di Pietro Ancona
Il Presidente della Repubblica fa sentire sempre più pesantemente la sua presenza nella politica italiana. In atto è occupato in una intensa trattativa per ottenere un testo “condiviso” della legge cosidetta delle intercettazioni. Ha ricevuto il Ministro e lo ha convinto a rinviare la presentazione del suo testo a settembre ed intanto esercita una intensa moral persuasion per arrivare ad un voto plebiscitario del Parlamento. La stessa moral persuasion non l'ha esercitata per la legge 733 b del 2 luglio scorso detta di “sicurezza” in cui molti passaggi richiamano le leggi razziali del fascismo e sulla quale la UE chiede chiarimenti. Sapeva che non poteva contrastare la volontà della Lega senza mettere in pericolo la stabilità del governo Berlusconi e si è limitato, dopo avere proclamato una delle più infami leggi della storia d'Italia, ad inviare una lettera piena di dubbi e di perplessità al governo che come sappiamo non cambierà niente. Mi sono chiesto perchè il Presidente è molto attivo sulla questione delle intercettazioni mentre non si è quasi mosso per la legge sulla sicurezza che introduce le ronde che possono diventare vere e proprie milizie private del governo ed il reato di clandestinità che peraltro scatta per le ragioni più diverse come per esempio il non avere la disponibilità di un alloggio e mi sono dato una risposta. A fronte della 733 c'è stata una opposizione parlamentare assai soft che ha votato favorevolmente molti passaggi cruciali della legge come quello relativo all'incrudelimento del 41 bis, Inoltre la legge riguarda una platea di gente povera, poverissima che va dai migranti ai clochard che saranno schedati dalle questure in segno del loro potenziale criminogeno. Viceversa, la legge per le intercettazioni coinvolge due importanti “categorie”: la magistratura e la stampa come editori e giornalisti. Mentre con i migranti si possono ignorare principi del diritto internazionale e gli stessi diritti umani la stessa cosa non si può fare con i magistrati e il mondo dell'informazione il cui peso è rilevante e non può essere ignorato. Insomma, nei due casi, l'operato del Presidente ha tenuto ben presente gli interessi del governo e gli equilibri delle forze in campo.
Non risulta che ci sia un richiamo di Napolitano a Berlusconi per il suo comportamento nel privato certamente poco decoroso per la carica di Presidente del Consiglio e che espone l'Italia al ludibrio della stampa estera. Ma il buon risultato dell'organizzazione del G8 è stato ipervalorizzato da lodi esplicite che, in qualche modo, segnalavano all'Italia la stima e la fiducia del Presidente al Capo del Governo. Io credo che a fronte di quanto si è saputo sui dopocena di Villa Certosa e di Palazzo Grazioli il Presidente avrebbe dovuto chiedere le dimissioni del Capo del Governo. Certo non sono stati commessi reati, ma ci sono delle regole che impongono ai funzionari dello Stato un comportamento ineccepibile anche nella vita privata. Non è forse il Capo del Governo un funzionario dello Stato dal quale riceve uno stipendio e domani una pensione?
Infine la cosa che per me è la più grave è costituita dai continui appelli del Capo dello Stato alla “coesione”.
Appelli che hanno una stringente valenza politica dal momento che la maggioranza di centro-destra è straripante e spesso esercita una sorta di dittatura democratica e l'opposizione è minoritaria e non può arrecare alcun danno alla maggioranza che spesso si sottrae al confronto con voti di fiducia diventati abituali.
L'appello alla coesione tra centro-destra e centro-sinistra non produce il bene del Paese che viceversa potrebbe aversi in una forte dialettica parlamentare capace di approfondire e sviscerare i problemi per trovare nel contrasto le soluzioni migliori. La coesione è complicità ed appiattimento, la dialettica è buona salute parlamentare e buone leggi.
Non dimentichiamo infine che Napolitano è stato tutta la vita uomo della sinistra italiana, un comunista che ha combattuto tutte le battaglie dell'opposizione. La sua costante tutela quasi paterna del governo Berlusconi disorienta e frustra l'opinione pubblica civile e democratica del Paese e contribuisce a fare diventare la subcultura della destra “sentire comune” della opinione pubblica. Insomma, se l'Italia vedesse nella Presidenza un freno alla dittatura della maggioranza si avrebbero motivi di incoraggiamento per le battaglie democratiche per i diritti civili, il lavoro, il salario, l'avvenire dei giovani, il Mezzogiorno….. Invece tutta la produzione legislativa e politica della destra viene omologata senza alcuna discontinuità con la legislazione e la politica democratica che questo Paese ha avuto fino a non molti anni fa.
Pietro Ancona