di Annalisa Giuseppetti
Non ci sono più le mezze stagioni (luogo comune). Il clima non è più quello di una volta! Ma come non affermare che, in effetti, non è un luogo comune, ma una semplice constatazione che ci deve far riflettere? La parola ‘clima’ deriva dal greco klìma e significa “inclinazione della Terra dall’Equatore ai Poli”. Le zone intorno all’Equatore ricevono la massima quantità di calore, l’inclinazione dei raggi solari è minima lungo tutto l’anno e quindi c’è la massima insolazione; verso i Poli, la quantità di calore ricevuta diminuisce sempre di più, perché i raggi del sole giungono con una inclinazione sempre maggiore. Questo fattore geografico determina di per sé, tra le varie regioni della Terra, sensibili differenze di temperatura e, di conseguenza, di pressione e di umidità. Vi sono altri fattori geografici che, a loro volta, influiscono sugli elementi climatici e quindi sul clima: l’altitudine; la distanza dal mare; la vegetazione; le correnti marine; l’esposizione al sole. Le complesse relazioni che si stabiliscono tra irraggiamento solare, atmosfera e idrosfera hanno conseguenze importanti per la distribuzione degli organismi viventi sulla Terra. Il clima, infatti, determina il tipo di vegetazione e quindi anche il tipo di fauna che da essa dipende. Anche l’attività umana è un fattore di modificazione del clima, a causa dell’immissione massiccia nell’atmosfera di sostanze inquinanti che ne alterano le caratteristiche. Le regioni della Terra che presentano climi abbastanza simili vengono raggruppate in grandi zone climatiche. Partendo dall’Equatore e andando verso i Poli, incontriamo la zona tropicale o torrida, compresa tra i due Tropici. Tra i tropici e i Circoli polari vi è la zona temperata, settentrionale e meridionale. In queste zone, il clima, è maggiormente favorevole all’insediamento umano. La zona compresa tra i Circoli polari e i Poli è la zona polare, artica ed antartica. Questi climi, comprendono a loro volta climi ancora più specifici, che riguardano particolari regioni. Per esempio, al clima temperato appartiene il clima oceanico che interessa la Gran Bretagna e il Nord della Francia e il clima mediterraneo, tipico dell’Italia meridionale. Le diverse combinazioni di temperatura e di umidità, oltre ai diversi climi determinano i tipi di organismi animali e vegetali che possono vivere in una certa zona. I valori delle temperature, precipitazioni, umidità, insolazione, densità dell’ozono stratosferico e troposferico, i movimenti delle masse d’aria atmosferiche e la frequenza di cicloni tropicali sono diversi da quelli del passato recente. Questi risultati sono frutto di imponenti investimenti in risorse umane e finanziarie profusi in programmi di ricerca da molti paesi e da organizzazioni internazionali. La conoscenza ormai profonda sulle vicende del passato ci permette di affermare che l’evoluzione del clima è continua e molto più rapida di quanto non si credesse. Testimonianze di rapidi cambiamenti climatici, ci arrivano anche dall’estremo oriente. Le variazioni climatiche più recenti, sono ben note in Europa e anche in Nord America, per merito dello studio sui cerchi di accrescimento dei tronchi secolari; sono grandi e ben segnati nei periodi di bel tempo, stretti e irregolari, sintomo di sviluppo stentato negli anni difficili, per freddo o per mancanza di umidità. All’inizio del secolo scorso i ghiacciai raggiunsero l’espansione massima degli ultimi 7 mila anni privando le popolazioni alpine dei pascoli più alti, sbarrando i valichi fino alla chiusura di vie storiche di comunicazione, interne alla catena alpina. Il 1816 fu il momento più critico perché il gelo e l’umidità vennero aggravati dall’esplosione di un vulcano in Indonesia. Si valuta un’eruzione di circa 150 chilometri cubi di ceneri. Sotto la spinta di venti in quota, le particelle leggere hanno reso torbida l’atmosfera su tutto il pianeta, intercettando anche la radiazione solare. Giugno, luglio e agosto portarono ovunque freddo, neve e ghiaccio: fu definito l’anno senza estate. L’intervento umano, negli ultimi decenni, ha causato l’aumento della concentrazione di anidride carbonica in atmosfera e del vapore acqueo, frutto della combustione di sostanze organiche fossili. Questo ha portato ad un progressivo riscaldamento della Terra. Il Sole, irradia la Terra che a sua volta riflette verso l’esterno la radiazione cambiata di lunghezza d’onda. Questa energia viene assorbita dai cosiddetti gas – serra e produce il ‘global warming’, cioè il riscaldamento globale. Il rapporto di causa effetto fra questi fenomeni è avvenuto altre volte nella storia geologica del pianeta. È molto difficile stabilire quanta parte ha l’azione dell’uomo con le oscillazioni naturali del clima. L’uomo è per sua natura un conservatore e vede con timore qualunque variazione dell’habitat nel quale vive, perché questi cambiamenti alterano gli equilibri che si è costruito. I mutamenti in atto sono già abbastanza vistosi. L’uomo modifica l’atmosfera e il clima. Nel processo di combustione di un chilogrammo di carbone si formano circa 3,5 chilogrammi di anidride carbonica. Anche gli altri combustibili fossili, cioè il petrolio, da cui si ricavano la benzina e la nafta, e il gas naturale formato soprattutto da metano, quando bruciano producono anidride carbonica, anche se in quantità un po’ inferiore; anche la legna secca, nella combustione libera anidride carbonica in una quantità che è all’incirca una volta e mezzo il suo peso; l’uomo stesso ne emette una certa quantità ogni volta che emette aria dai polmoni. L’anidride carbonica, non è una sostanza dannosa, anzi è indispensabile per le piante che la utilizzano nella fotosintesi. Il suo accumulo nell’atmosfera causa un riscaldamento della Terra con l’effetto serra. L’anidride carbonica è una sostanza nociva per l’ambiente perché può modificare il clima, ma non è nociva per la salute dell’uomo e degli altri esseri viventi. Nei processi di combustione, a seconda delle condizioni, si formano altri prodotti gassosi residui, che possono essere molto dannosi. Questi inquinanti atmosferici comprendono: il monossido di carbonio; l’anidride solforosa; gli ossidi di azoto; gli idrocarburi; le polveri sospese. Le polveri sospese sono particelle solide presenti nei fumi e nei gas di scarico o provenienti da lavorazioni industriali. Le principali fonti di inquinamento connesso a processi di combustione sono le centrali termoelettriche, seguite da mezzi di trasporto, dagli impianti industriali e da altre fonti come gli impianti di riscaldamento domestico, gli inceneritori di rifiuti e gli incendi appiccati alle foreste. Ci sono altre sostanze inquinanti che non provengono da processi di combustione come il metano e i clorofluorocarburi (CFC). I maggiori problemi ambientali causati dagli inquinanti atmosferici possono avere effetti locali come lo smog fotochimico, che interessa i centri urbani in quanto causato dal traffico veicolare, oppure possono interessare zone più estese come le piogge acide o riguardare l’intero pianeta come l’effetto serra o la riduzione dello strato di ozono, il cosiddetto ‘buco dell’ozono’. L’estrazione e l’utilizzo di grandi quantità di combustibili fossili ha determinato la reinmissione nell’atmosfera di una grande quantità di composti del carbonio, dello zolfo e dell’azoto e di polveri contenenti metalli pesanti, idrocarburi e altre molecole molto complesse che derivano dalla combustione incompleta. Queste sostanze in effetti sono già presenti nell’ambiente ma in quantità molto inferiori. Il problema deriva dal fatto che tutte queste molecole interagiscono determinando dei disturbi agli equilibri raggiunti dagli ecosistemi. L’acqua piovana si origina dall’evaporazione delle superfici acquatiche dei mari, dei laghi, dei fiumi e dalla traspirazione soprattutto dei vegetali. L’acqua piovana è senza sali, praticamente è come l’acqua distillata. In atmosfera però il vapore acqueo condensa a contatto con particelle solide che incontra sciogliendo i gas che sono contenuti nell’atmosfera. Inoltre si arricchisce di materiali vari come polveri e detriti del suolo sollevati dal vento, oppure gas che provengono dalle eruzioni vulcaniche, dagli incendi dei boschi, dalla decomposizione degli organismi viventi, dai cicli di alcuni elementi come il ciclo dell’azoto e dello zolfo e dai fenomeni di combustione. Un aumento di acidità della pioggia ha avuto inizio nella seconda metà del secolo scorso, cioè da quando è iniziato l’uso massiccio dei combustibili fossili. Per indicare questa variazione chimica delle piogge è stato coniato il termine di piogge acide, termine impiegato per la prima volta nel 1853 dal chimico inglese Smith, che per primo lo utilizzò per indicare le piogge che caddero in quegli anni sulla città di Manchester e dintorni provocando molti danni. Inoltre si possono citare i devastanti effetti sulle foreste e i danni agli ecosistemi d’acqua dolce sparsi in quasi tutto il pianeta. E il problema è alquanto difficile da contenere in quanto le piogge acide non cadono necessariamente nel luogo ove si formano ma anche a centinaia di chilometri di distanza perché le sostanze inquinanti possono essere trasportate a grandi distanze in atmosfera. Studi approfonditi, hanno provato che essi derivano in quantità significativa da sorgenti lontane. Quindi sono interessati Paesi che non sono gli stessi che producono le sostanze inquinanti, in quanto si tratta di molecole trasportate facilmente dai venti e dalle precipitazioni. Si parla infatti di inquinamento transfrontaliero. Le principali sostanze responsabili delle piogge acide sono alcuni prodotti di attività industriali e dai veicoli a motore. In particolare: l’anidride solforosa; gli ossidi di azoto che si sciolgono nell’acqua formando acido solforico e acido nitrico. Tutte queste sostanze vengono prodotte normalmente anche in natura, ma a concentrazioni piuttosto basse. Tuttavia sono le molte attività dell’uomo che ne hanno notevolmente aumentato la quantità. Il fenomeno delle piogge acide rappresenta anche in Italia un problema e un grosso rischio anche per il nostro patrimonio artistico, poiché provoca un deterioramento molto veloce dei monumenti. Né sono da sottovalutare gli effetti sulla vegetazione e sul suolo. Ad esempio si è osservato la modificazione delle dimensioni delle foglie o delle gemme, l’ingiallimento, l’accartocciamento delle foglie, la rarefazione della chioma, la diminuzione degli accrescimenti. Le piogge acide corrodono i manufatti di metallo e le costruzioni in marmo; inoltre sono dannose e pericolose per gli organismi viventi. Gli ambienti dove si hanno danni maggiori sono le foreste e gli ambienti lacustri (ambienti in cui molte specie e soprattutto i pesci muoiono a causa dell’aumento di acidità). Studi approfonditi effettuati dal Consiglio Nazionale delle Ricerche con sede a Verbania, hanno portato alla conclusione che le deposizioni acide sulle acque dei fiumi e dei grandi laghi subalpini non sono particolarmente preoccupanti grazie alle favorevoli caratteristiche geologiche del territorio. Il problema invece è più marcato per le acque dei piccoli laghi alpini d’alta quota, in quanto sono caratterizzati da bacini di raccolta di dimensioni modeste e si trovano in aree con rocce poco solubili, che non sono in grado di tamponare l’acidità delle precipitazioni. Concludendo: è auspicabile maggiore integrazione della ricerca italiana in questo settore con la ricerca internazionale, soprattutto a livello di monitoraggio della qualità dell’aria e delle precipitazioni. Contemporaneamente, è indispensabile ridurre le emissioni in atmosfera delle sostanze inquinanti.