X E N O F O B I A D I R I T O R N O

Pur vivendo a Zurigo in Svizzera fin dagli anni Settanta, sono frequentemente in Italia per motivi professionali e soprattutto in Lucchesia dove ho vissuto sino a all’età di venticinque anni e dove tuttora ho casa, parenti ed amici. Nelle vacanze estive mi trovavo proprio in Lucchesia ed ho seguito attraverso i media le polemiche sollevate dalle giornaliere dichiarazioni antistranieri della Lega Nord e dei suoi ministri. Ed ho anche avuto modo di leggere nel quotidiano IL TIRRENO la lettera aperta del Presidente della Regione, Claudio Martini, indirizzata al Ministro degli Interni, Roberto Maroni a riguardo dei “bambini figli di nessuno” (cioè di donne senza permesso di soggiorno) e sulla questione dell’importanza di facilitare al massimo l’integrazione in Italia degli stranieri, che comunque vi risiedono da anni, e soprattutto, di evitare l’individuazione degli irregolari attraverso la trappola dell’assistenza sanitaria. Quest’ultime polemiche mi portano a fare una riflessione più generale sulla questione immigrazione in Italia che, ormai, ogni giorno, per un motivo o per l’altro, è argomento di dibattito e di forti polemiche.

Innanzitutto, come tanti altri emigrati della mia generazione, posso testimoniare per esperienza personale vissuta quando da studente raggiungevo in Svizzera i miei genitori per trascorrervi le vacanze scolastiche ed infine nei primi tempi, quando mi ci stabilii definitivamente nel 1970, ma anche per quanto mi raccontavano i miei genitori, che la vita degli emigrati italiani in Svizzera in quegli anni non era certamente facile. Nella Confederazione Elvetica esisteva una vera e propria carriera degli emigrati: si iniziava, spesso, con un lavoro in nero da clandestini che per i più fortunati poteva proseguire con un permesso da stagionale (Permesso A) che ai coniugati non consentiva di far venire in Svizzera la moglie e gli eventuali figli, per cui tanti di loro li tenevano nascosti in casa tutto il giorno, oppure rinchiusi in camera o in soffitta in occasione di qualche visita in famiglia; dopo 45 mesi di stagionale in cinque anni, si poteva conquistare un permesso annuale (B), ma anche questo per i primi tempi non consentiva ancora il ricongiungimento familiare; infine dopo dieci anni di lavoro e di residenza si poteva ottenere il permesso di domicilio (C) che liberava l’emigrato da ogni vincolo permettendogli anche una eventuale attività autonoma e l’acquisto di un alloggio.
Gli italiani erano considerati maleducati, sporchi, litigiosi, dal coltello facile, approfittatori di minorenni, mandrilli che quando si accorgevano di avere messo incinta una donna se ne scappavano in Italia senza far fronte ai loro obblighi morali e legali. Gli italiani, scapoli o ammogliati, avevano grosse difficoltà a trovare da affittare un alloggio e non sempre erano graditi clienti nei locali pubblici. Per i figli anche se intelligenti, spesso, la sola scarsa conoscenza della lingua del posto o la loro vivacità significava finire nelle così dette “classi speciali” insieme a bambini con problemi psicofisici. Erano anni in cui nella Confederazione si ripetevano con frequenza delle iniziative referendarie antistranieri che venivano magari respinte dall’elettorato, sia pure di misura, ma che condizionavano comunque il legislatore elvetico nel momento in cui doveva legiferare su materie che riguardavano l’immigrazione, quando “immigrato” in Svizzera era sinonimo di italiano e viceversa!

Tutte situazioni, in profumo di xenofobia, che oggi in parte si vivono purtroppo in Italia. Praticamente un deja vu ma dove gli italiani non sono più le vittime bensì gli xenofobi di turno. Il problema per noi italiani che viviamo all’estero è che questi comportamenti, sia di singole persone che dell’attuale governo nei confronti degli stranieri in Italia, in particolare degli extracomunitari, pubblicizzati dai media italiani e da quelli dei paesi in cui noi emigrati viviamo, rischia di far risorgere un nuovo clima antistraniero anche nei confronti di noi che viviamo all’estero in un periodo di crisi economica e occupazionale come quello che stiamo vivendo da un po’ di tempo che, indubbiamente, facilita rigurgiti xenofobi tra gli autoctoni.
Sarebbe pertanto auspicabile che in Italia, sia a livello di singole persone che di istituzioni, non ci si dimenticasse mai la storia della nostra emigrazione che è anche attualità e non solo passato. Infatti nel mondo vi sono tuttora oltre quattro milioni di emigrati e cittadini italiani di cui oltre 500'000 nella sola Svizzera.

Dino Nardi
Coordinatore Europeo UIM e membro CGIE

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