Sono diversi i punti della legge, approvata in piena estate dalla Regione Calabria e che rende obbligatorio il ricorso alle primarie per l’elezione del Presidente della Giunta Regionale, su cui si posso sollevare dubbi. Ne citeremo alcuni.
Il primo riguarda le operazioni elettorali. Si prevede infatti che ciascun elettore esprima il proprio voto scegliendo la scheda della lista, o della coalizione di liste, per cui intende votare. Così al seggio, al momento della scelta, le intenzioni di voto dell’elettore diventano note. Fatto, questo, che viola uno dei cardini della democrazia rendendo la legge incostituzionale: la segretezza del voto.
Se si pensa al consenso diffuso che ha ottenuto questa legge in Consiglio Regionale, c’è di che preoccuparsi politicamente. Non si tratta quindi di un errore del legislatore, ma di una scelta consapevole che testimonia quanto paura fermenti nella casta politica trasversalmente aggrappata al potere. Le recenti elezioni europee hanno infatti evidenziato come in Calabria sia diffuso un voto di opinione libero, di cui la casta che governa da anni la Regione, da sinistra a destra, ha così paura da arrivare all’approvazione di una legge come questa.
Che le succederebbe se il voto libero di opinione diventasse la regola e non l’eccezione, in una Regione in cui il controllo del voto da parte della criminalità organizzata e del sistema castale affaristico della politica è molto forte? Non si deve dimenticare che il voto di scambio – in cui si annida talvolta anche il mercimonio delle funzioni pubbliche – è una pratica diffusa in tutta la politica calabrese.
Non meraviglia nemmeno che il legislatore regionale non si sia reso conto che, in tal modo, diviene ancor più forte il controllo elettorale da parte della criminalità mafiosa: il contrasto alle mafie non è mai stata una priorità di questa consiliatura regionale.
Altro punto della legge eticamente riprovevole, soprattutto in una Regione che si contraddistingue per lo sperpero del denaro pubblico, è quello che prevede che il costo di queste primarie ed il rimborso delle spese (tutt’altro che irrilevanti) sia a carico dei calabresi. Così al danno si aggiunge la beffa: una legge che consolida la capacità di inquinamento democratico da parte della ‘ndrangheta e difende il sistema affaristico di potere viene pagata dai contribuenti calabresi.
Altro aspetto, moralmente inaccettabile e giuridicamente incostituzionale, è la dicotomia tra la relazione introduttiva alla legge e la legge stessa. Si parte da una premessa anche condivisibile -cioè che le primarie possono essere uno strumento per avvicinare le persone alla politica-, che viene però negata quando si rende obbligatoria una partecipazione nelle modalità sopradescritte. E lo si fa, per altro, per mezzo di una legge regionale.
Il tasso di democraticità di un Paese, e di una Regione, si misura anche dalla sua legge elettorale. In Calabria abbiamo una piccola “legge truffa”, non troppo distante nelle finalità da quella del ’53 firmata da Scelba. I cittadini sono ingannati facendo creder loro che è stato approvato uno strumento di democrazia, si svuota la Costituzione con una legge ordinaria (modalità tipiche del periodo di decadenza imperiale del berlusconismo), si mortificano le primarie (che non sono tali), si rafforza il peso della mafia e del suo legame con la politica, si consolida il controllo del territorio da parte della casta incollata alle poltrone e accecata dai suoi interessi affaristici. Tutto questo quando in Calabria comincia a soffiare il vento del cambiamento che vede protagonista la società civile, a cui l’Italia dei Valori non farà mai mancare il suo apporto. Anche per le suddette ragioni, dunque, l’Italia dei Valori non potrà sostenere alle prossime elezioni regionali la candidatura a Presidente della Regione di coloro che hanno sostenuto, sostengono o sosterranno questa legge truffa.