese in mano ad una dittatura sanguinaria. Ripristiniamo la libertà in Eritrea e nessuno dovrà più scappare! Lo dobbiamo a quella nazione: nel 1939 a L’Asmara erano censiti 53.000 italiani su 98.000 abitanti, oggi sono quasi tutti scappati, eppure ancora oggi questa è una città “italiana” dove (almeno gli anziani) parlano la nostra lingua e l’architettura, le case, la disposizione delle piazze richiama le cittadine italiane di mezzo secolo fa. Ma il presidente Isaias nel frattempo – pur governando un paese ridotto ad essere tra i più poveri del mondo – è riuscito a litigare e far la guerra con tutti i vicini: Sudan, Etiopia, perfino con Gibuti e in Eritrea regna con il terrore. Un regime che insegue anche gli emigrati che sono fuggiti dal paese e sarebbe interessante che la Farnesina verificasse quanto si deve pagare – più o meno ufficialmente – un visto presso le autorità eritree in Italia… Anche l’ambasciatore d’Italia tempo fa è stato espulso perché aveva “osato” protestare per atteggiamenti contrari ad ogni forma di diritto internazionale. Eppure l’Eritrea è membro dell’ONU, ma non risultano iniziative in materia di richiamo al rispetto di diritti umani né tanto meno adeguate sanzioni. Eppure l’Italia dovrebbe avere più affetto verso questo paese, più attenzione. non fosse perché decine di migliaia di eritrei in anni passati hanno combattuto, lottato, vissuto con gli italiani che avevano portato il paese non solo ad una certa floridezza economica, ma soprattutto realizzato opere pubbliche imponenti e creato un rapporto non da dominatori ma di aperta collaborazione che infatti è proseguita per decenni anche dopo l’indipendenza e perfino la guerra con l’Etiopia negli anni ‘80. Ho conosciuto alcuni ascari che ancora pochi anni fa vivevano grazie ad una magra pensione di guerra e che amaramente ripetevano (in italiano!) “ Ci avete abbandonati…” Ma al mondo ci sono tiranni che godono del benevolo silenzio dei media e l’Eritrea ne è un esempio: perfino su Wikipedia, illustrando il paese, non si fa neppure parola di quello che da anni laggiù sta purtroppo avvenendo.

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