Quel buco nero dei derivati esteri

di Mario Lettieri e Paolo Raimondi

Serve una norma che imponga a regioni, comuni e province di mettere a bilancio i prodotti stranieri

Enti locali in preda a strumenti di cui nessuno sa il valore

In un articolo di qualche mese fa evidenziammo il problema dei derivati degli enti locali con particolare riferimento ai comuni di Milano, Roma e Napoli. Recentemente anche la commissione finanze del senato ha affrontato la questione in una specifica audizione della Banca d'Italia.
Daniele Franco, capo del servizio studi di struttura economica e finanziaria, nella sua relazione sulla diffusione degli strumenti di finanza derivata e delle cartolarizzazioni nelle pubbliche amministrazioni ha delineato un quadro preoccupante.
È emerso che gli enti locali (regioni, province e comuni) con un debito totale di quasi 107 miliardi di euro a fine 2008, registrano 24,5 miliardi in derivati finanziari. Questi sono quelli sottoscritti con banche operanti in Italia, cioè con le banche autorizzate nel nostro paese e le filiali italiane di banche estere. Non si conosce l'ammontare di quelli contrattati direttamente sui mercati esteri. La gran parte di questi derivati, che sono basati sull'andamento dei tassi di interesse e sul rischio sui crediti, sono Otc, cioè scambiati fuori dei mercati regolamentati e non sono registrati nei bilanci pubblici.
Del resto, in precedenza, nell'ambito della stessa audizione parlamentare, lo stesso Governatore Mario Draghi aveva detto che «l'esperienza della crisi ha confermato che i prodotti derivati, in generale strumenti innovativi per il trasferimento del rischio, sono armi a doppio taglio. Se usati in modo accorto e prudente permettono agli operatori di coprire e diversificare il rischio e possono contribuire a ridurre la fragilità del sistema; se adoperati senza adeguata considerazione dei rischi consentono una moltiplicazione senza controllo della leva finanziaria. Al tempo stesso la proliferazione di strumenti complessi ha reso la distribuzione del rischio più opaca per il mercato, per i regolatori, per gli stessi operatori».
A seguito di questa problematica situazione riteniamo che si debba essere molto più severi nella valutazione e più stringenti nelle regole, altrimenti sarebbe come parlare dell'utilizzo del fuoco nel mezzo di un incendio.
Il governo Prodi aveva emanato delle specifiche circolari in merito. Però non è sufficiente. Per cominciare, dovrebbe essere sancito l'obbligo di iscrivere in bilancio tutti i derivati stipulati. Infatti, questi pongono agli enti locali non pochi problemi. La loro complessità è tanto elevata da nascondere tutti i costi effettivi. Si registra un'opacità contabile per cui gli oneri futuri nel contratto di derivati non sono ben evidenziati nei conti degli enti. Molto spesso il ricorso ai derivati è giustificato dalla volontà di avere un'immediata provvista di liquidità.
Questo ultimo aspetto è forse quello più scottante in quanto molti derivati stipulati prevedevano il cosiddetto upfront, cioè un versamento fatto all'amministrazione locale dalla banca contraente. Per il periodo 2005-2008 la Banca d'Italia ne quantifica l'ammontare a 41,5 milioni di euro per 164 contratti. La logica del far cassa subito con i derivati può aver stimolato non solo alcuni amministratori furbi ma anche sollecitato appetiti criminosi. Da gennaio 2008 a maggio 2009 la Guardia di finanza ha attivato 24 indagini concernenti prodotti derivati sottoscritti da enti locali, di cui 16 riguardano ipotesi di truffa, appropriazione indebita e falso per un valore nozionale di 9,1 miliardi di euro, pari cioè al 37 % del totale, e 8 per eventuali responsabilità per danni erariali da parte di funzionari ed amministratori locali. Sarebbe quanto mai opportuno che le autorità competenti chiedessero l'immediata rendicontazione di tutte le operazioni in derivati finora effettuate, soprattutto per quelle fatte sui mercati esteri, compresa l'indicazione dell'upfront ottenuto. Sarebbe irresponsabile lasciare gli enti locali senza indicazioni e regole precise in balia della finanza speculativa o liberi di sperimentare operazioni finanziarie «esotiche» in cui possono essere solamente strumenti e vittime. Non si dimentichi che il federalismo trasferirà maggiori responsabilità finanziarie e fiscali alle Regioni e agli altri enti locali e ciò consentirà loro di finanziare gli investimenti con un maggior ricorso al debito che oggi è del 6,4% dell'intero debito pubblico, con il rischio non solo di pesare negativamente sul pareggio di bilancio ma anche di accentuare il ricorso ai derivati.

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