Mario Lettieri, sottosegretario all’Economia nel governo Prodi
Paolo Raimondi, economista
Alcuni governi europei e anche gli uffici nazionali di statistica sono sorpresi dell’ottimismo di ferragosto espresso dalla Banca Centrale Europea sull’andamento della crisi. Naturalmente tutti incassano soddisfatti una pagella provvisoria che ha sempre un certo valore d’immagine.
La BCE dice che la crisi è a una svolta, anche se il PIL 2009 sarà sotto del 4,5%. Prevede che dovrebbe tornare a essere minimamente positivo nel 2010. La magia dei numeri! Però la disoccupazione aumenterà quest’anno e continuerà ad aumentare anche l’anno prossimo.
Si sostiene che la politica degli stimoli ha funzionato, ma spesso si confonde il consumo con l’economia con il rischio di prendere un abbaglio.
Contemporaneamente altri istituti internazionali e centri studi economici stanno dando una valutazione differente.
Al riguardo, per evitare una scontata polemica che minerebbe immediatamente qualsiasi serio tentativo di capire il momento economico che stiamo vivendo, prendiamo in esame la situazione della Germania, che è notoriamente la principale locomotiva tecnologica ed economica dell’Europa.
Tra i cosiddetti fondamentali vi è un dato, che non è adeguatamente apprezzato dagli analisti troppo concentrati a riportare statistiche che guardano al passato, quello cioè degli ordini industriali e delle commesse. Esso ci dice, anche se grossolanamente, ciò che l’industria e il lavoro produrranno nei prossimi mesi.
Il rapporto dell’OCSE di inizio agosto sottolinea che, nonostante vi sia stato un leggero miglioramento nei mesi di maggio e giugno, la Germania conta il 25,3% di commesse industriali meno dell’anno precedente. In altre parole ha perso un quarto delle commesse.
A fine maggio l’export tedesco di merci, beni e macchinari, era di 86 miliardi di dollari, quasi tre volte quello italiano, ma ben inferiore ai 125 miliardi dell’agosto 2008, mentre la bilancia commerciale alla fine del primo trimestre 2009 era positiva con 31,87 miliardi di euro, ma di gran lunga sotto i 74,22 miliardi dell’anno precedente.
L’economia della Germania è tecnologicamente la più avanzata ed è quindi la più sensibile ai processi dell’economia reale internazionale, anche perché essa è per il 40% orientata all’export, a cominciare da quello verso il continente europeo.
Come in Italia, la piccola e media industria tedesca, la Mittelstand, rappresenta la struttura portante e il sistema nervoso dell’intera economia e nei mesi passati ha fortemente lamentato un’estrema difficoltà ad accedere al credito. Anche la Bce ha riportato che le concessioni di credito da febbraio a maggio 2009 sono scese del 3,3% per l’intera zona euro e del 5% per la Germania. Secondo le stime della banca di stato KfW, la stretta potrebbe arrivare fino al 6 – 10% nel terzo trimestre.
Pur difendendosi da queste accuse, il presidente dell’Associazione Federale delle Banche Tedesche, Andreas Schmitz, giorni fa ha dovuto ammettere che “c’è il rischio di un stretta creditizia”. “Penso che abbiamo raggiunto il punto più basso della crisi finanziaria, ha aggiunto, ma è certo che nei prossimi 18 mesi ciascuna banca dovrà affrontare situazioni difficili quali fallimenti di clienti e crediti non performing, più di quanto non abbia fatto finora”.
Le banche tedesche sono state colpite duramente dalla crisi finanziaria in quanto anch’esse pesantemente coinvolte nel gioco dei derivati finanziari. La Bafin, una Consob ma con molti più poteri, stima che le banche tedesche oggi abbiano 800 miliardi di euro di titoli tossici nei loro bilanci.
Mentre la Bundesbank cerca di sottrarsi alle responsabilità della stretta creditizia, non mancano critiche aperte e dure al sistema bancario che ha incassato gli aiuti di stato ma nel contempo ha tirato il freno sui crediti all’economia reale.
Secondo il quotidiano economico Handelsblatt il governo tedesco sta lanciando una sfida a livello internazionale, in particolare alla City e al governo britannico, per i continui rallentamenti nella realizzazione della riforma dei mercati finanziari decisa al G-20 di Londra. Infatti il ministro delle finanze Peer Steinbrueck dice che “i governi sono sotto la pressione dei lobbysti della finanza”. Per quanto ci riguarda concordiamo con questa preoccupante analisi.